Timori Birmania: timori golpe a vigilia inaugurazione Parlamento

SDA

29.1.2021 - 13:15

Salgono i timori per un possibile colpo di stato in Birmania, dopo le elezioni vinte dal partito di Aung San Suu Kyi.
Salgono i timori per un possibile colpo di stato in Birmania, dopo le elezioni vinte dal partito di Aung San Suu Kyi.
Keystone

A tre giorni dall'inaugurazione del Parlamento prodotto dalle elezioni di novembre, che hanno visto il trionfo del partito di Aung San Suu Kyi, in Birmania salgono i timori di un colpo di stato da parte di un esercito.

Le forze armate negli ultimi giorni hanno più volte denunciato brogli nelle operazioni di voto.

La crescente tensione ha portato l'Onu e oltre una decina di ambasciate, tra cui quella degli Stati Uniti e la delegazione dell'Unione europea, a esortare la Birmania ad aderire alle norme democratiche.

L'esercito ha minacciato di «passare all'azione» se le sue accuse di irregolarità non saranno considerate. Questa settimana, in un discorso ai militari, il capo delle forze armate Min Aung Hlaing ha menzionato la possibilità di revocare la Costituzione, se questa non viene rispettata. Inoltre, a precisa domanda, un portavoce dell'esercito non ha escluso l'eventualità di un golpe. Nessun commento pubblico è stato rilasciato finora da Aung San Suu Kyi, la leader de facto del governo fin dal trionfo alle elezioni del 2015.

Tali tensioni hanno portato ieri sera il segretario generale dell'Onu, Antonio Guterres, a pubblicare un comunicato che esorta «tutte le parti in causa a desistere da qualsiasi forma di incitamento o provocazione, a dimostrare leadership, e ad aderire alle norme democratiche e rispettare il risultato delle elezioni generali dell'8 novembre».

Nella graduale transizione dalla dittatura alla democrazia iniziata nel 2011, in Birmania vige un delicato equilibrio di potere tra l'esercito, che controlla il 25 percento dei seggi in Parlamento e tre ministeri chiave, e il governo civile della «Lega nazionale per la democrazia» di Aung San Suu Kyi. Il premio Nobel per la Pace è stata aspramente criticata all'estero per non aver assunto posizioni più critiche dell'esercito, specie riguardo all'esodo forzato di oltre 700mila Rohingya nel 2017, in una pulizia etnica che l'Onu ha definito «di intento genocida».

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