140 morti Moby Prince, dopo 30 anni il peggior dramma marittimo italiano rimane un mistero

SDA

10.4.2021 - 11:54

A 30 anni dallo scontro tra la petroliera Agip Abruzzo e il traghetto Moby Prince, che bruciò completamente provocando la morte di 140 persone, molte domande rimangono ancora senza risposta. In merito al dramma avvenuto al largo di Livorno si fa strada anche l'ipotesi di un atto mafioso. 

Era una limpida sera di primavera quella di 30 anni fa, il 10 aprile 1991, quando nella rada livornese, alle 22.25, il traghetto Moby Prince della Navarma entrò in collisione con l'Agip Abruzzo, petroliera della Snam, a 2,7 miglia dalla costa.

Fu l'inferno: morirono in 140 tra passeggeri ed equipaggio del Moby. Si salvò solo Alessio Bertrand, mozzo del traghetto che, partito alle 22, era diretto a Olbia. Tutti salvi invece sulla nave Agip. È stata la più grande tragedia marittima italiana, rimasta finora senza colpevoli e tanti misteri.

La prua del Moby penetrò la cisterna numero 7 della petroliera: il greggio (o la nafta?) si riversò sul traghetto che si trasformò in un'immensa torcia con l'innesco delle fiamme, provocato forse dall'attrito delle lamiere o forse, come suggerisce un'altra ipotesi, addirittura da un'esplosione premeditata.

Ancora senza un perché

Varie le congetture sulle ragioni dell'accaduto: nebbia, eccesso di velocità, un'esplosione, un guasto alle apparecchiature di bordo. Anche la distrazione: si pensò che chi avrebbe dovuto vigilare stava guardando Juventus-Barcellona in tv, semifinale di Coppa Uefa. È stata però avanzata di recente anche un'altra ipotesi, quella di un intervento della Mafia.

Di certo i soccorsi arrivarono in ritardo: il traghetto fu individuato solo alle 23.35. Una «Ustica del mare» per i familiari delle vittime che dopo decenni di inchieste, processi e verità distorte e demolite continuano a chiedere che il Parlamento indaghi ancora per fare chiarezza una volta per tutte.

Al caso ha già ha lavorato una commissione parlamentare le cui conclusioni, arrivate nel 2018, hanno portato anche alla riapertura delle indagini della procura di Livorno.

Richiesta una commissione bicamerale

I familiari chiedono ora una commissione bicamerale che possa proseguire oltre la scadenza della legislatura, «fino al raggiungimento del suo scopo».

La vorrebbero Luchino e Angelo Chessa, figli di Ugo, il comandante del Moby Prince morto in plancia, che guidano l'associazione 10 Aprile-Familiari vittime Moby Prince Onlus, e Nicola Rosetti, vicepresidente dell'associazione dei 140 familiari vittime Moby Prince.

D'accordo con la loro richiesta Silvio Lai, che da senatore ha presieduto la prima commissione.

«La Capitaneria di porto fu incapace»

La relazione conclusiva della commissione ha escluso che la tragedia sia riconducibile «alla presenza della nebbia e alla condotta colposa tenuta dal comando del traghetto» e ha ritenuto che l'allora inchiesta giudiziaria fu «carente e condizionata da diversi fattori esterni», che la petroliera si trovava «in zona di divieto di ancoraggio» e che il Moby subì un'alterazione nella rotta di navigazione.

Quanto ai soccorsi, alcuni passeggeri – secondo la commissione – potevano essere salvati, ma durante le ore cruciali «la Capitaneria di porto apparve del tutto incapace di coordinare un'azione di soccorso».

Rimangono nastri da ascoltare e accordi da chiarire

Ora la nuova commissione potrebbe servire per ricostruire il contesto di quella notte. Se quella precedente ebbe il tempo di sbobinare solo le conversazioni registrate sul canale di soccorso, per Lai «sarebbe interessante ascoltare anche le bobine degli altri canali commerciali che registrarono conversazioni, tra i natanti presenti in rada al momento dell'incidente, che possono risultare utili a cercare nuovi spunti d'indagine».

Per Lai poi ci sono «altri aspetti da chiarire, a cominciare da quell'accordo assicurativo tra Snam e Navarma teso a chiudere qualunque ulteriore accertamento sullo stato delle due navi, ormai entrambe demolite.

Ricerche dei rottami sul fondale?

Un altro spunto potrebbe essere quello della ricerca di eventuali rottami sul fondale». «Molto è stato fatto – spiegano le due associazioni – e grazie a quel lavoro che si interruppe per la fine della legislatura la procura di Livorno sta lavorando su reati non prescritti».

I familiari hanno anche fatto istanza civile contro i ministeri di Trasporti e Difesa «per inadempienze riguardo il controllo del porto di Livorno e l'assenza di soccorsi al Moby Prince» ma il tribunale fiorentino l'ha respinta «con una motivazione che non prende in considerazione le conclusioni della commissione parlamentare, creando un corto circuito tra i poteri dello Stato».

Si fa strada una nuova ipotesi: un atto mafioso

Secondo il giornalista Federico Zatti il Moby Prince sarebbe stato dirottato dalla mafia che voleva punire lo Stato. L’ipotesi, come riferisce il giornale La Stampa, è contenuta nel suo libro «Una strana nebbia. Le domande ancora aperte sul caso Moby Prince» che uscirà a breve.

Stando alle teorie dell’autore lo scontro sarebbe stato un atto voluto da Cosa Nostra, legato anche all’esplosione della petroliera Heaven nel Golfo di Genova avvenuta il giorno dopo, e anche alla strage di Capaci del 23 maggio del 1992 in cui morì il magistrato antimafia Giovanni Falcone.

I drammi sarebbero, secondo Zatti, da contestualizzare nella lotta di potere tra Eni (che era un ente pubblico statale) e Montedison (azienda privata), all’epoca due colossi della chimica in corsa per il controllo di Enimont e la relativa gestione del traffico di petrolio. Cosa Nostra, che avrebbe messo gli occhi sull'«oro nero», si sarebbe schierata con Montedison e Raul Gardini. A seguito dell’ostruzionismo dell’ente statale contro Gardini, che sarà poi messo da parte, la mafia avrebbe così deciso di lanciare un monito allo Stato.

Una situazione sfuggita di mano?

Zatti ipotizza che il Moby Prince sia stato dirottato contro la petroliera, ma, in sostanza, la situazione sia finita per sfuggire di mano. Secondo il giornalista il traghetto sarebbe stato spinto contro la nave cisterna, con i passeggeri  radunati nel salone, mentre i dirottatori sarebbero stati recuperati da una barca.

Dopo l’urto il comandante del Moby Prince avrebbe ordinato la marcia indietro ma in quel momento ci sarebbe stata un’esplosione. Sempre secondo Zatti, un perito ha rinvenuto, nel locale dei motori elettrici delle eliche, molecole riconducibili a un esplosivo militare. Sul traghetto quindi ci sarebbe stata una deflagrazione voluta, per incendiare il carico della cisterna 7 dell’Agip Abruzzo, dove si ipotizza oggi ci fosse della nafta, molto più infiammabile del greggio.

Si saprà mai la verità?

La tesi dell’atto deliberato potrebbe così anche spiegare il silenzio radio successivo al «mayday» del Moby Prince, le cui antenne radio sono state trovate spezzate e il comportamento della Capitaneria, che in un caso di dirottamento non poteva gestire i soccorsi ma doveva lasciare il campo ad autorità superiori, conclude Zatti.

Tanto si è già scritto su questi tragici avvenimenti ancora avvolti nel mistero e quella di Zatti non è che la più recente teoria. Rimane una sola certezza: la vicenda non è ancora conclusa, si parlerà ancora a lungo del Moby Prince e della morte di quelle 140 persone. 

SDA