Stati UnitiNella guerra dei dazi Trump frena su auto, farmaci e chip, ma non per i «dirty 15»
SDA
24.3.2025 - 20:38
Donald Trump sembra fare una mezza marcia indietro, dopo aver proclamato che il 2 aprile, da lui ribattezzato «Liberation Day».
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Donald Trump sembra frenare in parte sui dazi annunciati per il 2 aprile, che potrebbe risparmiare ad alcuni settori come auto, farmaci e chip, pur imponendo quelli reciproci ai «dirty 15», ossia ai 15 Paesi con cui gli Usa hanno il peggior squilibrio commerciale.
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24.03.2025, 20:38
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L'ipotesi, trapelata su Bloomberg e Wall Street Journal, ha ridato slancio alla borsa di New York che – a differenza di quelle europee – è rimbalzata dopo quattro settimane di perdite tra timori di guerre commerciali, crescita dell'inflazione e raffreddamento delle stime di crescita.
In una riunione di governo poi il presidente ha detto che annuncerà in un prossimo futuro tariffe su automobili, alluminio e prodotti farmaceutici, tutti prodotti che vuole made in Usa per fronteggiare eventuali emergenza, guerre comprese, ma non ha indicato una data.
Germania e Italia beneficerebbero della sospensione dei dazi
Il tycoon sembra quindi fare una mezza marcia indietro, dopo aver proclamato che il 2 aprile, da lui ribattezzato «Liberation Day», sarebbero scattati tutti i dazi, compresi quelli sulle auto, che ha già sospeso per un mese nel mercato nordamericano su richiesta delle tre Big (Gm, Ford e Stellantis).
Se le tariffe sull'automotive fossero sospese, ne beneficerebbero in particolare la Germania e anche l'Italia, come principale subfornitore del settore tedesco. Resta sconosciuto il destino dei dazi su acciaio e alluminio a Canada e Messico, anche questi sospesi dal presidente sino al 2 aprile.
Imprevidibilità trumpiana
Trump recentemente ha sottolineato l'importanza della flessibilità, ma la sua arma principale resta l'imprevedibilità e tutto potrebbe cambiare all'improvviso.
Come con Caracas, cui ha imposto una «tariffa secondaria» contro l'emigrazione di «decine di migliaia di criminali», in base alla quale «qualsiasi Paese acquisti petrolio e/o gas dal Venezuela sarà costretto a pagare una tariffa del 25% agli Stati Uniti su qualsiasi commercio che faccia con il nostro Paese».
Borsa, inflazione e frenata della crescita
Ma sul presidente pesano l'andamento della borsa, che finora ha sofferto i venti di guerra commerciale, nonché i timori di un rialzo dell'inflazione e di una frenata della crescita, che hanno spinto la Fed a non tagliare il costo del denaro.
I «dirty 15»: Cina, UE e Messico, ma anche Svizzera
In ogni caso è deciso a imporre i dazi reciproci, in particolare su quelli che il segretario al Tesoro Scott Bessent ha definito i «dirty 15», espressione evocativa del titolo del celebre film del 1967 «Quella sporca dozzina», anche se i 15 in questo caso non fanno nulla di eroico.
Sono i Paesi con cui Washington ha i maggiori squilibri commerciali e che quindi potrebbero essere colpiti più pesantemente.
L'amministrazione americana non li ha nominati, ma si prevede che a essere presi di mira saranno quelli indicati dal rappresentante commerciale degli Stati Uniti in una nota del Federal Register in febbraio: in testa c'è la Cina (con cui gli Usa hanno un deficit di quasi 300 miliardi di dollari), seguita da Ue (oltre 225 miliardi) e Messico (quasi 175 miliardi).
La lista comprende, in ordine decrescente, Vietnam, Taiwan, Giappone, Corea del Sud, Canada, India, Thailandia, Svizzera, Malesia, Indonesia, Cambogia e Sudafrica. Nel mirino anche la Russia. Resta l'incertezza se i dazi entreranno in vigore subito o se ci sarà un margine per negoziare.
Alcuni colossi investono negli USA
Alcuni puntano sugli investimenti in Usa dei propri colossi industriali: come il gruppo sudcoreano Hyundai, che ha annunciato oggi un investimento da 20 miliardi di dollari, compresa un'acciaieria da 5 miliardi di dollari in Louisiana che dovrebbe assumere circa 1500 dipendenti e produrre acciaio di nuova generazione per produrre veicoli elettrici in due suoi stabilimenti.
«Il modo migliore di navigare tra i dazi è aumentare la localizzazione», ha ammesso il CEO di Hyundai Motor, José Muñoz.