Covid La Cina ammette: «Nostro vaccino poco efficace». Il caso del Cile farà scuola? 

SDA

11.4.2021 - 18:45

La Cina ha ammesso che «l'efficacia» dei propri vaccini «non è alta». Lo riferisce il South China Morning Post. L'esempio del Cile, che usa il CoronaVac, costretto a un nuovo lockdown, può fornire informazioni utili.

I lavoratori caricano un container del primo lotto del vaccino cinese Sinovac Biotech CoronaVac per COVID-19 su un camion in un terminal merci dopo il suo arrivo dalla Cina all'aeroporto di Hong Kong, Cina, il 19 febbraio 2021, prima della prevista campagna di vaccinazione di massa.
I lavoratori caricano un container del primo lotto del vaccino cinese Sinovac Biotech CoronaVac per COVID-19 su un camion in un terminal merci dopo il suo arrivo dalla Cina all'aeroporto di Hong Kong, Cina, il 19 febbraio 2021, prima della prevista campagna di vaccinazione di massa.
KEYSTONE EPA / KIN CHEUNG / POOL

11.4.2021 - 18:45

Parlando in una conferenza stampa, ieri a Chendgu, il capo del Centro per il controllo e la prevenzione delle malattie, Gao Fu, ha dichiarato che il Paese sta esaminando due strade per «risolvere il problema» del suo vaccino, il CoronaVac, della Sinovac Biotech.

Un'ipotesi sarebbe quella di aggiustare il dosaggio, l'intervallo tra le due dosi o aumentare il numero di dosi. La seconda opzione è invece quella di mischiare i vaccini che usano diverse tecnologie.

Finora il vaccino cinese è usato in Turchia, Tunisia, Brasile, Bangladesh, Indonesia, Cina e Cile, la cui situazione dimostra che la pandemia non si sconfiggerà con la sola campagna vaccinale ma con altre misure, comprese quelle restrizioni che iniziano a irritare molte persone anche in Europa. 

Un esempio su tutti: il Cile

Come rivela IlPost.it un recente studio cileno, poco prima delle ammissioni di Pechino, ha mostrato un’efficacia del CoronaVac del 56 per cento dopo la seconda dose, ma solo del 3 per cento dopo la prima.

Il fatto che il preparato avesse la sua massima efficacia solo dopo la seconda somministrazione era un fattore conosciuto. La ricerca nel Paese sudamericano è importante perché si tratta di una delle prime sul CoronaVac su così larga scala. Gli studi clinici infatti pubblicati sulla rivista Lancet in novembre del 2020 parlava di 144 volontari nella prima fase e di 600 nella fase due. 

A titolo di paragone i due vaccini che fino ad ora sono stati omologati da Swissmedic per la Svizzera, Pfizer-BioNTech e Moderna, nelle varie fasi degli studi clinici hanno convolto oltre 30'000 volontari per Pfizer e 43'000 per Moderna.

I due vaccini somministrati alle nostre latitudini danno una protezione di circa il 50% dopo la prima dose e, secondo i dati pubblici degli studi, rintracciabili anche sul sito infovac.ch della cattedra di virologia dell'Università di Ginevra, dal 90 fino al 95% una settimana dopo la seconda iniezione.

CoronaVac usa una «tecnologia tradizionale»

I due preparati somministrati in Svizzera, giova ricordarlo, sono basati su una tecnologia detta di «ultima generazione» che usa l'RNA messaggero, conosciuto anche come mRNA.

In pratica sono iniettati dei frammenti di mRNA che contengono solo le informazioni per produrre la proteina Spike (S), che è il principale antigene del SARS-CoV2, usato dal virus per prendere di mira i recettori ACE2 delle cellule bersaglio. Con questa tecnica sono quindi direttamente le cellule umane a «leggere» questa informazione e di conseguenza a produrre gli anticorpi specifici per combattere il nuovo coronavirus.

Il CoronaVac è invece un preparato di «vecchia generazione», poiché viene inoculato il virus Sars-CoV-2 inattivato, non più capace di infettare ma che conserva gli antigeni, tecnica usata da decenni assieme quella che prevede l'iniezione nel paziente di virus attenuato.

Pazienti più giovani negli ospedali

In Cile solo poco più del 20 per cento della popolazione ha ricevuto entrambe le dosi del vaccino. Sono stati soprattutto gli anziani, per i quali la malattia è più pericolosa, a beneficiare della vaccinazione completa. Il preparato di Sinovac, è stato stabilito, è molto efficace per prevenire le infezioni più severe della malattia causata dal Covid-19. 

In Cile l'aumento importante dei casi è stata favorita, secondo gli esperti citati nel Financial Times, da riaperture generalizzate troppo rapide, dall'allentamento delle misure restrittive e dalla variante brasiliana molto più contagiosa e che nel paese potrebbe essersi diffusa maggiormente a seguito della scarsità di controlli sui rientri dall'estero.

Nonostante la crescita elevata dei casi  le morti per Sars-Cov-2 nel Paese sudamericano non sono aumentate di conseguenza. La pressione sul sistema sanitario però rimane forte. I letti di terapia intensiva negli ospedali cileni sono ora occupati per lo più da persone tra i 40 e i 50 anni, che hanno meno probabilità di morire per Covid-19 am che comunque possono sviluppare forme molto gravi della malattia. 

Limitare la circolazione del virus è importante

Visto l'aumento importante dei nuovi casi di coronavirus, raddoppiati nelle ultime settimane,  il governo cileno ha deciso di imporre un nuovo lockdown a partire dalla fine di marzo. C'è un altro motivo che ha spinto le autorità a decidere di richiudere tutto: più il Sars-CoV-2 rimane in circolazione, più aumentano i rischi che si sviluppino nuove varianti difficili da tenere sotto controllo.

Pur avendo 62 milioni di vaccinati (con 100 milioni in attesa della seconda dose) e marciando al ritmo di 3-4 milioni al giorno, negli Stati Uniti da settimane è sorprendentemente alto il plateau dei contagi, fra 60 e 80'000 al giorno.

«In alcuni Stati come Michigan, New York e New Jersey, anziché stabilizzarsi sono tornati ad aumentare: è preoccupante», ha detto il virologo Anthony Fauci, consigliere per le questioni sanitarie del presidente Joe Biden. Ospite su Rai 3, ha ammesso che i lockdown negli Stati Uniti sono stati rispettati meno che in Europa dalla popolazione, e gli effetti potrebbero essere stati cancellati dalla variabile inglese.

Il vaccino non basterà

Da tempo gli esperti vanno dicendo che i vaccini sono solo una delle tante armi contro il Covid-19 ma che da soli non riusciranno a sconfiggere la pandemia.

Il caso cileno e quello degli Stati Uniti in sostanza confermano quello che gli scienziati già sapevano e che non tutte le amministrazioni pubbliche sembrano aver capito: le vaccinazioni, soprattutto per quelle che usano la «tecnologia tradizionale», servono soprattutto a evitare forme gravi di Covi-19, ma non a fermare del tutto i contagi. Qualche speranza in più sull'interruzione delle catene di contagio lo danno i preparati di «nuova generazione» ma sono molto più cari, sono più difficili da conservare e da somministrare e quindi non sono alla portata di tutti i Paesi.

Insomma l'esperienza cilena, quella statunitense ma anche quella di Israele (che usa il vaccino di Pfizer-BioNtech), mostrano che una campagna vaccinale risulta efficace solo se accompagnata comunque da misure restrittive, che non devono essere abbandonate prematuramente sotto la pressione sociale, economica o politica.

SDA