Regno UnitoBoris Johnson esce di scena alla Trump, il Regno s'interroga
SDA
10.6.2023 - 21:32
Un'uscita di scena rumorosa, alla Trump o quasi. Boris Johnson sbatte la porta e alla politica britannica non resta che domandarsi – all'indomani dell'annuncio bomba delle dimissioni immediate da deputato, date per evitare la prospettiva di poter essere messo fuori d'autorità in conseguenza delle conclusioni dell'inchiesta sul Partygate – se si tratti davvero della parola fine per la turbinosa quanto controversa carriera pubblica ventennale del padre della Brexit.
Keystone-SDA
10.06.2023, 21:32
SDA
Carriera punteggiata di clamorose vittorie elettorali da predestinato e di passi falsi da sospetto bugiardo seriale, di tante cadute in disgrazia e di altrettante resurrezioni dalle proprie ceneri.
L'addio (o arrivederci) dell'ex primo ministro Tory, 59 anni non ancora compiuti e in attesa del figlio numero 7 dalla giovane moglie numero 3, è stato suggellato in una recriminatoria lettera aperta priva delle minima autocritica.
Un «J'accuse» senza autocritica
Vergata anzi in forma di j'accuse: sia contro la commissione parlamentare bipartisan che lo ha indagato per lo scandalo dei cosiddetti «party di Downing Street» organizzati sotto i suoi occhi in violazione delle restrizioni anti Covid imposte all'epoca a milioni di britannici; sia contro il 'traditore' Rishi Sunak, suo ex ministro e successore sullo scranno di premier. Non senza l'aggiunta d'una frase a effetto che suona di avvertimento su un futuro indeterminato: «È triste lasciare il Parlamento, almeno per ora».
Parole che Sunak, sorpreso dall'accelerazione della bufera al suo ritorno dal vertice di Washington col presidente degli Stati Uniti Joe Biden, si guarda bene dal commentare.
Aggrappato alla speranza di poter contenere l'onda d'urto delle faide della parrocchia Tory e di liberarsi in qualche modo dell'ombra del predecessore prima delle prossime politiche: elezioni in calendario per fine 2024, salvo anticipi, su cui incombono da mesi sondaggi cupi per i conservatori di fronte ai laburisti neomoderati del pur grigio Keir Starmer: come sembra destinato a confermare a anche il voto locale, ora imminente, delle suppletive da indire nei 3 collegi lasciati vacanti per protesta, oltre che da Johnson, da Nadine Dorries e – oggi – da Nigel Adams, due fedelissimi.
Cosa fanno le opposizioni
Quanto alle opposizioni, lo sforzo in queste ore pare quello di fare a pezzi definitivamente l'eredità dell'ex premier.
Ma pure di evidenziare «il caos» e le divisioni del partito che egli lascia orfano. «Boris Johnson è un codardo che non accetta di affrontare la responsabilità delle sue azioni», taglia corto Angela Rayner, vice leader del Labour, non senza imputare a Sunak d'essere a sua volta in balia degli eventi.
Mentre l'ex consigliere Will Walden esclude che venerdì sia stato il canto del cigno «di Boris»: il quale al momento resta in Nigeria, impegnato in una delle tappe dell'attività di conferenziere e consulente internazionale che, dopo l'uscita obtorto collo da Number 10 dell'estate scorsa, gli ha permesso se non altro d'intascare milioni di sterline; ma secondo Walden già «si prepara al dopo», coltivando sogni di rivincita che nella sua mente potrebbero prendere corpo laddove «Rishi» fosse travolto alle urne.
Epilogo che lui sembra del resto intenzionato ad agevolare con tutte le munizioni del fuoco 'amico' a sua disposizione. Anche se il tentativo di presentarsi, non troppo diversamente dal gemello americano Donald Trump, quale vittima di «una caccia alle streghe», ordita «a prescindere dai fatti» da un establishment deciso a punirlo per aver realizzato la Brexit, viene contestato da commentatori e rivali.
Commentatori e rivali che semmai lo liquidano come vittima di se stesso, dei ripetuti scivoloni del suo triennio da primo ministro e delle stesse promesse mancate d'una Brexit oggi meno popolare che mai nei sondaggi.
Senza contare che la commissione che lo ha inchiodato sulle asserite bugie dette alla Camera dei Comuni sul Partygate era sì presieduta dalla deputata laburista Harriet Harman, colpevolista già prima d'iniziare; ma aveva al suo interno 4 Tories su 7 membri: inclusi gli insospettabili veterani sir Bernard Jenkins e sir Charles Walker, euroscettici storici e brexiteer di ferro.