Proteste L'Iran non cede: dure punizioni per le donne senza velo

SDA

10.1.2023 - 22:10

Immagine d'illustrazione
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KEYSTONE

Nessuna pietà per le donne che rifiutano di coprirsi il capo con il velo. Mentre da quasi quattro mesi le proteste anti governative scuotono l'Iran, il regime degli ayatollah non si appresta a fare passi indietro e anzi diventa sempre più rigido.

10.1.2023 - 22:10

La Magistratura ha ribadito l'ordine alla polizia di «punire con durezza e arrestare chi non rispetta la legge» sull'hijab obbligatorio in pubblico, entrata in vigore con la fondazione della Repubblica islamica nel 1979.

Carcere fino a 10 anni, licenziamento, esilio, divieto di partecipazione alla vita politica e a lasciare il Paese sono solo alcune delle punizioni a cui vanno incontro le donne che si rifiutano di portare il velo in pubblico, norme già presenti nel codice penale islamico in vigore in Iran e che oggi la Magistratura ha deciso di sottolineare con fermezza attraverso dichiarazioni alla Tv di Stato da parte del vice procuratore Abdolsamad Khorramabadi.

Solo poche settimane fa si erano diffuse voci, poi smentite, riguardo a una possibile abolizione della polizia morale, l'organo incaricato di vigilare sull'obbligo del velo che in settembre ha messo in custodia Mahsa Amini, la 22enne di origine curda fermata perché non portava il velo in modo corretto e che ha perso la vita per le percosse ricevute durante la detenzione.

L'indignazione scatenata dalla morte della giovane ha provocato l'ondata di proteste in tutto il Paese che da allora non si sono mai fermate, nonostante scontri durissimi con le forze dell'ordine. Secondo il rapporto dell'agenzia per gli attivisti dei diritti umani iraniani Hrana, la repressione delle forze dell'ordine ha portato alla morte di 519 persone e all'arresto di oltre 19mila manifestanti in quasi quattro mesi.

Già impiccati quattro dimostranti

La condanna all'impiccagione per quattro dimostranti incarcerati, tutti poco più che ventenni, è già stata eseguita mentre l'ong Iran Human Rights, con sede a Oslo, ha denunciato che 109 tra gli arrestati durante le manifestazioni rischiano la pena capitale e che coloro che sono già stati condannati potrebbero essere mandati presto al patibolo.

La maggior parte di loro ha tra i 20 e i 30 anni, alcuni sono minorenni, ma le persone che rischiano l'impiccagione sulla pubblica piazza potrebbero essere molte di più, fa sapere Iran Human Rights, perché le autorità di Teheran esercitano forti pressioni sulle famiglie dei condannati affinché non rendano pubbliche le loro vicende.

Raccontare le storie di chi ha ricevuto la pena capitale diventa sempre più difficile e i giornalisti che tentano di farlo rischiano di finire in prigione. Come è successo la scorsa settimana a Mehdi Beikoghli, reporter del quotidiano riformista Etamad che aveva pubblicato interviste con le famiglie di alcuni dimostranti condannati al patibolo e che oggi è stato rilasciato su cauzione dopo cinque giorni di carcere.

L'Iran «il peggior carceriere di reporter al mondo»

L'Iran resta comunque «il peggior carceriere di reporter al mondo», fa sapere l'ong Committee to Protect Journalists, con sede a New York, che ieri ha aggiornato il suo dossier sui giornalisti arrestati da quando sono esplose le manifestazioni in settembre denunciando la detenzione di almeno 88 persone.

Nel frattempo, la condanna internazionale per la situazione in Iran si fa sempre più decisa e, dopo che Usa e Unione Europea hanno chiesto un immediato stop alle impiccagioni, oggi anche l'Alto commissario delle Nazioni Unite per i Diritti umani Volker Turk ha denunciato che Teheran sta usando la pena di morte per incutere timore nella popolazione iraniana e reprimere il dissenso.

La protesta contro la Repubblica islamica continua anche sulle pagine del settimanale satirico francese Charlie Hebdo che è stato accusato dall'Iran di appoggiare il caos delle dimostrazioni a causa del numero della scorsa settimana contenente vignette che irridono la Guida Suprema Ali Khamenei. Domani uscirà con nuove caricature sugli ayatollah.

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