Zurich Film Festival Alice Rohrwacher presenta «La chimera», un film molto legato alla Svizzera

sifo, ats

12.10.2023 - 09:15

La regista italiana Alice Rohrwacher aveva presentato "La chimera" in concorso al Festival di Cannes a maggio. (immagine d'archivio)
La regista italiana Alice Rohrwacher aveva presentato "La chimera" in concorso al Festival di Cannes a maggio. (immagine d'archivio)
Keystone

La regista italiana Alice Rohrwacher ha presentato allo Zurich Film Festival (ZFF) il suo ultimo film «La chimera», una coproduzione italo-franco-svizzera. Un viaggio poetico tra passato e presente seguendo un gruppo di tombaroli. Keystone-ATS l'ha incontrata.

Keystone-SDA, sifo, ats

È letteralmente un fil rouge tra passato e presente, tra ciò che è invisibile e ciò che è visibile, tra la morte e la vita, tra il sacro e il profano, quello che segue il film «La chimera» di Alice Rohrwacher.

La pellicola, ambientata negli anni '80, narra di un gruppo di cosiddetti «tombaroli» (coloro che ricercano e scavano abusivamente tombe antiche, ndr) di cui fa parte anche Arthur (Josh O'Connor), un giovane archeologo inglese con un dono nel trovare le tombe grazie alla sua percezione del vuoto della terra. Un vuoto che sente anche a causa della scomparsa della sua amata Beniamina.

Traffico di opere d'arte

Con questo film Rohrwacher ha voluto evocare il mercato delle opere d'arte antiche e archeologiche e il traffico illecito che ne è scaturito, indica il dossier stampa del film. La regista è cresciuta in Toscana, anticamente parte dell'Etruria, la patria degli Etruschi, stando a Wikipedia un popolo dell'Italia antica vissuto tra il IX secolo a.C. e il I secolo a.C.

«Fin da quando ero piccola ho sempre sentito racconti di tombaroli perché negli anni '80-90 era un'attività molto di moda fra i giovani maschi», spiega Alice Rohrwacher, che abbiamo incontrato a Zurigo. «Avevo un misto di attrazione e paura per questa loro attività», prosegue.

Il film mostra infatti anche il risvolto della medaglia, ovvero il fatto che i tombaroli vengano usati come pedine da un traffico illecito che trae profitto dalle loro rischiose ricerche, rivendendo le opere antiche, con certificati evidentemente fasulli, a collezionisti d'arte. «Naturalmente alla base di tutto questo c'è la brama di ricchezza che affligge l'umanità», dice la regista.

«Secondo il giornalista Fabio Isman che ha scritto un libro bellissimo che si chiama 'I predatori dell'arte perduta' almeno fino all'inizio degli anni 2000 (il mercato dell'arte illecita, ndr) è stato un mercato molto più grande di quello della droga», afferma Rohrwacher. «Attualmente il mercato si è molto ridotto grazie ai controlli molto più appurati e forse anche grazie a una moda che è passata», spiega.

Formato poetico

«La chimera» è stato girato con tre formati diversi. «Con Hélène Louvart (direttrice della fotografia, ndr) ci siamo dette: questo è un film sull'archeologia quindi dobbiamo comunque girare sempre in pellicola e testimoniare i diversi livelli di questo supporto, la sua storia. Quindi siamo passate dall'amatoriale dei 16mm, al super 16mm e poi al 35mm», spiega la regista.

I differenti formati, che si intercalano nel corso del film, rendono il tutto molto poetico ed onirico, in particolare il formato 16mm che per la sua forma ridotta e i suoi margini irregolari ricorda un disegno o una cartolina.

La poesia oltre che dalle immagini è data dalla presenza di un filo rosso, non soltanto metaforico. «Volevo realmente mettere un vero e proprio filo rosso, affrontare questa metafora delle metafore», spiega la regista. «Avere la possibilità di raccontare per immagini è sicuramente molto potente», aggiunge. «Il cinema deve osare sondare altri percorsi cognitivi, emotivi», spiega.

Terza parte di un trittico

Per chi conosce l'opera di Rohrwacher, «La chimera» può essere visto come l'ultimo tassello di un trittico iniziato con «Le meraviglie» (2014) e seguito poi da «Lazzaro felice» (2018), come indica la stessa regista. «C'è un legame profondo tra questi tre film anche se sono completamente diversi», spiega, «ma è stata un'evoluzione naturale».

L'attività dei tombaroli «mi sembrava un modo per parlare veramente di qualcosa che mi sta molto a cuore, cioè come elaboriamo il passato, che cosa facciamo con il passato e qual è il nostro legame con le cose invisibili», afferma la regista. Una domanda a cui cerca di rispondere appunto questo trittico che studia la relazione fra due mondi. Per questo ultimo tassello, Rohrwacher ha intervistato tombaroli, direttori di musei, forze dell'ordine e archeologi.

Coproduzione svizzera

Ne «La chimera», presentato il 4 ottobre in prima svizzera nella sezione Gala Premieres dello ZFF, c'è anche un po' di Ticino: è infatti co-prodotto da Amka Films di Savosa com'era già il caso per altre opere di Rohrwacher. «È un film molto legato alla Svizzera, nel bene e nel male», spiega la regista.

«È legato nel bene alla Svizzera perché sicuramente è stata fondamentale la coproduzione fantastica con Amka Films con Michela Pini che è una produttrice straordinaria, piena di umanità e calore, che sa davvero portare avanti un progetto così ambizioso così avventuroso con estrema positività», prosegue.

Alcune scene sono state girate in Svizzera, dice ancora la regista, «sia le scene sul battello sia quelle nel treno, girate nel Trans Europ Express il treno che storicamente legava Italia e Svizzera».

Nel male, «grazie alla Svizzera c'era una finestra del mercato illecito dei beni archeologici», precisa Rohrwacher. «In Svizzera non era obbligatorio dichiarare l'origine dei reperti mentre in Italia sì», spiega. «Senza questo lavaggio del bene archeologico in Svizzera negli anni '80 tutto questo traffico non sarebbe stato possibile».

La pellicola, che ha festeggiato la sua prima mondiale al Festival di Cannes lo scorso mese di maggio, ha già riscosso un buon successo: tra cui il prestigioso Silver Medallion Award al Telluride Film Festival, in Colorado (USA).