Conflitto israelo-palestineseUSA e UE cercano la pace in Medio Oriente, nuova riunione all'ONU
SDA
18.5.2021 - 20:30
USA e UE sono in pressing per far tacere le armi nel conflitto israelo-palestinese, entrato ormai nella seconda settimana di violenze. Ma per ora non si intravede una svolta, anche se si continua a lavorare per sciogliere i nodi della possibile tregua.
18.05.2021, 20:30
18.05.2021, 20:44
SDA
In campo anche il Vaticano che, per bocca del segretario di Stato Pietro Parolin, si è detto impegnato a «prendere qualsiasi iniziativa per arrivare al cessate il fuoco e alla ripresa del negoziato diretto».
Il capo della diplomazia europea Josep Borrell ha chiesto «l'immediata cessazione delle violenze e l'attuazione di un cessate il fuoco» al termine di una videoconferenza straordinaria dei ministri degli Esteri dell'Ue. «L'obiettivo è di proteggere i civili e di permettere l'accesso umanitario a Gaza», ha spiegato, definendo «inaccettabile» il «numero elevato delle vittime civili, comprese donne e bambini».
Ma ancora una volta l'Ungheria di Viktor Orbán ha fatto mancare il suo sostegno, unico Paese dei 27 Stati membri, dopo che nelle settimane scorse aveva bloccato le conclusioni dei ministri degli Esteri europei anche su Hong Kong e la Cina.
Al vertice è intervenuto anche il capo della diplomazia italiana, Luigi Di Maio: «Condanniamo il lancio indiscriminato di razzi da Gaza, è inaccettabile e deve cessare, come è inaccettabile che si metta in discussione il diritto di Israele a esistere. Riconosciamo il diritto legittimo di Israele di proteggere la propria popolazione, ma la risposta militare israeliana deve essere proporzionata e volta a prevenire ulteriori vittime civili».
Giovedì l'Assemblea generale dell'Onu
Giovedì intanto verrà convocata l'assemblea generale dell'Onu, mentre il consiglio di sicurezza è tornato a riunirsi d'urgenza a porte chiuse per la quarta volta, dopo che gli Usa finora hanno bloccato dichiarazioni che secondo Washington potrebbero ostacolare o nuocere alla sua «diplomazia intensa ma discreta».
Un'attività dietro le quinte, in particolare con i Paesi arabi, che però fa salire la pressione sull'amministrazione Biden sia da parte della comunità internazionale che dal partito democratico, dove aumentano le voci per una presa di posizione più forte e netta per fermare Israele.
Senza ignorare le crescenti proteste della comunità arabo-americana a favore dei palestinesi, come quelle promosse vicino a Detroit in occasione della visita del presidente ad un impianto della Ford. Per questo nella sua quarta telefonata al premier israeliano Benjamin Netanyahu, Biden ha espresso per la prima volta il suo sostegno ad un cessate il fuoco.
Ma senza fissare scadenze e ribadendo il suo «fermo sostegno al diritto di Israele di difendersi contro gli indiscriminati attacchi di razzi» di Hamas, pur «incoraggiandola a fare ogni sforzo per garantire la protezione di civili innocenti».
La paura di Biden
In quella che è la prima crisi mediorientale della sua presidenza, Biden vuole evitare il rischio politico che i suoi appelli siano ignorati e di restare impantanato in uno scacchiere che era l'ultima delle sue priorità. Tanto da non aver ancora nominato il nuovo ambasciatore in Israele e da aver mandato sul campo il vice assistente del segretario di stato Hady Amr, un diplomatico di medio livello sceso dall'aereo con lo zainetto.
Ma ha poche leve su Israele e la sospensione degli aiuti militari non sembra praticabile mentre Hamas continua a lanciare razzi contro i cittadini israeliani.
Del resto Netanyahu, che pensa alla propria sopravvivenza politica, ha ribadito che le operazioni contro Hamas e la sua rete di tunnel sotterranei andranno avanti «finché necessario», mettendo Biden in un angolo ed esponendolo all'accusa del presidente turco Recep Tayyip Erdogan di avere «le mani bagnate di sangue».
Ma il pressing dietro le quinte prosegue su ambo le parti. Il segretario di Stato Usa Antony Blinken sta tessendo una fitta tela diplomatica, dall'Ue ai Paesi arabi che sostengono Hamas e la causa palestinese. Si muove anche il presidente francese Emmanuel Macron, che oggi ha tenuto un trilaterale con il re di Giordania Abdallah II (in video conferenza) e con il presidente egiziano Abdel Fattah al-Sisi, il quale ha già promesso 500 milioni di dollari per la ricostruzione di Gaza.