TicinoLimitazione dell’immigrazione, si torna a parlare di «Bottom-up»
SwissTXT / pab
28.9.2020
Con il «sì» del Ticino all’iniziativa sulla limitazione, torna d’attualità la clausola di salvaguardia per tutelare il mercato del lavoro indigeno con norme regionali più restrittive.
«In un cantone di frontiera come il Ticino, con le difficoltà che incontra sul mercato del lavoro, credo sia importante dare un margine di manovra sufficiente affinché si trovino le migliori soluzioni possibili per il proprio territorio».
«Entriamo però in un discorso giuridico: quali libertà ha il Cantone rispetto alla legge federale? Personalmente ritengo che soprattutto le regioni di frontiera debbano disporre di un buon margine di manovra: nessuno meglio di loro sa quali sono i bisogni», ha aggiunto il consigliere federale ai microfoni della RSI.
Con il voto ticinese a favore dell’iniziativa per la limitazione dell’immigrazione, torna quindi di attualità una soluzione di qualche anno fa: ovvero il «Bottom-up».
Cos’è il «Bottom-up»?
Si tratta di un margine di manovra locale, una soluzione che era stata proposta proprio dal Ticino per applicare l'iniziativa UDC del 9 febbraio 2014 contro l'immigrazione di massa. Aveva ottenuto l'appoggio dei Cantoni, le Camere federali avevano poi però optato per un'altra via, con la cosiddetta preferenza indigena light.
Bottom-up significa dal basso all'alto. Cioè: in quei cantoni, o regioni, o settori professionali per i quali si riscontrano effetti particolarmente negativi dell'immigrazione, si potrebbe - in base a precisi criteri - far scattare la cosiddetta «clausola di salvaguardia», e introdurre la preferenza indigena. Una preferenza indigena reale, non light.
Ma i criteri che permetterebbero di far scattare questa clausola dovrebbero - e questo è tutt'altro che scontato - essere condivisi anche dall'Unione Europea.
Questo meccanismo eviterebbe il dover introdurre misure a livello nazionale dove non servono. Sarebbe inoltre attuabile grazie all'articolo 14 dell'Accordo sulla libera circolazione, che prevede che in caso di gravi difficoltà di ordine economico o sociale una delle parti - Svizzera o UE - può chiedere di introdurre misure specifiche per correggere il tiro.
Vitta: «Lavorare con i partner sociali»
A lanciare, o meglio rilanciare l'idea è stato il consigliere di Stato Christian Vitta, che - ancora ai microfoni della RSI - ha spiegato: «Si tratta di attualizzare un modello che alcuni anni fa aveva suscitato interesse a Berna. Attualizzarlo significa condividerlo coi partner sociali, tenendo conto della volontà che il popolo ha manifestato riconfermando in fondo la via bilaterale».
Non si tratterebbe, come allora, di una via solitaria, ma «di lavorare con il mondo imprenditoriale e i sindacati per arrivare a una soluzione che possa fare breccia a Berna. Per fare ciò avremo anche bisogno dell’appoggio della Deputazione ticinese alle Camere federali».
Clausola di salvaguardia
A livello nazionale esiste già la «preferenza indigena light», mentre in Ticino il salario minimo è in rampa di lancio, ci sono i contratti normali di lavoro e «Prima i nostri»: in che modo una «Bottom-up 2.0» potrebbe risolvere la situazione del mercato del lavoro? Non sarebbe più opportuno migliorare gli strumenti già esistenti?
«Il lavoro di miglioramento va fatto, indipendentemente dal modello «Bottom-up». Il modello «Bottom-up» introduceva però un ulteriore strumento: la clausola di salvaguardia, da introdurre quando determinati settori sarebbero stati particolarmente colpiti, per intervenire con misure più restrittive per favorire la manodopera residente», risponde ancora Vitta.
Se si volesse concretizzare questo modello, tuttavia, i tempi non sarebbero brevi: occorre far breccia a Berna e poi una clausola simile deve anche ottenere un consenso da parte di Bruxelles. «Abbiamo già degli strumenti di salvaguardia esistenti – conclude Vitta su questo punto –, ma il «Bottom-up» sarebbe uno strumento supplementare, bisogna lavorare su questi due livelli».