Guerra in Medio Oriente Israele verso l'attacco a Rafah, l'esercito si avvicina

SDA

25.4.2024 - 20:44

Un carro armato israeliano in un luogo di raduno al confine meridionale israeliano con la Striscia di Gaza vicino a Rafah.
Un carro armato israeliano in un luogo di raduno al confine meridionale israeliano con la Striscia di Gaza vicino a Rafah.
KEYSTONE

Israele continua i preparativi per l'annunciata irruzione a Rafah, l'ultimo rifugio di oltre un milione di palestinesi nella Striscia, tra riunioni del gabinetto di guerra, riposizionamenti delle brigate combattenti e nuovi raid aerei sulla città, in cui sono morti – solo nelle ultime ore – un cooperante di un'agenzia belga e il figlio di 7 anni.

25.4.2024 - 20:44

Con gli Stati Uniti che da una parte ribadiscono la loro contrarietà all'operazione cercando di convincere Israele che esistano «altri modi per colpire Hamas», e dall'altra riuniscono una coalizione di 18 paesi per chiedere «il rilascio immediato di tutti gli ostaggi a Gaza» come precondizione «affinché si raggiunga un cessate il fuoco».

Insieme all'America, all'iniziativa hanno aderito Francia, Germania, Gran Bretagna e altre 14 delle 25 nazioni che hanno loro cittadini nelle mani di Hamas.

«Le pressioni americane non hanno valore», ha tuttavia subito replicato un alto funzionario della fazione palestinese, Sami Abu Zuhri, reiterando la richiesta della fine della guerra nella Striscia come parte di qualsiasi eventuale accordo per la liberazione dei rapiti.

Israele non demorde

Lo Stato ebraico però sembra non voler demordere dai suoi piani, convinto che a Rafah si nascondano gli ultimi quattro battaglioni di Hamas e siano detenuti molti degli ostaggi.

L'esercito (Idf) ha già detto di essere pronto a entrare in città e di attendere solo il via libera del governo di Benyamin Netanyahu: con un riposizionamento tattico, nelle ultime ore l'Idf ha richiamato dalla Striscia anche la Brigata Nahal – l'ultima rimasta nel sud dopo il ritiro delle truppe di terra del 7 aprile – per prepararsi all'imminente operazione con il resto della 162esima Brigata che, stando all'esercito, dal centro della Striscia di Gaza si sta già avvicinando a Rafah.

Per presidiare il Corridoio Netzarim, che taglia in due la Striscia a sud di Gaza City e impedisce ai palestinesi di tornare al nord, verrà sostituita da due brigate di riserva, la Yiftah e la Carmeli.

Al-Sisi si oppone a «una migrazione forzata» dei civili di Gaza

Nel timore che l'attacco alla città di confine scateni un massiccio esodo di sfollati palestinesi nel Sinai che metterebbe a rischio «la sicurezza nazionale dell'Egitto», il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi è tornato a opporsi a «una migrazione forzata» dei civili di Gaza sventolando la bandiera della «causa palestinese» e paventando «conseguenze catastrofiche».

L'Egitto ha quindi presentato alla delegazione israeliana un'iniziativa che prevede il congelamento dei piani di assalto a Rafah contro un cambio di passo nei negoziati: Hamas avrebbe proposto un cessate il fuoco della durata di un anno in cambio della sospensione degli attacchi contro Israele, secondo quanto riferiscono l'emittente saudita al-Hadath e l'agenzia russa Tass.

Una delegazione egiziana è attesa domani a Tel Aviv per discuterne e cercare di riavviare i colloqui in stallo sullo scambio di prigionieri.

Hamas continua ad alzare la posta

Ma Hamas continua ad alzare la posta, avanzando richieste sempre più inaccettabili per Israele. Come quella di una tregua di cinque anni in cambio della creazione di uno Stato palestinese nei confini precedenti il 1967, proposta da Khalil al-Hayya, membro dell'ufficio politico basato in Qatar e vice di Yahya Sinwar, in un'intervista all'AP.

Salvo poi precisare che si tratterebbe di una soluzione temporanea, perché i palestinesi non rinuncerebbero al «diritto al ritorno» dei profughi e dei loro discendenti nell'odierno territorio dello Stato ebraico.

«Non ci sarà mai uno Stato palestinese con Hamas», ha tagliato corto il portavoce del Consiglio per la sicurezza nazionale americano, John Kirby. «Gli Stati Uniti sostengono la soluzione a due Stati», ma «affinché questo avvenga ci vuole una leadership che garantisca la pace da entrambe le parti».

SDA