Di fronte alle crisi Duro attacco del Capo condotta vodese a Berna: «Trattate gli svizzeri da adulti»

hm, ats

21.9.2022 - 16:16

L'ex comandante di brigata Denis Froidevaux auspica una comunicazione più seria da parte del Consiglio federale.
L'ex comandante di brigata Denis Froidevaux auspica una comunicazione più seria da parte del Consiglio federale.
Keystone

Dure critiche di Denis Froidevaux, ex presidente della Società svizzera degli ufficiali (SSU) e attuale capo di stato maggiore di condotta del canton Vaud, all'indirizzo delle autorità federali, per come stanno affrontando la crisi energetica.

Keystone-SDA, hm, ats

Bisogna trattare gli svizzeri da adulti, afferma. O si comunica le cose come stanno, oppure si sta zitti. E la popolazione deve capire che bisogna agire in proprio, non affidarsi a paesi terzi.

«Mi vengono dei dubbi quando assisto a una conferenza stampa con due consiglieri federali che spiegano come cucinare le uova», afferma Froidevaux in un'intervista pubblicata oggi da Le Temps. «O avete qualcosa da dire alla popolazione e lo dite in modo adulto, maturo e responsabile, oppure non dite nulla».

A suo avviso in ambito energetico «stiamo ripetendo gli errori commessi all'inizio della crisi Covid, quando è stata adottata una comunicazione infantilizzante che ha portato la popolazione a non capire nulla: e se la crisi dura, finiamo per perdere la popolazione».

La comunicazione di crisi – spiega lo specialista con formazione in materia di polizia e criminologia – «è un elemento assolutamente centrale, deve essere trasparente, onesta: dire ciò che si sa, riconoscere ciò che non si sa. Il cittadino è abbastanza maturo per capire».

«Evitare i discorsi contorti»

«Sono preoccupato per la situazione energetica», prosegue l'ufficiale di milizia con il grado di brigadiere. «La popolazione deve essere coinvolta nel risolvere o addirittura ridurre l'impatto di questa crisi. Se l'abbiamo con noi, avremo la possibilità di ridurre l'entità del problema o addirittura di evitarlo. Se non ci riusciremo, sarà complicato».

Come fare allora – chiedono i cronisti del giornale romando – per far sì che la popolazione abbia fiducia? «Dire la verità», risponde l'interpellato.

«Evitare discorsi contorti, come: potremmo avere delle difficoltà, ma state tranquilli, stiamo facendo di tutto per evitarle, stiamo cercando accordi internazionali... Gli specialisti sono categorici e le cifre sono crudeli: all'inizio del 2023 potremmo avere uno squilibrio tra domanda e offerta e dovremo risparmiare il 20% del consumo di elettricità entro dicembre 2022. Prima di immaginare soluzioni da paesi terzi, dobbiamo contare su noi stessi, perché l'energia è una risorsa strategica per ogni stato».

«Non abbiamo il controllo su tre cose»

«Ci sono incertezze sulle quali non abbiamo alcun controllo. Ma nella gestione delle crisi dobbiamo concentrarci sugli elementi su cui abbiamo il controllo o almeno l'influenza», insiste l'ex comandante della brigata di fanteria 10.

«Su tre punti non abbiamo né controllo né influenza: innanzitutto sulla situazione geopolitica, non c'è bisogno di aver letto Clausewitz per capire che il conflitto ucraino probabilmente non si concluderà prima della metà o della fine del prossimo anno... e potrebbe anche peggiorare. L'obiettivo di Putin era quello di far tremare l'Europa; che il fronte diplomatico e politico si incrinasse e che alla fine potesse rivendicare una sorta di vittoria simbolica sull'Europa.

Secondo punto, secondo l'ex alto ufficiale: «La produzione nucleare della Francia, da cui acquistiamo elettricità durante l'inverno. La Francia ha annunciato il riavvio di alcune centrali atomiche: ma se davvero riaprono, Électricité de France venderà elettricità alla Svizzera? La stessa questione si pone per la capacità produttiva tedesca basata sulle turbine a gas.»

«Il terzo problema - prosegue l'ex militare -  è il rigore dell'inverno. Se la natura continuerà a vendicarsi di noi come ha fatto quest'estate, potremmo avere un inverno estremamente freddo. Dobbiamo tenere conto di tutte queste incertezze e spiegarle in modo trasparente».

Manca la cultura di condotta in tempo di crisi?

Ma più importante ancora di parlare è agire e a questo proposito Froidevaux si dice preoccupato.

«La mancanza di una cultura della gestione delle crisi presso la Confederazione è per me difficile da spiegare. Mi stupisce che sia stato il Consiglio nazionale a dover imporre al Consiglio federale la creazione di uno stato maggiore di crisi multidisciplinare, mentre i cantoni già ne dispongono da quasi quindici anni».

«Non so se sia una mancanza di know-how o di volontà», osserva il 62enne. «La gestione delle crisi ci costringe ad abbandonare i processi normali. E oggi mescoliamo processi amministrativi, gestione dei progetti e gestione delle crisi».

«Il Consiglio federale promette che quando entreremo in modalità crisi, il dipartimento di Guy Parmelin prenderà il comando. Dobbiamo rileggere Clausewitz, che ricorda come quando si effettuano le sostituzioni è lì che si generano amari fallimenti. Cambiare i cavalli in mezzo al guado è un'arte estremamente complicata».

«Abbiamo anche un altro problema»

A differenza della pandemia, dove il paese è stato colpito di colpo frontalmente, questa volta sono a disposizione due o tre mesi per prepararsi, fa notare l'intervistato.

«La gestione delle crisi implica una forma di concentrazione del potere e in Svizzera abbiamo un'arte consolidata nel condividere, diffondere e mai concentrare il potere. In tempi di crisi, non possiamo più mantenere la frammentazione del processo decisionale».

E ancora: «Abbiamo un altro problema: è molto difficile adottare una cultura dell'errore, riconoscere che commettiamo errori e cercare altre soluzioni. Ma gestire una crisi significa commettere errori».

«Nelle crisi da soli non si è nulla»

Secondo Froidevaux a Berna servirebbe ora uno stato maggiore sovradipartimentale con un consigliere federale, Guy Parmelin, a cui verrebbe delegata l'autorità e che, per le principali decisioni strategiche, consulterebbe il collegio governativo.

All'interno dello staff vi sarebbero specialisti di gestione delle crisi in grado di ragionare su tre livelli: politico, strategico e operativo. Sarebbe inoltre essenziale delegare un rappresentante dei Cantoni.

«Per gestire una crisi non è necessario essere uno specialista, ma un generalista e poter contare su quello che io chiamo il mestiere del leader», argomenta l'ex presidente dell'associazione degli ufficiali (2012-2016). «Per passare da una crisi all'altra bisogna disporre di processi, essere efficaci, essere curiosi, vedere il lato nascosto delle cose, essere supportati da team».

«Da soli, non siete nulla nella gestione delle crisi. Bisogna essere rigorosi e conoscere i processi del personale. Serve anche una certa dose di coraggio, e questo mi preoccupa perché nella società di oggi il coraggio sembra essere un valore che sta perdendo terreno. E occorre pure una certa umiltà: la gestione delle crisi non è una scienza esatta».

«Nella gestione delle crisi, le decisioni non saranno mai completamente giuste», sottolinea Froidevaux. «O si è fatto troppo o non si è fatto abbastanza. Mi piace la frase che dice: pianificare è sostituire il caso con l'errore», conclude.