Ticino Truffa del vino, condannati in quattro, assolto il più giovane

Swisstxt / Red.

23.6.2023 - 10:58

Il processo era iniziato martedì
Il processo era iniziato martedì
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Tutti sapevano, tutti ne hanno approfittato. La Corte delle assise criminali di Lugano ha condannato quattro dei cinque gli imputati della cosiddetta «truffa del vino».

Le pene sono tuttavia state ridimensionate rispetto alle richieste della pubblica accusa. La pena più severa è stata decisa per la «mente» del raggiro, un 68enne che è stato condannato a 3 anni (di cui 6 mesi da espiare).

Per gli altri tre le pene vanno da 16 mesi a 2 anni e mezzo di detenzione sospesi o sospesi parzialmente.

Nessuno comunque andrà in prigione. Il più giovane degli imputati è invece stato assolto perché il suo ruolo nella vicenda non è stato determinante.

Il vino non sarà buttato via

«Il castello di menzogne messo in atto dagli imputati era sofisticato», ha detto il presidente della Corte Amos Pagnamenta, sia per come sono state preparate le bottiglie, sia perché alla testa delle società con cui gli imputati smerciavano i vini c’era una persona nota nell’ambiente.

La Corte ha deciso che il vino ancora buono nelle circa 30'000 bottiglie di vino contraffatto sotto sequestro verrà imbottigliato in nuove bottiglie «neutre» e verrà venduto all’asta.

Così non saranno smaltite decine di migliaia di litri di vino comunque buono. «Buono ma banale» lo aveva definito il titolare di una delle cantine italiane «originali».

Decine di migliaia le bottiglie contrafatte

L'accusa, come ricorda la RSI, aveva chiesto condanne comprese fra un anno sospeso e quattro anni di detenzione.

Il processo ai cinque imputati, di età compresa fra i 29 e i 68 anni, tre cittadini svizzeri e due italiani tutti residenti in Ticino, era iniziato martedì. Due erano assenti giustificati per motivi di salute.

Secondo l'atto di accusa sono decine di migliaia le bottiglie contraffatte che gli imputati, in ruoli diversi, avevano smerciato in Ticino e oltre San Gottardo, attraverso due società da loro create.

Il vino non era imbevibile, ma nemmeno il prodotto pregiato per il quale veniva spacciato ad alcune decine di clienti, fra i quali figura anche una nota catena di distribuzione.

Gli imputati avrebbero così incassato un milione e mezzo di franchi in un paio di anni, prima che la vicenda venisse alla luce a partire dal 2018. L'inchiesta ticinese è parallela a un'altra italiana.

Il nettare di bacco veniva imbottigliato da enologi piemontesi prima di essere spacciato con etichette e capsule fasulle.

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