Regno Unito Truss traballa e perde altri due ministri

SDA

19.10.2022 - 21:38

Si fa sempre più disperata l'impresa di Liz Truss per provare a salvare la poltrona di premier ad appena due mesi dall'arrivo a Downing Street.
Si fa sempre più disperata l'impresa di Liz Truss per provare a salvare la poltrona di premier ad appena due mesi dall'arrivo a Downing Street.
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Si fa sempre più disperata l'impresa di Liz Truss per provare a salvare la poltrona di premier ad appena due mesi dall'arrivo a Downing Street.

Keystone-SDA

Il governo Tory ha perso stasera altri due pezzi, dopo le dimissioni nel pomeriggio della ministra dell'Interno seguite al cambio della guardia sullo scranno di cancelliere dello Scacchiere. L'ultima defezione è quella della ministra-capogruppo (chief whip), Wendy Morton, una stretta alleata della premier, incaricata nelle sole 6 settimane di vita della compagine di garantire la disciplina di partito alla Camera dei Comuni.

Morton si è dimessa secondo i media con il suo vice Craig Whittaker dopo un caotico voto in aula su una mozione del Labour, segnato da nervosismo nella maggioranza e addirittura da denunce di pressioni e spintoni su alcuni deputati dissenzienti in cui pare sia stata coinvolta la vicepremier Therese Coffey.

Sfida vinta peraltro agevolmente dal governo alla fine con 96 voti di scarto contro la mozione dell'opposizione laburista destinata nelle intenzioni a ripristinare il bando sul fracking: controversa tecnica di fratturazione del sottosuolo praticata soprattutto negli Usa per l'estrazione del cosiddetto shale gas che l'esecutivo Truss ha deciso di reintrodurre nel Regno Unito – cancellando un divieto imposto nel 2019 – per far fronte alla crisi energetica. Con una scelta non condivisa da alcuni deputati del gruppo Tory eletti nei territori interessati da potenziali trivellazioni, malgrado l'impegno preso dal ministro della Attività Produttive, Jacob Rees-Mogg, a garantire una sorta di diritto di veto a tutte le comunità locali.

La premier in difficoltà

La premier Liz Truss rischia quindi sempre più di non sfuggire al destino di dover strappare la palma ingloriosa di capo del governo di Sua Maestà più effimero della storia britannica a George Canning, morto nel 1827 dopo soli 119 giorni di mandato.

Tornata sulla graticola in Parlamento, nel Question Time del mercoledì, per cercare di recuperare un minimo di credito dopo l'umiliante smantellamento del suo pacchetto fiscale «kamikaze» d'esordio da parte del neo cancelliere dello Scacchiere, Jeremy Hunt, la premier Tory si è ritrovata nel pomeriggio ad affrontare un altro passo falso: le dimissioni obbligate della ministra dell'Interno anti immigrazione, Suella Braverman, altro falco di una compagine connotata in origine da pretese di conservatorismo ultrà.

Braverman non è stata tecnicamente silurata, ma si è dimessa dopo un colloquio con Truss a causa di quello che è stato presentato come «un errore in buona fede». Avendo riconosciuto d'aver inviato dalla sua mail personale a un collega deputato – in violazione delle regole sulla sicurezza delle comunicazioni ministeriali – il testo preliminare di un ennesimo giro di vite sulla politica migratoria. Errore di cui si è autoaccusata e per il quale ha valutato il passo indietro come «l'unica cosa giusta da fare».

La lettera di congedo di Braverman

Nella lettera di congedo, l'ormai ex ministra – che giorni fa era arrivata a denunciare come un «golpe» le pressioni esercitate nei giorni passati sulla premier per costringerla a rinunciare alla «mini manovra finanziaria» iperliberista del 23 settembre, e a sostituire il cancelliere Kwasi Kwarteng col più cauto nuovo uomo forte dell'esecutivo Hunt – non ha mancato tuttavia di lanciare stilettate nel momento del passo d'addio contro generici altri che non si starebbero assumendo le proprie responsabilità di fronte a un cambiamento di linea politica verso cui ha espresso apertamente «preoccupazione».

Parole che preannunciano nuove grane per Truss. La quale si ritrova costretta a sostituire una seconda (ex) fedelissima della destra interna – capace nelle scorse ore di attirarsi critiche e sarcasmo per aver imputato i disagi provocati alla gente dai blitz degli ambientalisti radicali nelle strade di Londra alla cosiddetta cultura «woke» di chi «legge il Guardian, mangia il tofu» o vota «la coalizione del caos» formata da Labour e LibDem – di nuovo con una figura più moderata e più lontana da lei: Grant Shapps, ex ministro dei Trasporti di Boris Johnson, il cui ripescaggio ufficializzato in serata alla guida dell'Home Office sposta inevitabilmente gli equilibri del top team del gabinetto su posizioni meno ideologiche e in linea con il pragmatismo dell'ambizioso ex cancelliere Rishi Sunak: avversario numero uno della stessa Liz nella sfida dei mesi scorsi per la successione post BoJo.

Una premier «in carica ma non al potere»?

Uno spostamento del baricentro d'un governo in cui la premier appare ormai ai più «in carica ma non al potere». Affannata anche oggi nelle risposte del Question Time ai «boo» dei banchi delle opposizioni e agli attacchi irridenti del leader laburista Keir Starmer sullo sfondo d'un dato mensile sull'inflazione aggiornato proprio stamane a un galoppante 10,1%: picco per il Regno Unito dal 1982.

Nell'occasione Starmer non ha mancato di cambiare focus, visto che il governo è stato obbligato in pochi giorni a passare dalla strategia delle promesse dei tagli di tasse in deficit (cancellate da un giorno all'altro da Hunt), all'annuncio d'interventi di riduzione di spesa che fanno presagire nuove forme d'austerità: per rassicurare i mercati a costo di rinfocolare proteste sociali già in corso sull'isola a colpi di scioperi e vertenze salariali.

Al riguardo, Truss ha tentato di parare il colpo ribadendo l'impegno – messo in dubbio dai primi interventi del neo cancelliere – ad adeguare ad aprile le pensioni al tasso d'inflazione; ma non i sussidi del welfare.

Mentre ha replicato alle sollecitazioni a dimettersi avvertendo di essere «una combattente, non una che si arrende» ("a fighter, not a quitter"). Non abbastanza, comunque, per convincere chi la vede sempre più come un primo ministro a termine, in attesa che la stessa maggioranza Tory – decisa a resistere finché potrà alle pressioni per un voto anticipato, in presenza di sondaggi senza precedenti che indicano il partito di governo in caduta libera fino a 36 punti di scarto dal Labour – trovi il modo per rimpiazzarla con un leader possibilmente unitario. E meno devastato sul piano della credibilità.