Elezioni Venezuela al voto: per Maduro è l'ora della verità

SDA

26.7.2024 - 16:06

La leader dell'opposizione Maria Corina Machado e il candidato alla presidenza  Edmundo Gonzalez Urrutia ad un comizio a Caracas.
La leader dell'opposizione Maria Corina Machado e il candidato alla presidenza Edmundo Gonzalez Urrutia ad un comizio a Caracas.
Keystone

Per Nicolas Maduro si avvicina l'ora della verità. Le elezioni di domenica in Venezuela, regno per undici anni dell'ex autista di autobus diventato presidente, potrebbero segnare un cambiamento epocale.

A contendere il terzo mandato al leader chavista di 62 anni – che i sondaggi indicano come indebolito – è l'ex ambasciatore Edmundo Gonzalez, di 73 anni.

Un candidato poco conosciuto nel Paese ma sostenuto dalla vincitrice delle primarie di opposizione, Maria Corina Machado, 57 anni, estromessa dalla competizione elettorale con una sentenza di ineleggibilità: un'alternativa proposta dalla Piattaforma democratica unita (Pud) che di fatto rappresenta la speranza del cambiamento.

Clima teso

Nonostante il clima di tensione, i sostenitori di entrambi i candidati nelle ultime ore hanno inondato le piazze di Caracas, tra ritmi reggaeton e cori da stadio, chiudendo una lunga e accesa campagna presidenziale scandita da comizi oceanici, ma anche da un'ottantina di arresti arbitrari e una retorica della violenza senza precedenti, brandita da Maduro come strategia dell'intimidazione.

Con le frontiere chiuse e le procedure rese pressoché impraticabili all'estero, per quasi otto milioni di venezuelani emigrati sarà quasi impossibile votare. Ma tra gli oltre 21 milioni chiamati alle urne si respira la voglia di invertire la rotta, anche se unita alla paura di nuovi giri di vite autoritari nel Paese, principale alleato di Cina, Russia e Iran in Sudamerica.

Risultato incerto

Nonostante la comunità internazionale segua con attenzione, e spinga perché le parti accettino i risultati elettorali, è difficile prevedere quale sarà lo scenario all'indomani del voto, soprattutto se il Partito socialista unito del Venezuela (Psuv) – al potere da un quarto di secolo – si trovasse disarcionato. Il processo sarà sorvegliato da 380mila militari e analizzato da oltre 600 osservatori (tra cui non figurano quelli dell'Ue, ritenuti troppo parziali da Caracas per essere invitati).

Quello che appare chiaro però è che la pazienza nei confronti di Maduro (già da tempo allontanato dal Mercosur) nella regione sembra essere agli sgoccioli. Dopo le evocazioni del capo di Stato chavista di «bagni di sangue», di una «guerra civile fratricida» se non vincesse e gli attacchi ai sistemi elettorali di Brasilia e Bogotà, le missioni di osservazione dei due Paesi sono state cancellate.

Davvero troppo anche per leader progressisti come il brasiliano Luiz Inacio Lula da Silva e il colombiano Gustavo Petro, che fino ad ora si erano sempre dimostrati dialoganti. E segnali di una certa esasperazione sono arrivati anche dal presidente cileno, Gabriel Boric, che ha messo in guardia su una possibile nuova ondata migratoria.

Il mondo guarda a Caracas

Il timore è che con la riconferma dell'attuale maggioranza di governo possa scattare l'ennesimo esodo (pericolo su cui ha fatto più volte leva Machado) dopo che un recente rilevamento ha mostrato che un terzo degli abitanti del Paese potrebbe decidere di andarsene nel caso di un mancato cambiamento. Ma a preoccupare sono anche le sanzioni e la grave crisi economica, dopo l'atroce iperinflazione che dal 2017 al 2021 ha danneggiato profondamente il tessuto produttivo e sociale del Paese (nel 2020 il tasso era del 2.968,8%, sceso al 193% nel 2023).

Temi a cui si aggiunge quello della sicurezza, dopo la mobilitazione delle truppe venezuelane al confine con la Guyana a metà maggio. Un'azione che ha risvegliato sentimenti nazionalisti anche con l'annessione unilaterale dell'Essequibo (al centro di una lunga disputa) che ha messo a repentaglio la pace nell'area, dove anche gli Stati Uniti hanno forti interessi.

Domenica la scelta dei venezuelani sarà sotto i riflettori del mondo, da Washington a Roma, da Mosca a Pechino, per un voto che potrebbe ribaltare il destino del Paese e il suo ruolo nello scacchiere geopolitico.