Giustizia militare Recluta ticinese umiliata: emesso il verdetto

SwissTXT/pab

26.2.2019

Il padre della giovane recluta conivolta nell'episodio si è detto soddisfatto per tutti i passi intrapresi dal momento della sua denuncia.
Il padre della giovane recluta conivolta nell'episodio si è detto soddisfatto per tutti i passi intrapresi dal momento della sua denuncia.
Ti-Press / Archivio

Non luogo a procedere della giustizia militare nel caso del ticinese bersagliato dai commilitoni a Emmen, bastano le misure già adottate.

«Dopo la valutazione delle prove e le sanzioni già imposte» non vi sarà nessun'altra conseguenza giudiziaria nei confronti dei sottoufficiali che lo scorso settembre a Emmen inscenarono e filmarono un'esecuzione di una giovane recluta ticinese.

Una decisione di non luogo a procedere della giustizia militare che arriva dopo il clamore provocato da un video divenuto virale nella Scuola Reclute DCA 33 e che aveva sollevato più di un dubbio su episodi di bullismo all’interno dell’esercito.

A ottobre intervenne personalmente anche il comandate di corpo Philippe Rebord visitando la scuola reclute coinvolta e venendo in Ticino per manifestare la propria vicinanza al genitore del giovane soldato bersagliato.

La reazione del padre

Nei confronti del sergente che diede all’improvvisato plotone di reclute l’ordine di tirare noci (e si diceva pure qualche sasso) a fine ottobre vennero decisi cinque giorni di carcere. Una sanzione simbolica (e scontata solo in parte) presa in zona Cesarini e che oggi l’esercito giudica più che sufficiente.

Contattato dalla RSI, il padre della recluta che aveva avuto il coraggio di denunciare l’episodio si è dichiarato comunque soddisfatto per tutti i passi intrapresi dal momento della sua denuncia: «Mi ritengo soddisfatto – ci ha detto - perché l’esercito ha dovuto applicare l’esercizio della trasparenza».

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