Giustizia Zurigo: pena di 18 anni a un 37enne per l'assassinio di un 66enne

pl, ats

4.10.2023 - 20:00

Il Tribunale distrettuale di Zurigo (foto d'archivio)
Il Tribunale distrettuale di Zurigo (foto d'archivio)
Keystone

Un uomo di 37 anni è stato condannato a Zurigo a 18 anni e 3 mesi di prigione per l'assassinio di un 66enne italiano.

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Quest'ultimo era stato ucciso con due colpi di pistola alla nuca e ritrovato senza vita il 5 agosto 2019 nella sua auto ferma nel parcheggio di una piscina di Zurigo-Schwamendingen.

Il 37enne deve inoltre pagare alla famiglia della vittima riparazioni morali per complessivamente 83'000 franchi.

Al processo indiziario, il Ministero pubblico ha chiesto la detenzione a vita per l'accusa di assassinio, mentre l'imputato ha negato il crimine. La sentenza di primo grado del Tribunale distrettuale non è ancora definitiva.

Un caso «chiarissimo»

La procuratrice che ha sostenuto l'accusa ha parlato di un caso «chiarissimo»: l'imputato, cittadino svizzero arrivato dalla Turchia all'età di 12 anni, avrebbe agito secondo l'accusa con inganno, perfidia e freddezza quasi inconcepibile.

L'imputato, che ha precedenti per appropriazione indebita e, tra le altre cose, per violazione della legge sulle armi, si è in gran parte avvalso della facoltà di non rispondere. «Può essere che sono un idiota e ho commesso errori in passato», ha detto. «Ma non l'ho ucciso io».

In base alle domande del giudice e della procuratrice, rimaste senza risposta, il 37enne, che si trova in detenzione preventiva da più di quattro anni, ha tra l'altro cercato in vari interrogatori di incolpare la mafia o altri soci in affari dell'italiano dell'uccisione.

Un prestito di 350'000 franchi

Il movente del crimine sarebbe una questione di soldi: è dimostrato che l'italiano trasferì all'accusato 350'000 franchi in due tranche a maggio e giugno 2019. Si sarebbe trattato di un «prestito a breve termine» per un'attività di investimento.

Il 37enne, che era indebitato, non ha tuttavia investito quei soldi affidandoli, come promesso, al banchiere «Emet», che peraltro non sarebbe mai esistito, ma li ha utilizzati per scopi privati, comprese serate in locali a luci rosse.

Secondo l'accusa, quando l'italiano insistette per il versamento dei frutti degli investimenti o per la restituzione del prestito, l'accusato gli assicurò che avrebbe incontrato il banchiere il 4 agosto 2019. Salvo poi rimandare l'appuntamento al giorno successivo, quando il 66enne fu ucciso.

Mancano prove schiaccianti

L'avvocato difensore ha parlato nella sua arringa di una visione ristretta dell'accusa e della mancanza di prove schiaccianti. In particolare, sul corpo dell'accusato e sui suoi vestiti non sono state trovate tracce di sangue o di polvere da sparo, a differenza di quanto constatato all'interno dell'auto dove sono stati esplosi i due colpi.

«Non può essere il colpevole», ha quindi detto il difensore, che ha chiesto la piena assoluzione, l'immediato rilascio e un adeguato risarcimento al suo assistito per gli oltre quattro anni di detenzione.

Nella sua arringa, la procuratrice aveva precedentemente affermato che non ci sono prove certe. Esistono tuttavia molti indizi, come gli SMS, le tracce di DNA dell'accusato sulla maniglia della porta posteriore dell'auto e le sue dichiarazioni. «Possono mancare alcuni tasselli, ma il disegno del mosaico è chiaro», ha detto la procuratrice.