È sembrato quasi un sabato di vita normale quello di oggi a Codogno, la cittadina della Bassa Lodigiana dove proprio un anno fa è stato scoperto il primo caso ufficiale di Coronavirus in Italia.
Una vita normale di cui «c'è fame» di normalità, alla quale tutti bene o male aspirano anche se sanno che «non è ancora finita».
I segnali della «voglia di ripartire» si sono visti nelle strade e nelle piazze del comune lombardo passato alla ribalta delle cronache perché la sera del 20 febbraio 2020, nel suo ospedale – dove stamane è stata svelata una targa in memoria dei medici e del personale sanitario morti soprattutto durante la prima ondata dell'epidemia – è stato accertato che Mattia Y. M., noto come Paziente1, era positivo al Covid. Per tutto il giorno, oggi, mercatino delle pulci, tavolini all'aperto per un aperitivo o un caffè, e nel pomeriggio i canti dei «Mitici Angioletti», coro composto in gran parte da bimbi sotto il loggiato antico. Tanti in giro, in bici o a piedi. Unici segni inconfondibili: la mascherina e, soprattutto all'interno dei locali, distanziati.
Lo scorso 20 febbraio «è stato come se fosse caduto un meteorite sulle nostre teste», ricorda il sindaco Francesco Passerini, svegliato nel cuore della notte un anno fa da una telefonata in cui lo si avvertiva che c'era il primo malato di coronavirus d'Italia. «All'inizio speravo che fosse una cosa circoscritta – spiega – senza poter immaginare che da quel momento sarebbe cambiato tutto. Era una situazione strana, quasi incomprensibile, ma che aveva le caratteristiche per pensare a qualcosa di grave. Così ho 'chiuso' subito la mia città per tutelare la comunità».
«Ora sappiamo di più sul virus, sappiamo che si può vincere e abbiamo anche un'arma in più, il vaccino. Vogliamo vincere contro il Covid – tiene a sottolineare – nella memoria di chi ha perso questa battaglia».
«Era una situazione surreale – rammenta Costantino Pesatori, primo cittadino di Castiglione d'Adda, il comune dell'ex Zona Rossa che ha avuto la più alta percentuale di morti. «I primi giorni andavamo avanti a tentoni non sapendo dove andare a parare. Ho ancora in mente lo strazio delle telefonate in municipio. E poi noi tutti chiusi in casa con il nemico che ci stava attaccando senza sapere come difenderci».
«Adesso – conclude – la situazione non ha nulla a che vedere con allora, anche se l'emergenza sanitaria ha lasciato spazio all'emergenza economica, sociale e psicologica. La gente non ce la fa più, soprattutto i giovani: hanno abbassato la guardia e sono spesso depressi. E questo mi preoccupa».
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