In coppia, è meglio: i doppi fari danno alla berlina giapponese un’aria sportiva.
Linee fluide sulle rive del Reno: la Toyota Corona a Colonia.
Si può ancora migliorare: motori ancora più potenti del quattro cilindri da 2,0 litri a 65 kW / 89/ch sono stati lanciati in altri mercati.
Un design che ricorda i giochi di costruzioni: un grande volante con un bordo sottile che nasconde un cruscotto con elementi quadrati.
Il cambio più lungo del mondo? Probabilmente no, ma gli automobilisti moderni non sono più abituati a leve così lunghe.
Quando ancora Corona identificava un’auto
In coppia, è meglio: i doppi fari danno alla berlina giapponese un’aria sportiva.
Linee fluide sulle rive del Reno: la Toyota Corona a Colonia.
Si può ancora migliorare: motori ancora più potenti del quattro cilindri da 2,0 litri a 65 kW / 89/ch sono stati lanciati in altri mercati.
Un design che ricorda i giochi di costruzioni: un grande volante con un bordo sottile che nasconde un cruscotto con elementi quadrati.
Il cambio più lungo del mondo? Probabilmente no, ma gli automobilisti moderni non sono più abituati a leve così lunghe.
Quest’auto potrebbe rimanere solo una nota a piè di pagina nella storia automobilistica europea, ma nel 2020 ha tutto ciò che serve per essere l'auto da collezione dell'anno. Perché nessun’auto classica è più alla moda della Toyota Corona.
Il suo nome è sulla bocca di tutti ma quasi nessuno la conosce. Infatti solo gli storici specialisti dei bolidi sanno ancora oggi che, prima di designare una pandemia mondiale o una famosa birra messicana, «Corona» era un tempo il nome di un’automobile.
Tuttavia, ai suoi tempi, questa berlina di fascia media godeva di una certa notorietà: non per nulla era una delle macchine più vendute della Toyota e allo stesso tempo la punta di diamante delle sue esportazioni in Europa, secondo Thomas Schalberger, portavoce del marchio.
La storia della Corona è cominciata nel 1957. La berlina, il cui nome deriva dal termine spagnolo che significa «corona», doveva segnare l’entrata della casa automobilistica nel comparto del lusso e colmare il divario con la Crown, fiore all’occhiello del marchio, battezzata con il nome inglese di «corona». Mentre le prime generazioni era destinate principalmente al mercato giapponese, dove erano testa a testa con la Nissan Bluebird, la Corona in seguito ha rappresentato l’internazionalizzazione dell’azienda.
Un successo tangibile
La Corona è diventata un classico popolare in Europa e ha segnato punti anche negli Stati Uniti, dove è stata eletta auto importata dell’anno nel 1969. Il suo successo si riflette in molti dati: la Corona è stata più volte il maggior successo commerciale in Giappone e la sua produzione totale ha raggiunto i tre milioni di esemplari a partire dal 1971.
Negli anni la serie è rimasta in cima ai dati di vendita della Toyota. La sua notorietà ha cominciato a calare solo alla fine degli anni ’80. Nel 1996 la casa automobilistica giapponese ha messo fine a quasi 40 anni di produzione, duranti i quali sono usciti dalla fabbrica più di dieci milioni di esemplari.
Come ammette Toyota, la Corona riusciva a raggiungere il livello di prestigio richiesto in Germania solo in minima parte e le cifre rimanevano «piuttosto chiare»; quindi nel 1983 è stata sostituita dalla Carina, ed è diventata così un modello raro. Tuttavia i fortunati che abbiano l’occasione di sedersi al volante, per esempio, di una Mark II della metà degli anni ’70 vengono trasportati in un’epoca in cui i treni a lunga percorrenza si chiamavano ancora Trans-Europ-Express e non si trovava il sushi ad ogni angolo.
Viaggio nel passato
Anche se la Mark II sfoggia fiera fari doppi e, a posteriori, gli storici sono affascinati dal suo design tipo bottiglia di Coca-cola, l’aspetto esteriore della berlina dalle linee fluide è piuttosto discreto. Ma risveglia almeno un sentimento di nostalgia quando si testano i sedili: comodamente seduto sui sedili di similpelle bordeaux, il conducente può far spaziare il suo sguardo su un cruscotto quasi futuristico per l’epoca, con tre parti squadrate invece che circolari. Le mani afferrano un volante che oggi appare troppo grande e fine. E il braccio vaga alla ricerca del sottile cambio posizionato troppo lontano.
Più si guida, più si nota ovunque il logo originale della Corona: ai suoi tempi immaginato un po’ come un incrocio tra un sole e una corona, ma in ogni caso prestigioso. In piena pandemia di COVID-19 ricorda subito e in modo sospetto quelle animazioni del virus che vediamo tutti i giorni al telegiornale. Se i designer l’avessero saputo 50 anni fa, sicuramente avrebbero posizionate altre applicazioni su schienali, volante e abitacolo.
Invece, la tecnologia di propulsione di cui persino la Toyota esalta il lato convenzionale è discreta nel miglior senso del termine. In ogni caso, il quattro cilindri di 2,0 litri per 65 kW/89 ch si colloca in una fascia intermedia e gli europei possono sognare il piacere di guida offerto dalla versione di lusso giapponese che sviluppa 92 kW/125 ch. La Corona otteneva dei punti anche per una caratteristica tutt’altro che scontata: un’estrema affidabilità. Questo la rende un’auto da collezione interessante, spiega Thomas Schalberger.
Una macchina rara e quindi costosa
Anche tra le auto di un gigante della sobrietà come Toyota, ci sono esemplari da collezione che risvegliano più passione della Corona, che si guidano meglio e che hanno un aspetto più attraente. Tuttavia la berlina è indubbiamente affascinante. Più la si guida, più è alto il rischio di contagio. E come per la pandemia, la terapia è relativamente complessa e talvolta difficile da ottenere. Le Corona usate sono rare quasi quanto il vaccino che tutti stanno aspettando.
E quando si trova un esemplare abbastanza ben conservato sui siti web, bisogna sborsare somme a cinque cifre e talvolta arrivare fino in Inghilterra o in Portogallo. Una visita alla collezione Toyota a Colonia, aperta un giorno al mese, che conserva tre vetture Corona promette almeno un sollievo più facile da ottenere benché breve – ma solo quando il virus lo permetterà di nuovo.
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