CinaIl tycoon cinese Lai condannato a morte per corruzione e bigamia
SDA
5.1.2021 - 21:05
Condanna a morte per corruzione e bigamia. Con una sentenza senza precedenti e senza possibilità di appello un tribunale di Tianjin, in Cina, ha stroncato definitivamente vita e carriera di Lai Xiaomin, ex banchiere ed ex alto funzionario del Partito comunista cinese.
La parabola discendente del potentissimo capo di China Huarong Asset Management, uno dei quattro colossi di gestione dei crediti deteriorati controllato dallo Stato, è iniziata nell'aprile 2018, quando Lai è stato posto sotto inchiesta ed espulso dal Partito comunista cinese (Pcc) per le «gravi violazioni delle regole disciplinari e delle leggi», secondo la formula classica usata dalla Commissione centrale per l'ispezione disciplinare, la temuta Anticorruzione del Pcc.
Che la sua sorte fosse segnata come clamoroso simbolo della campagna anti-corruzione del presidente Xi Jinping è apparso chiaro nel gennaio dello scorso anno, quando l'emittente tv statale Cctv ha mostrato in un documentario la grande stanza di uno dei suoi appartamenti a Pechino imbottita di tre tonnellate di contanti, frutto di dieci anni di tangenti che gli hanno fruttato anche lingotti d'oro, auto di lusso, proprietà immobiliari.
215 milioni di euro di tangenti
Lai, 58 anni, è stato giudicato colpevole di aver preso 215 milioni di euro di tangenti e di appropriazione indebita di fondi pubblici per 3,1 milioni di euro. Gli importi sono «estremamente elevati, le circostanze particolarmente gravi e le intenzioni estremamente dannose», recita la sentenza.
E ad aggravare la situazione dell'ex economista – «il più corrotto tra i corrotti» che è stato anche capo del Dipartimento di supervisione bancaria della Banca centrale cinese – il verdetto di colpevolezza per bigamia, per aver «vissuto a lungo con altre donne», al di fuori del suo matrimonio, con le quali ha avuto «figli illegittimi». Le sue amanti, ha stabilito l'inchiesta, sono state oltre cento, mantenute con fondi illeciti e molte di esse assunte nel gruppo che presiedeva.
Lai, in una dichiarazione pubblica, ha ammesso le sue responsabilità ed «espresso rimorso» ma ha anche detto di non aver «speso un solo centesimo» perché «non ne ho avuto il coraggio».
Giustificazione che difficilmente salverà la vita all'uomo che Xi vuole come simbolo massimo della sua campagna anti-corruzione che in totale ha sanzionato oltre un milione e mezzo di quadri del Pcc e che ha al suo attivo altri nomi eccellenti, spesso non graditi al presidente cinese.