Malasanità in Italia A Taranto, dopo due anni la chiamano per l'operazione del marito... ma lui è già morto

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4.4.2025 - 08:08

La coppia si è dovuta rivolgere privatamente per ottenere una diagnosi definitiva (immagine illustrativa).
La coppia si è dovuta rivolgere privatamente per ottenere una diagnosi definitiva (immagine illustrativa).
KEYSTONE

Meglio tardi che mai? Un proverbio particolarmente infelice per Cristina, che di recente, dopo due lunghi anni, ha ricevuto la telefonata dall'ospedale per un intervento a cui si dovrebbe sottoporre il marito Antonio... solo che lui è morto nel febbraio del 2024. La donna ha dunque deciso di raccontare la loro storia di malasanità a «TarantoToday».

Alessia Moneghini

Hai fretta? blue News riassume per te

  • Nel 2023 Antonio accusa dei forti dolori allo stomaco: il medico a cui lui e sua moglie Cristina si rivolgono gli prescrive dei fermenti lattici, senza nemmeno visitarlo.
  • Dopo mesi di dolori, rimbalzati da un dottore all'altro, senza alcune risposta, Antonio ottiene una diagnosi definitiva: si tratta di un linfoma non Hodgkin a cellule T, un tumore raro e aggressivo.
  • Nonostante la chemioterapia, nel febbraio 2024 Antonio perde la sua battaglia col cancro.
  • Di recente Cristina riceve la telefonata dall'ospedale per un intervento che avrebbe dovuto essere eseguito due anni prima: «Ho pensato a uno scherzo».
  • Adesso la donna cerca giustizia: «Mio marito non lo riporta indietro nessuno. Ma qualcuno deve pagare per tutto questo. Perché non è solo la mia storia. È la storia di tanti».

Antonio S., un operaio di 45 anni, è morto nel febbraio 2024. Recentemente, sua moglie Cristina ha ricevuto una telefonata dall'ospedale per un intervento che avrebbe dovuto essere eseguito due anni prima. La donna tarantina ha deciso quindi di raccontare la loro storia a «TarantoToday».

La vicenda di Antonio inizia con una diagnosi tardiva e un trattamento inadeguato. Dopo aver avvertito forti dolori allo stomaco nel 2023, il suo medico gli prescrive dei fermenti lattici senza nemmeno visitarlo.

Solo sei mesi dopo, una diagnosi rivelerà un tumore aggressivo al duodeno. Cristina racconta come i fermenti lattici abbiano ritardato la diagnosi, e come il sistema sanitario pugliese, con le sue liste d'attesa infinite, abbia contribuito alla tragedia. 

«Se fosse stato visitato seriamente, sarebbe bastata una palpazione per capire che c’era qualcosa che non andava», spiega la donna.

Un calvario di visite

Dopo mesi di dolori, Antonio si sottopone a un'ecografia addominale che gli indica la necessità di una TAC con contrasto, ma il dottore che ha esaminato i risultati non fornisce ulteriori spiegazioni, lasciando la coppia senza supporto.

«Il medico ci disse che loro non trattavano linfomi e che dovevamo rivolgerci a un ematologo a Taranto. Senza ulteriori spiegazioni. Senza aiutarci», racconta la donna.

Cristina e Antonio si rivolgono quindi privatamente a un ematologo, che li informa della gravità della situazione e li indirizza a un radiologo interventistico.

Anche qui incontrano altri ostacoli, con lo specialista che dichiara di non poter fare nulla: «Ci ha detto subito: "Io qui non posso fare niente. Serve un chirurgo"», ricorda Cristina.

Dopo due mesi arriva finalmente la diagnosi

La donna è costretta a cercare un altro specialista, trovando finalmente un medico a Taranto disposto ad aiutare senza chiedere compensi. Antonio è ricoverato e sottoposto a un intervento chirurgico per prelevare un campione.

Il problema è però già grave. «Il primo dottore sapeva già che non si poteva entrare con un ago. Avrebbe potuto dircelo subito, risparmiandoci tempo prezioso. Invece ci hanno fatto perdere mesi», sottolinea Cristina.

Infine, dopo due mesi di attesa, arriva la diagnosi definitiva: si tratta di un linfoma non Hodgkin a cellule T. La dottoressa che segue il caso gli spiega che si tratta di un tumore ambientale, collegato al lavoro di Antonio all'Ilva, che è stata, giova ricordarlo, una delle maggiori aziende siderurgiche italiane del XX secolo.

Il tragico epilogo e la beffa

Nonostante la chemioterapia, il corpo di Antonio non resiste alle cure devastanti. E a un anno dopo la sua morte arriva pure la beffa.

Cristina riceve infatti una telefonata dall'ospedale per un intervento che il marito aveva già eseguito privatamente: «Mi chiamano e mi dicono: "Suo marito è in lista per un intervento". Ho pensato a uno scherzo. Ho risposto: "Mio marito è morto da un anno. Mi state chiamando dopo due anni per operarlo?". L’operatrice non sapeva cosa dire».

Se la coppia avesse aspettato il sistema sanitario pubblico italiano, Antonio non avrebbe saputo nemmeno di cosa è morto, afferma Cristina: «Se ci mettono due anni a chiamare una persona per un tumore, cosa dobbiamo aspettarci? È questa la nostra sanità? Io ho pagato due chirurghi perché con l’ASL non ci sarebbe stato nulla da fare».

«Qualcuno deve pagare per tutto questo»

Cristina è grata però al medico che ha compreso la gravità del caso e ha fatto tutto il possibile. Purtroppo rimane il dolore per il tempo e le risorse sprecate, e la perdita del marito.

Adesso, sola con due figli piccoli, cerca giustizia per Antonio e per tutte le famiglie che affrontano situazioni simili: «Mio marito non lo riporta indietro nessuno. Ma qualcuno deve pagare per tutto questo. Perché non è solo la mia storia. È la storia di tanti».

L'ASL di Taranto non è responsabile della telefonata

Intanto, sempre su «TarantoToday», l'ASL di Tarano ha replicato nel merito del caso di malasanità sollevato da Cristina.

Come si legge sul portale, la direzione sanitaria «ha avuto un colloquio con la signora per chiarire, passo dopo passo, la successione degli eventi che hanno coinvolto il marito (...) e le eventuali responsabilità dirette».

E la convocazione telefonica, a un anno di distanza, per l'operazione del marito, ormai deceduto, «non è stata effettuata da ASL Taranto, ma da un'altra azienda sanitaria».

La redattrice ha scritto questo articolo con l'aiuto dell'IA.