Guerra in Medio OrienteGantz lancia un ultimatum: «Un piano su Gaza entro l'8 giugno o lasciamo il governo»
SDA
18.5.2024 - 20:50
Il governo israeliano registra una nuova scossa che rischia di indebolire il premier Benyamin Netanyahu, alla prese con la fatidica operazione militare a Rafah. Dopo il ministro della difesa Yov Gallant, a dare fuoco alle polveri è stato Benny Gantz, che ha dato un ultimatum al premier: se entro l'8 giugno non verrà formalizzato un piano d'azione generale su Gaza, che includa il futuro politico della Striscia «in una direzione USA-UE-araba», il leader centrista lascerà l'esecutivo d'emergenza.
18.05.2024, 20:50
SDA
«Devi scegliere, se non sceglierai usciremo dal governo», è stato il perentorio messaggio rivolto a Netanyahu da Gantz, nel corso di una conferenza stampa annunciata nel primo pomeriggio. La richiesta alla leadership è di «vedere il quadro generale», tracciando un piano di sei punti da approvare entro poche settimane.
Le richieste principali: «Riportare gli ostaggi, abbattere Hamas e smilitarizzare Gaza». E soprattutto, scegliere «una direzione con Stati Uniti, UE, arabi e palestinesi che getti le basi di un'alternativa futura a Gaza che non sia né Hamas né Abu Mazen», il presidente dell'Autorità nazionale palestinese.
È proprio questo, l'assetto della Striscia dopo il conflitto, il tema più divisivo nell'esecutivo. Gantz si è messo sulla scia del ministro della difesa, che nei giorni scorsi aveva attaccato pubblicamente il premier per la sua «indecisione» sul dopoguerra nella Striscia.
Il capo dei centristi è andato giù ancora più pesante
Il capo dei centristi è andato giù ancora più pesante. Accusando «una parte dei politici di comportarsi in maniera codarda pensando solo a se stessi»: un riferimento a Netanyahu, ma anche probabilmente alla compagine di governo della destra ortodossa, che così come il premier non vuole sentir parlare di governo palestinese a Gaza.
«Negli ultimi tempi – ha rincarato – qualcosa è andato storto, le decisioni essenziali non sono state prese, una piccola minoranza ci sta portando contro gli scogli».
Nessun spiraglio per una tregua con Hamas
Il terremoto che ha scosso il gabinetto di guerra israeliano è arrivato in una fase in cui non ci sono spiragli di una tregua con Hamas. Fonti del negoziato hanno riferito che le trattative per il rilascio di altri ostaggi sono state sospese.
In particolare, resterebbero differenze molto ampie sulla fine della guerra e sul veto di Israele ai nomi di terroristi di cui Hamas potrebbe chiedere il rilascio. L'unica novità è che è stato recuperato il corpo di altro ostaggio, ucciso il 7 ottobre.
L'operazione delle forze israeliane è la stessa che ha permesso di riportare in patria altri tre corpi ieri, incluso quello di una giovane tedesco-israeliana, una dei prigionieri simbolo dell'attacco di Hamas.
I bombardamenti proseguono con intensità
Nello stallo delle trattative, «in un vicolo cieco», sono proseguiti con intensità i bombardamenti su Rafah, mentre le truppe di terra hanno spiegato di aver «continuato a condurre operazioni mirate» nella zona est della città di frontiera con l'Egitto, trovando armi ed esplosivi di Hamas. Ma l'ospedale kuwaitiano ha denunciato un raid su un campo di sfollati, che ha provocato vittime.
Battaglie sono state registrate anche nel nord, a Jabalya, e nel centro di Gaza. In tutta la Striscia sono stati «colpiti oltre 70 obiettivi» di Hamas in 24 ore, ha reso noto l'esercito dello Stato ebraico, che ha rivendicato l'eliminazione di due esponenti di spicco della Jihad islamica in raid separati.
Nel blitz condotto in Cisgiordania è stato ucciso I. K. Era ritenuto responsabile di una serie di attacchi terroristici nell'area di Jenin e pronto a nuove operazioni «nell'immediato futuro».
Sul fronte umanitario la situazione peggiora
Sul fronte umanitario la situazione continua a peggiorare. Secondo l'Agenzia delle Nazioni Unite per il soccorso e l'occupazione dei profughi palestinesi nel vicino oriente (Unrwa), i palestinesi in fuga da Rafah sono arrivati a 800'000, quasi la metà della popolazione, e gli aiuti sono ancora insufficienti.
Anche se ci sono state le prime consegne dal molo temporaneo allestito dagli Stati Uniti, gli stessi americani e le organizzazioni non governative (ong) premono su Israele perché apra i varchi di terra.
Sempre a Washington si lavora per scongiurare un'escalation del conflitto. Il consigliere per la sicurezza nazionale Jake Sullivan è volato in Arabia Saudita per incontrare il principe ereditario Mohammed bin Salman. La tappa successiva sarà domani Israele, per colloqui con Netanyahu.
Nel frattempo l'amministrazione del presidente Joe Biden tiene aperta la porta anche a Teheran. Secondo il sito di notizie con sede ad Arlington (Virginia, Usa) Axios, due alti dirigenti americani hanno avuto colloqui indiretti con funzionari iraniani in Oman questa settimana. I primi da gennaio.