USAAddio ad Harry Belafonte, mito della musica e dei diritti civili
SDA
25.4.2023 - 16:15
Addio a un mito della musica e dei diritti civili: Harry Belafonte, che negli anni '50 del secolo scorso aveva sfondato le classifiche pop, ma anche le barriere della razza, diventando una forza nel movimento per i diritti degli afroamericani, è morto a 96 anni nella sua casa dell'Upper West Side di Manhattan.
Keystone-SDA
25.04.2023, 16:15
25.04.2023, 17:44
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Nato a Harlem da genitori originari di Martinica e di Giamaica, amico da giovane dell'attivista, politico e pastore protestante statunitense, leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani, Martin Luther King, e da vecchio grande oppositore dell'ex presidente repubblicano Donald Trump, Belafonte portò alla ribalta la musica caraibica con canzoni come Day-O (The Banana Boat Song) e Jamaica Farewell.
L'album Calypso, che le conteneva entrambe, fu il primo di un artista in assoluto a vendere più di un milione di copie.
Tre anni fa le sue carte erano tornate a casa, allo Schomburg Center for Research in Black Culture, che ha sede a dieci isolati dall'Apollo Theatre dove quell'anno Harry aveva festeggiato i 93 anni in uno degli ultimi singalong prima del confinamento per il Covid-19.
Arte e attivismo politico continuamente intrecciati
Belafonte ha avuto una lunghissima vita in cui arte e attivismo politico si sono continuamente intrecciati. È stato amico dell'attore, regista e sceneggiatore statunitense Marlon Brando e Martin Luther King, dell'influente famiglia dei Kennedy e di Nelson Mandela, attivista e presidente del Sudafrica dal 1994 al 1999.
Banana Boat, una delle sue canzoni più famose, evocava i portuali del turno di notte che, dopo aver caricato la bananiera, volevano tornare a casa. Erano seguiti Matilda, Lead Man Holler e Scarlet Ribbons. Nel 1959 Harry era l'uomo di spettacolo di colore più pagato della storia, con contratti a Las Vegas (Nevada), al Greek Theater di Los Angeles (California) e, a New York, al Palace e al Waldorf Astoria.
Cantava la musica dei neri e dei Caraibi, ma i suoi fan in stragrande maggioranza erano bianchi, una ambiguità che lo accompagnò a lungo nella sua carriera. Primo nero a vincere un Emmy e il primo a sfondare a Hollywood, presto però superato da Sydney Poitier. Ma il richiamo del cinema aveva continuato a farsi sentire: Belafonte aveva interpretato se stesso nel 1992 in The Player di Robert Altman e poi, sempre con Altman, aveva girato Kansas City del 1996 per cui aveva vinto un premio della critica newyorchese. Il suo ultimo ruolo nel 2018 fu in BlacKkKlansman di Spike Lee.
Bello e carismatico, si era fatto le ossa come artista all'American Negro Theater, la cui prima sede era in una cantina dell'edificio che ospita lo Schomburg. Harry aveva 19 anni ed era stato da poco congedato dalla marina militare quando cominciò a lavorare come factotum al teatro dopo che un'attrice, a cui lui aveva fatto lavoretti in casa, gli aveva regalato un biglietto. «Avrei preferito cinque dollari», aveva detto poi al quotidiano The New York Times: «Ma una volta messo piede in quel posto, non mi sono più guardato indietro».
Non solo musica...
Non solo musica però. Amico fin dagli anni '50 di Martin Luther King, era lui a pagare quando il padre dei diritti civili veniva arrestato e gli aveva aperto da subito la sua casa di New York. Belafonte fu anche in prima fila nella Freedom Summer e la marcia del 1963 su Washington, il boicottaggio dell'apartheid in Sud Africa negli anni Ottanta e il concerto We Are the World con Stevie Wonder, Michael Jackson, Bob Dylan e Cyndi Lauper.
Nel 1987 aveva raccolto da Kanny Kaye il ruolo di ambasciatore di buona volontà del Fondo delle Nazioni Unite per l'infanzia (Unicef). Era rimasto attivo in politica anche in vecchiaia: «Se Trump ci chiede cosa abbiamo da perdere», aveva scritto nel 2016 su The New York Times in cui invitava gli afroamericani a non votare il tycoon.