Elezioni Netanyahu vicino al trionfo in Israele, governerà con l'estrema destra

SDA

2.11.2022 - 20:26

Benyamin Netanyahu ostenta prudenza, ma non così tanto da non ammettere di «essere vicino ad una grande vittoria». Se i 65 seggi – a quasi il 90% del voto scrutinato – di cui è accreditata la sua coalizione di destra saranno confermati, non si può in effetti non parlare di trionfo.

Benjamin Netanyahu saluta i suoi sostenitori dopo i primi risultati degli exit poll.
Benjamin Netanyahu saluta i suoi sostenitori dopo i primi risultati degli exit poll.
KEYSTONE/AP Photo/Maya Alleruzzo

Keystone-SDA

Un successo che ha sommerso l'attuale maggioranza di Yair Lapid ma che sarà fortemente segnato dall'eclatante affermazione della destra radicale sionista religiosa di Itamar Ben Gvir, terza forza politica della Knesset.

Nonostante la politica israeliana non sia scevra da scarti improvvisi, il quadro che disegna il risultato delle urne stavolta non sembra lasciare spazio ad alchimie politiche. La nuova maggioranza è chiara ed è composta dal Likud (32 seggi), dal Sionismo religioso (14 seggi) e dai due partiti religiosi (19 seggi insieme). Un totale di 65 seggi (su 120 in Parlamento) che assicura agilmente un governo stabile a Gerusalemme dopo cinque elezioni in poco più di tre anni.

Il fronte opposto guidato da Lapid (inclusi Benny Gantz, i Laburisti, Avigdor Lieberman e gli islamisti di Mansour Abbas) è fermo a 50 seggi. Altri 5 – fuori dei blocchi – ne conta la sinistra araba di Hadash Taal.

Fuori dalla Knesset resterebbero la sinistra di Meretz, i nazionalisti arabi di Balad e la destra di Ayelet Shaked, che è stata accusata di aver fatto un accordo segreto con Netanyahu per attirare voti moderati di destra da sottrarre ai radicali. Meretz e Balad sperano in un miracolo dell'ultimo momento per superare la soglia dello sbarramento del 3.25%: se ci riusciranno potrebbe cambiare la distribuzione dei seggi ma non – assicurano analisti ed esperti – il quadro generale.

L'affermazione di Ben Gvir, un problema per Netanyahu

Fatto sta che l'affermazione di Ben Gvir – e del suo compagno Bezalel Smotrich – pone un problema politico a Netanyahu sia a livello interno che verso l'esterno. L'ideologia radicale del Sionismo religioso – che sembra essere stata premiata dall'elettorato giovane – costituirà il banco di prova della solidità del prossimo esecutivo anche per uno statista esperto come Netanyahu, il premier più longevo della storia di Israele, ancor più del padre della patria David Ben Gurion.

Nel suo primo commento Ben Gvir ha fatto sfoggio di moderazione: «Lavorerò per tutto il popolo di Israele, anche per quelli che mi odiano». Poi ha aggiunto che farà parte di «un governo completamente di destra». E' noto che il deputato radicale ha chiesto già prima del voto il ministero della Pubblica sicurezza, così come sono note le sue convinzioni: annessione dell'intera Cisgiordania senza diritti per i palestinesi; rigetto della soluzione a 2 Stati; mano libera per soldati e poliziotti; messa all'indice degli arabi israeliani «sleali».

Come evolveranno le relazioni con gli USA?

Netanyahu dovrà fronteggiare questo quadro. Già prima delle elezioni Usa e Paesi del Golfo hanno ammonito il leader del Likud sull'alleanza con Ben Gvir, che potrebbe avere riflessi sui legami instaurati con gli Accordi di Abramo.

Oggi l'ex ambasciatore americano in Israele Martin Indik ha previsto «una strada impervia» da percorrere per le relazioni con gli Usa se Ben Gvir andrà al governo. Per ora da Washington non ci sono dichiarazioni ufficiali, ma il sito Axios ha citato due fonti anonime americane secondo cui è improbabile che l'amministrazione Biden vorrà impegnarsi con Ben Gvir.

Sul fonte opposto, quello di Lapid, il senso della sconfitta è totale e già volano gli stracci. Il premier – che ha rinunciato a partecipare alla prossima conferenza sull'ambiente in Egitto – è stato accusato dai suoi alleati di non aver fatto una buona campagna elettorale. Sotto accusa anche la leader dei Laburisti Merav Michaeli, di cui sono state chieste le dimissioni.