Servizi segreti Il Tribunale federale dà ragione al SIC sulla protezione delle fonti

ATS

5.4.2019 - 12:17

La sede del Tribunale federale a Losanna.
La sede del Tribunale federale a Losanna.
Source: Keystone/LAURENT GILLIERON

Il Servizio delle attività informative della Confederazione (SIC) deve disporre di un ampio margine di manovra per proteggere le sue fonti, qualora una parte in causa chiedesse di poter consultare il proprio dossier.

Lo ha stabilito il Tribunale federale, respingendo il ricorso di un cittadino siriano che chiedeva di poter visionare tutti i documenti in base ai quali era accusato di sorvegliare suoi compatrioti in Svizzera.

Negata la consultazione dei documenti

Il caso risale al 2017: l'uomo era stato informato dalle autorità ginevrine che  rischiava di perdere la nazionalità elvetica acquisita quattro anni prima perché sospettato dal SIC di sorvegliare, assieme al fratello, altri cittadini siriani residenti in Svizzera.

L'interessato aveva chiesto al SIC di poter consultare i 15 documenti su cui si fondavano le accuse, ma aveva ricevuto un rifiuto dai servizi segreti svizzeri. L'uomo aveva presentato ricorso al Tribunale amministrativo federale (TAF), che aveva autorizzato la visione di buona parte dei documenti, alcuni dei quali nella versione originale, altri invece in forma anonima. Solo tre documenti gli erano rimasti preclusi.

Protezione delle fonti e delle persone coinvolte

Non soddisfatto, il siriano era ricorso al TF. La Suprema corte ricorda che un tribunale può rifiutare o limitare l'accesso di una persona ai dati che la riguardano se vi è un interesse pubblico preponderante, riguardante in particolare la sicurezza interna o esterna del paese.

La legislazione che regolamenta le attività del SIC permette ai servizi segreti di proteggere le proprie fonti. In particolare, il Servizio delle attività informative non può sottovalutare i pericoli cui potrebbero essere sottoposte le persone o i loro parenti che gli hanno fornito informazioni qualora la loro identità venisse rivelata. Quando viene concesso il diritto di accesso a un dossier, l'autorità ha un ampio margine di manovra per quanto riguarda le misure di «anonimizzazione».

Nel caso particolare del siriano, i giudici di Mon Repos hanno ritenuto che nei tre documenti rimasti segretati vi fosse a più riprese menzionata l'identità degli informatori oppure elementi che ne consentivano facilmente l'identificazione. Rendere i documenti in forma anonima era pressoché impossibile.

La Corte ha quindi confermato la decisione del TAF di non concedere l'accesso dell'uomo a questi atti.

(sentenza 1C_522/2018 e 1C_564/2018 dell'8 marzo 2019)

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