USA 2020 Trump per la prima volta evoca la possibilità di rinviare le elezioni

ATS

30.7.2020

Donald Trump. 
Donald Trump. 
Evan Vucci/AP/dpa

Candidato a succedere a sé stesso, il presidente statunitense si inquieta per il rischio di frodi legato al voto per corrispondenza. Secca la risposta dei democratici: «La data è scritta nella pietra».

«Rinviare l'elezione fino a quando la gente potrà votare correttamente, in condizioni di sicurezza e in maniera sicura???». È quanto si chiede (con tre punti interrogativi) Donald Trump in un tweet pubblicato oggi, giovedì pomeriggio.

Una domanda destinata a creare non poche polemiche e alimentare i timori sull'Election Day e sulla disponibilità di Trump di accettare il risultato elettorale.

Il presidente degli Stati Uniti afferma, non per la prima volta, che l'aumentato ricorso al voto per corrispondenza, conseguenza della pandemia, accresce il rischio di irregolarità: «Con il voto postale generalizzato quelle del 2020 saranno le elezioni più imprecise e fraudolente della storia. Saranno un grande imbarazzo per gli Stati Uniti» scrive ancora Trump.

«Ha solo fatto una domanda»

Non esistono prove a sostegno di tale affermazione, che il presidente ha già più volte reiterato in varie occasioni pubbliche, ma mai prima d'ora si era spinto fino a suggerire esplicitamente il rinvio.

La data delle elezioni è fissata dalla Costituzione degli Stati Uniti «al martedì dopo il primo lunedì del mese di novembre». Quest'anno "l'Election day" cadrà il 3 novembre.

Il presidente «ha solo fatto una domanda», ha detto alla CNN un portavoce della campagna per la rielezione di Trump.

Secca risposta dei democratici

I primi commenti da parte democratica sono improntati ad un categorico rifiuto. «La data delle elezioni è scolpita nella pietra»: così il leader della maggioranza repubblicana al Senato, Mitch McConnell, ha respinto l'ipotesi di un rinvio del voto.

Ma - secondo quanto riportano alcuni media a stelle e strisce - grande sarebbe il malumore all'interno del partito dopo l'uscita del tycoon che i democratici accusano di «deriva autoritaria».

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