Approfondimento Come gli Stati Uniti reprimono il diritto di voto dei cittadini sgraditi

Helene Laube

1.11.2020

William Tariq Palmer ha passato in carcere 31 anni – oggi, si batte per il diritto di voto agli ex-detenuti e alle persone in libertà vigilata.
William Tariq Palmer ha passato in carcere 31 anni – oggi, si batte per il diritto di voto agli ex-detenuti e alle persone in libertà vigilata.
Michelle Wood

Nonostante i continui avvertimenti di Donald Trump, negli Stati Uniti i brogli elettorali sono rari. I repubblicani in particolare, però, usano metodi discutibili e in parte illegali per influenzare l'esito delle elezioni.

William Tariq Palmer è stato condannato per aver aggredito un uomo in un parcheggio in California nel 1988. Si è beccato una condanna all'ergastolo senza possibilità di scarcerazione anticipata. All'epoca, aveva 17 anni. Dopo aver trascorso diversi decenni lottando per la sua liberazione e aver scontato 31 anni e 22 giorni della sua condanna, è stato autorizzato a uscire di prigione nel marzo del 2019, all'età di 48 anni. È diventato maggiorenne in prigione. Ha perso i suoi genitori. Non ha potuto sposarsi né farsi una famiglia. E non ha potuto votare.

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William Tariq Palmer non avrà il diritto di partecipare nemmeno alle elezioni del 3 novembre. Le persone come lui – in libertà vigilata – non possono recarsi alle urne in California, esattamente come coloro che stanno scontando una pena in una prigione di questo Stato o del governo federale. Il suo periodo di prova va dai tre ai cinque anni e terminerà quindi non prima di marzo 2022, e pertanto il cinquantenne si sente ancora impotente, senza libertà. «Se avessi il diritto di votare, eserciterei il mio diritto di dire no a un sistema che lascia la scelta solo tra due partiti, due candidati alla presidenza, senza elezione diretta – e che non permette a tutti i cittadini di votare», dichiara l'uomo che abita e lavora a San Francisco. «Con la mia voce potrei incoraggiare gli altri e votare in nome delle centinaia di migliaia di persone a cui è stato impedito di esercitare questo diritto.»

Benché sia tenuto lontano dalle urne, William Tariq Palmer, dalla sua liberazione, si batte per una modifica del diritto di voto californiano. Il 3 novembre, gli elettori dello Stato più popoloso si pronunceranno su un disegno di legge che reintrodurrebbe il diritto di voto per le persone in libertà vigilata. William Tariq Palmer partecipa agli incontri a sostegno della «Proposta 17» e si impegna in favore dei diritti dei carcerati e delle persone in libertà condizionale lavorando per le organizzazioni «All of Us or None» e  «Legal Services for Prisoners with Children». «È tempo di votare su ogni emendamento, legge, norma e disposizione che limita il processo democratico per i cittadini», afferma.

Circa la metà degli Stati rendono difficile se non addirittura impossibile votare per milioni di elettori – anche se non sono mai stati condannati. Gli afroamericani come William Tariq Palmer, i latinoamericani e gli amerindi vengono intenzionalmente tenuti lontani dal processo democratico. Fino all'adozione della legge sul diritto di voto del 1965 (vedi box), vessazioni come i test di lettura e di scrittura o le tasse elettorali erano frequenti e le violenze fisiche non erano rare.

La legge sul diritto di voto

La legge sul diritto di voto («Voting Rights Act») del 1965, probabilmente il principale risultato delle riforme dei diritti civili degli anni '60, pose fine a metodi e leggi discriminatori. Il suo obiettivo era quello di garantire agli afroamericani e ad altre minoranze lo stesso accesso alle elezioni dei cittadini bianchi. Nel 2013, i cinque giudici conservatori della Corte Suprema hanno compromesso questa legge dichiarando incostituzionale un elemento fondamentale. La sezione 5 richiedeva agli stati e alle contee particolarmente colpiti dalla discriminazione elettorale di far approvare da Washington qualsiasi modifica alle loro leggi elettorali. Per paradosso, i giudici hanno giustificato in particolare la loro decisione dichiarando che la situazione negli stati del sud - vale a dire gli ex stati schiavisti ancora arroccati su ideologie razziste - era migliorata a tal punto che la sezione 5 non era più necessaria. La decisione equivaleva a «gettare via l'ombrello durante un temporale perché non sei bagnato», ha criticato la giudice Ruth Bader Ginsburg, morta a settembre, a margine del voto di minoranza dei quattro giudici di sinistra. In definitiva, solo questa sezione, ora inapplicabile, esigeva che gli Stati meridionali adempissero ai loro obblighi. Poche ore dopo l'annuncio del voto, negli Stati Uniti è comparsa una nuova ondata di tattiche volte a soffocare gli elettori.

Oggi, la chiusura dei seggi, la complessa suddivisione delle circoscrizioni («gerrymandering»), l'accesso alle sedi elettorali reso più difficile o le leggi sulle procedure d'identificazione sono alcuni dei trucchi e delle tattiche comunemente utilizzati. E quest'anno, alla luce degli sconvolgimenti che sta vivendo il Paese, ai seggi bisogna temere tentativi di intimidazione o eventuali violenze - soprattutto dove votano numerosi afroamericani. In molti Stati, è autorizzato il porto d'armi all'interno delle sedi elettorali. Il presidente Donald Trump stesso getta benzina sul fuoco e invita i suoi sostenitori, spesso pesantemente armati, a «controllare» attentamente i seggi.

Sono soprattutto i repubblicani che cercano di negare il voto ai gruppi di popolazione sgraditi che hanno un'alta probabilità di votare i democratici. Considerato che il presidente uscente Donald Trump e il suo sfidante democratico Joe Biden sono testa a testa negli Stati in cui la maggioranza è debole («swing states»), queste pratiche sospette potrebbero determinare l'esito del voto.

Panoramica delle tecniche più comuni

Perdita del diritto di voto: William Tariq Palmer fa parte dei 5,2 milioni di statunitensi a cui è stato negato il diritto di voto temporaneamente o definitivamente a causa di una condanna. Il dato corrisponde più o meno al 2,3% dei circa 235 milioni di cittadini che godono del diritto di voto: con 2,2 milioni di detenuti, gli Stati Uniti hanno la popolazione carceraria più grande del mondo, sia in termini assoluti, sia in rapporto alla popolazione. Gli afroamericani sono particolarmente coinvolti: il 7,7% di loro ha perso il diritto di voto, contro l'1,8% della popolazione non nera.

Vecchia di 233 anni, la costituzione degli Stati Uniti è stata modificata attraverso una manciata di emendamenti per correggere gli abusi e stabilire delle norme a livello nazionale. Dal 1870, il 15° emendamento stipula quindi che è illegale rifiutare il diritto di voto a una persona sulla base della sua appartenenza etnica, del colore della pelle o del suo ex status di schiavo. Da allora, numerosi Stati hanno fatto ricorso a condanne penali – associate a una eccessiva sorveglianza della polizia verso la popolazione non bianca – per soffocare il potere politico degli afroamericani, dei latinoamericani e degli amerindi.

Solo due Stati (il Maine e il Vermont) e il distretto di Columbia non privano le persone dietro le sbarre del diritto di voto. In trentanove Stati, i condannati recuperano il diritto di voto dopo aver scontato la loro pena e aver passato il periodo probatorio. In nove Stati alle persone condannate è vietato il voto a vita.

Il caso problematico della Florida. Nel novembre del 2018, i cittadini della Florida si erano pronunciati in favore per il 64,5% di un emendamento alla costituzione dello Stato: il 1,4 milione di ex detenuti dello Stato, con l'esclusione di chi ha commesso omicidi e reati sessuali, doveva riavere il diritto di voto. Ma i repubblicani, che in Florida hanno la maggioranza alla Camera dei rappresentanti e al Senato e il posto del governatore hanno varato, un anno dopo, una legge che praticamente annulla il volere degli elettori.

Solo gli ex detenuti che hanno pagato le spese e le ammende associate alla condanna possono iscriversi al registro degli elettori: questa norma è stata adottata dai repubblicani, che sanno bene che la maggior parte degli ex carcerati non ha i mezzi finanziari per rispettarla. Secondo uno studio, sono coinvolti circa 800'000 detenuti.

Secondo la Florida Rights Restoration Coalition (FRRC), tra l'adozione della legge avvenuta circa due anni fa e l'inizio di settembre 2020, 67'000 ex detenuti si sono iscritti alle liste elettorali, ossia molto meno del circa 1,4 milioni di persone che avrebbero potuto tornare a votare, in base a quanto aveva stabilito la popolazione. La FRRC ha raccolto denaro tra molti personaggi famosi e sportivi per estinguere i debiti degli ex carcerati. Il multimilionario Michael Bloomberg, che si era candidato alla presidenza democratica, ha raccolto 16 milioni di dollari (circa 14,5 milioni di franchi) per questa iniziativa.

Norme sulle procedure d'identificazione. Per poter votare, bisogna dimostrare la propria identità, come avviene in Svizzera. Ma negli Stati Uniti, avere un documento di riconoscimento come la carta d'identità o il passaporto non è obbligatorio. E molti cittadini non hanno neanche la patente. L'11% degli statunitensi, ossia più di 21 milioni di persone, non ha la carta d'identità rilasciata dal governo. Molto spesso gli afroamericani e altri membri di minoranze, le persone svantaggiate o gli anziani non possono acquistare la carta d'identità. Inoltre il suo rilascio richiede spesso lunghi spostamenti, cosa che rappresenta un altro ostacolo intenzionale verso queste fasce della popolazione.

In particolare negli Stati repubblicani, c'è un numero crescente di leggi che rendono il possesso di una carta d'identità un requisito obbligatorio per il voto. Al momento 35 dei 50 Stati la richiedono, mentre in sette Stati i potenziali elettori devono presentare addirittura un documento di riconoscimento con foto approvato dal governo locale.

In Wisconsin, per esempio, una legge severa sui documenti d'identità e altre misure messe in atto hanno come conseguenza quella di impedire a circa 200'000 elettori potenzialmente democratici di partecipare alle elezioni del 3 novembre. Nel 2016 Donald Trump ha vinto in Wisconsin con un margine di 23'000 voti – secondo gli studi, leggi durissime e altre manovre avevano già impedito di votare a decine di migliaia di elettori neri e altri potenzialmente democratici.

Restrizioni al momento dell'iscrizione alle liste elettorali. Diversamente da quanto accade in Svizzera e in molte altre democrazie, negli Stati Uniti i cittadini maggiorenni non diventano automaticamente elettori. Spetta ai cittadini stessi iscriversi per poter votare. Così le restrizioni al momento dell'iscrizione ai registri elettorali sono da tempo uno dei metodi più comunemente utilizzati per bloccare gli elettori. L'obbligo di presentare un documento per dimostrare la propria nazionalità o identità, le severe multe applicabili alle campagne di registrazione o ancora i tempi stretti per iscriversi sono tra le procedure più usate.

Elettori cancellati dai registri elettorali. L'autorità elettorale elimina dalle liste i nomi delle persone che si sono trasferite, dei deceduti e di coloro che non sono autorizzati a votare per altre ragioni. Fin qua, nulla di illegittimo. Tuttavia accade spesso che alcuni Stati si servano di questi procedimenti per privare illegalmente del diritto di voto molti cittadini – spesso attraverso procedure automatiche e talvolta palesemente difettose.

A volte interi gruppi di persone che presumibilmente hanno lasciato il distretto elettorale vengono cancellati. Altre volte, molte migliaia di persone vengono eliminate perché le autorità ritengono senza motivo che non dispongano più del diritto di voto a causa di un reato penale. In certi casi la gente viene cancellata senza un motivo apparente. Spesso per escludere i cittadini dai registri vengono utilizzati dati falsi.

Gli elettori non bianchi, che spesso votano i democratici, sono colpiti in modo sproporzionato da queste pratiche. Nel 2018, il 70% delle persone cancellate dalle liste elettorali nello Stato della Georgia erano nere.

Non è raro che gli elettori scoprano che il loro nome è stato cancellato dai registri elettorali nel momento in cui si recano alle urne. E a quel punto non è più possibile riscriversi.

Secondo uno studio del Brennan Center for Justice, un istituto di ricerca, la cancellazione degli elettori è notevolmente aumentata nel corso degli utlimi anni. Solo nel 2014 e 2016 gli Stati hanno eliminato dai registri circa 16 milioni di elettori. In base allo studio i collegi elettorali storicamente colpiti da discriminazione razziale, a cui non viene più impedito di privare i gruppi di elettori del diritto di voto dalla sezione 5 del Voting Rights Act del 1965, reso inapplicabile dalla Corte Suprema, hanno rimosso molti più elettori dai loro registri. Ogni stato può e deve fare di più «per proteggere gli elettori da un'epurazione impropria», scrive il Brennan Center.

Accesso al voto reso difficile. Questa è una tattica efficace: per impedire ad alcune fasce della popolazione di votare, basta chiudere i seggi nelle regioni interessate. Questo permette di allungare la distanza dalle urne. Diventa più complicato votare per le persone senza auto e senza accesso ai mezzi pubblici.

Secondo uno studio pubblicato la settimana scorsa da «Vice News», il Paese quest'anno conta circa 21'000 seggi in meno per le elezioni. Tra il 2016 e il 2020, 20'818 sedi elettorali, ossia il 20%, sarebbero state chiuse. La pandemia da coronavirus ha accelerato la tendenza al voto per posta e al consolidamento dei seggi elettorali, ma quest'ultimo fattore è rafforzato da misure di risparmio mirate e dalla cancellazione degli elettori, precisa lo studio.

Secondo l’ACLU, un'organizzazione statunitense di difesa dei diritti civili, su scala nazionale, i distretti dove le minoranze rappresentano una percentuale elevata contano meno seggi e funzionari elettorali per votante.

Un'immagine impensabile per gli elettori svizzeri: il 12 ottobre a Augusta, in Georgia, questi elettori fanno una coda di ore per consegnare la scheda elettorale in occasione del voto anticipato.
Un'immagine impensabile per gli elettori svizzeri: il 12 ottobre a Augusta, in Georgia, questi elettori fanno una coda di ore per consegnare la scheda elettorale in occasione del voto anticipato.
Keystone/Michael Holahan/The Augusta Chronicle via AP, File

Gerrymandering. Il «gerrymandering» (termine nato nel 1812 e derivato dal nome del politico Elbridge Gerry e dalla parola «salamander») è un metodo dimostrato che permette di modificare la volontà degli elettori. Questa divisione geometrica dei collegi elettorali, che in realtà è illegale negli Stati Uniti, consiste da un lato nel raggruppare le roccaforti dell'opposizione nel minor numero possibile di collegi elettorali e, dall'altro, nel costituire molte circoscrizioni in cui il proprio partito è in testa.

I distretti vengono ridisegnati ogni dieci anni sulla base dei dati raccolti durante il censimento. L'obiettivo è quello di tener conto dell'evoluzione demografica e delle differenze etniche. Tuttavia la redistribuzione dei collegi elettorali rappresenta spesso uno strumento politico che permette di manipolare l'esito delle elezioni e insabbiare i voti di milioni di elettori.

Helene Laube è giornalista a San Francisco. Dal 2000 fino alla pubblicazione dell'ultimo numero del "Financial Times Deutschland" nel dicembre 2012, è stata corrispondente per il quotidiano economico della Silicon Valley. Fa parte dei membri fondatori del «FTD». In precedenza è stata redattrice per «Manager Magazin» ad Amburgo. I suoi articoli sono stati pubblicati anche su media come il «Financial Times», «Der Spiegel», il «Los Angeles Times», «Die Zeit», «Stern», la «Neue Zürcher Zeitung», «brand eins» e «Wired Germany».

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