Late Night USA«Avete infranto il contratto sociale uccidendoci per strada»
di Philipp Dahm
12.6.2020
Negli ultimi giorni, i presentatori dei late night show statunitensi svolgono il lavoro che dovrebbe essere di Donald Trump e dell’opposizione: denunciano il razzismo e le violenze della polizia, invocano l’unità nazionale e indicano punti di riferimento morali.
Si può affermare che «ci servono più cose di questo tipo», osserva John Oliver nella trasmissione «Last Week Tonight», in riferimento alle immagini di poliziotti bianchi in ginocchio. «Ma occorre decisamente più di questo, perché la supremazia bianca è profondamente radicata nel nostro sistema ed è fondamentale che tutti prendiamo una c**** di pala. Fare anche soltanto un po’ meno di questo sarebbe assolutamente imperdonabile».
Il presentatore confida quindi di aver avuto in testa per tutta la scorsa settimana le frasi di una donna nera che l’hanno lasciato senza parole. A partire dal minuto 31’57’’, quest’ultima spiega perché a suo avviso i manifestanti hanno saccheggiato o incendiato dei negozi nel loro stesso quartiere.
«Non è colpa nostra – afferma -. Non abbiamo niente! Proprio niente! [Il presentatore del late show] Trevor Noha l’ha detto in modo gentile ieri sera: esiste un contratto sociale. Se tu rubi o io rubo, un rappresentante delle autorità arriva e risolve il problema. Ma qui la persona che dovrebbe risolvere il problema ci ammazza! Il contratto sociale è infranto! E se il contratto sociale è infranto, che me ne importa se si brucia […] un cavolo di Target? (marchio della grande distribuzione, ndr). Avete infranto il contratto quando ci avete ammazzati per strada e ve ne infischiate».
Spiega anche che i bianchi hanno costruito la loro prosperità sulla pelle dei neri. «Dovete considerarvi fortunati per il fatto che i neri chiedono l’eguaglianza e non la vendetta!», conclude.
La sua rabbia è impressionante, scioccante, sconvolgente. Sullo schermo ricompare quindi John Oliver che è rimasto in onda 30 minuti: «Questa trasmissione è terminata, buonanotte», chiosa pallido per l’emozione, a conclusione del suo appello e di quello della donna.
In questi giorni, negli Stati Uniti, i presentatori dei late-night show fanno il lavoro che dovrebbe essere in realtà della classe politica: forniscono al Paese una bussola morale. Invocano la coesione sociale. Al posto dei democratici, rappresentano la sola opposizione di fronte a Donald Trump, del quale denunciano implacabilmente i misfatti. Per provarlo, ecco degli estratti di ciascuno dei late night show.
Trevor Noah, il predicatore
I video dell’emittente «The Late Show» vengono visti a volte da 200'000 persone. Ma si arriva anche a uno o due milioni quando le cose si incastrano bene. Il video di Trevor Noha su George Floyd e le proteste di Minneapolis ha battuto però tutti i record: più di 8,5 milioni di persone hanno voluto ascoltare l’opinione del presentatore sudafricano in merito al razzismo. Opinione che funge già da punto di riferimento morale.
Trevor Noah evoca innanzitutto un video girato a Central Park, a New York: una donna bianca ha chiamato la polizia perché un nero gli ha chiesto di tenere il proprio cane al guinzaglio.
Il presentatore denuncia il fatto che la donna abbia giocato la carta razziale nel momento in cui ha composto il numero d’emergenza affermando di essere molestata da «un afroamericano». La signora, Amy Cooper, in seguito allo scandalo ha perso il posto di lavoro e la sua vita è «distrutta», spiega Noah.
A partire dal minuto 8’40’’ parla del contratto sociale citato precedentemente dalla donna furiosa.
Trevor Noah osserva: «Pensate a tutti quelli che non hanno niente e si dicono: “Sapete cosa c’è? Continuo a giocare rispettando le regole, anche se non ho niente, perché desidero comunque che la società esista e funzioni”. E poi alcuni membri di questa società, in particolare gli statunitensi neri, vedono costantemente che questo contratto che hanno firmato con la società non è rispettato dalla società stessa. Che a sua volta li aveva obbligati a firmarlo».
A suo avviso la domanda «qual è l’interesse nel saccheggiare Target?» non è mai posta in senso inverso, ovvero «qual è l’interesse nel non saccheggiare Target?».
Le persone non lo fanno perché rispettano il contratto sociale, ma se quest’ultimo non viene applicato a loro, non ha più senso, spiega il presentatore di 36 anni. La cui conclusione è perciò la seguente: «Dobbiamo considerare le persone ai vertici come i principali responsabili […]. È come quando diciamo ai genitori di dare l’esempio ai loro figli, o ai capitani e agli allenatori di dare l’esempio alla squadra. È come quando diciamo agli insegnanti di dare l’esempio al loro studenti».
Così, si chiede Noah, se i poliziotti non rispettano la legge, perché dovrebbe farlo la società?
Al termine, fa cenno al fatto che i neri non possiedono praticamente nulla nel Paese e consente forse al proprio pubblico bianco di osservare la discussione attuale sul razzismo negli Stati Uniti da un nuovo punto di vista.
Stephen Colbert, il moralista
«A Late Show with Stephen Colbert» si apre con un estratto video da brividi lungo la schiena.
A partire dal minuto 1’00’’ si può vedere un uomo di 75 anni spinto dalla polizia a New York, che cade a terra e comincia a sanguinare. In seguito due agenti sono stati sospesi. Colbert precisa tuttavia che la polizia ha sostenuto che l’anziano fosse inciampato, prima di sapere che la scena era stata filmata.
Le immagini giustificano perfettamente l’avvertimento formulato da Noah: se i rappresentanti della legge non obbediscono alle leggi, c’è un problema nella società.
Colbert evoca altri casi di violenze avvenuti nel Bronx, a New York, e in Carolina del Nord. «Se volete disperdere un gruppo di manifestanti pacifici non vestitevi come se steste partendo per la guerra», accusa il presentatore mentre si vedono delle immagini di agenti super-equipaggiati, a partire dal minuto 3’31’’.
In un discorso a partire dal minuto 3’57’’, inoltre, si vede ancora Donald Trump domandare alle forze dell’ordine di «dominare le strade». E a partire dal minuto 4’49’’, il presidente statunitense dichiara: «Spero che George [Floyd] osservi dall’alto in questo momento e si dica: “Ciò che sta accadendo nel nostro Paese è grande”. È un grande giorno per lui, ed è un grande giorno per tutti».
La Casa Bianca e la militarizzazione delle proteste fanno ribollire Colbert: «La capitale della nostra nazione sembra stia fronteggiando un’invasione degli Stati Uniti, il che ci porta a delle immagini che non avrei mai creduto di dover vedere», afferma in riferimento all’estratto mostrato a partire dal minuto 5’21’’. Attacca quindi di nuovo le forze di polizia «integralmente bianche» del dipartimento di Giustizia, i cui membri non indossano scritte che consentano di identificarli. Una polizia che può girare armata ma non ha in realtà alcun diritto, precisa: «Non possiamo arrestarvi, ma possiamo uccidervi», avrebbe dichiarato un agente.
A partire dal minuto 9’00’’, Colbert parla di una lettera che si ritiene sia stata scritta dall’ex-avvocato di Donald Trump, John Dowd, al generale Jim Mattis, ma in un linguaggio che assomiglia in modo davvero sorprendente a quello del presidente: «I manifestanti ipocriti […] non erano pacifici e non sono reali», scrive, precisando che si tratterebbe di «terroristi».
I thought this letter from respected retired Marine and Super Star lawyer, John Dowd, would be of interest to the American People. Read it! pic.twitter.com/I5tjysckZh
«Dei terroristi?», si chiede Colbert. «Perché il governo ha paura dei suoi stessi cittadini? Non è un’opinione o un’accusa, ma un semplice fatto. Trump ha paura di noi. Altrimenti, perché avrebbe posto la Casa Bianca in una gabbia di squali? Ma stavolta è per proteggere i grandi squali bianchi».
Colbert si lancia quindi in una dichiarazione di guerra: «I nostri dirigenti tentano di intimidirci per ridurci al silenzio. Non funzionerà».
John Oliver, impeccabile
Ma l’intervento più rabbioso trasmesso la scorsa settimana è quello di John Oliver: il presentatore di origini britanniche si è mostrato più che chiaro nel «Last Week Tonight». «Mentre queste proteste rappresentano una presa di posizione contro il razzismo e la violenza istituzionalizzati, la risposta che hanno trovato di fronte a loro è francamente sconvolgente», osserva. A partire da 0’33’’, mostra estratti nei quali si vede la polizia reprimere con la forza le proteste.
Il presentatore racconta che Donald Trump ha evitato i manifestanti rifugiandosi nel bunker della Casa Bianca (ufficialmente per «ispezionarlo»), che delle guardie forestali avrebbero utilizzato gas lacrimogeni per cacciare le persone da una cappella nella quale si prevedeva di scattare delle foto al presidente. E commenta a sua volta l’annuncio dei dati sulla disoccupazione effettuato da Trump, nel corso del quale ha parlato di «un grande giorno» per George Floyd: «È semplicemente disgustoso».
Le violenze della polizia sono al centro di questi 30 minuti, con diversi estratti a partire dal minuto 3’30’’ tali da convincere anche l’ultimo degli scettici in merito al fatto che i neri subiscono spesso trattamenti sproporzionati. Già all’epoca di Bill Clinton questa tendenza era evidente (a partire da 9’15’’): sotto la sua presidenza, le forze dell’ordine sono state rafforzate e i servizi sociali indeboliti.
A partire da quel momento, sono state affidate troppe missioni alla polizia (a partire da 10’20’’) fornendole sempre maggiori equipaggiamenti, spiega il presentatore. Al minuto 11’45’’, la trasmissione presenta un consulente della polizia che non la manda a dire: Dave Grossman è un piantagrane che ha inventato il termine «killology» e che considera i poliziotti come dei «combattenti».
I late show negli Stati Uniti: capire l’America
50 Stati, 330 milioni di abitanti e ancora più opinioni: come «comprendere l’America»? Per mantenere uno sguardo d’insieme senza perdersi, occorre un faro. Le star dei late shows offrono probabilmente il miglior aiuto per la navigazione: si tratta di pefetti “piloti” , che esplorano in modo impeccabile i bassifondi del Paese e della sua popolazione. E che sono sfruttati dal nostro autore Philipp Dahm come bussole per comprendere l’umore degli statunitensi.
A volte sono anche i sindacati delle forze dell’ordine che contrastano le sanzioni per cattiva condotta o ostacolano i passi in avanti. Vale soprattutto la pena di ascoltare le affermazioni di un funzionario di Cleveland, che a partire dal minuto 16’25’’ si lamenta di una nuova riforma che obbliga gli agenti a stendere un rapporto ogni volta che decidono di estrarre la loro arma. Il sindacalista avvisa che i suoi colleghi saranno meno pronti a sparare per timore della burocrazia.
A partire dal minuto 23’55’’, il presentatore chiede cosa possa cambiare in futuro.
Si potrebbe immaginare una ristrutturazione completa delle forze di polizia, spiega, con l’obbligo per gli agenti di superare un esame speciale di attitudine psicologica. Inoltre, nel quadro di un’ipotesi di «disinvestimento» dalla polizia, il quantitativo di missioni ad essa attribuito potrebbe diminuire: gli agenti armati non dovrebbero essere chiamati ad intervenire nel caso in cui si tratti di senzatetto o di malati mentali. In questi casi si dovrebbero utilizzare i servizi sociali.
A partire da 30’00’’, John Oliver si agita: dopo le sommosse razziali degli anni Venti, Trenta, Cinquanta e Sessanta erano state tratte delle conclusioni, ma oggi i problemi riemergono senza che esse siano state mai attuate. O, come dice il presentatore, «siamo nella stessa m**** di allora».
Alla fine, la parola viene lasciata alla cittadina nera furiosa che solleva in modo impressionante un ultimo punto. O, forse, occorre dire un punto esclamativo!