GovernoRapimenti e riscatti, Moritz Leuenberger non verrà perseguito
cp, ats
28.4.2021 - 13:56
Per le sue dichiarazioni a mezzo stampa sul fatto che il Consiglio federale abbia mentito in passato circa il pagamento di riscatti onde ottenere la liberazione di ostaggi svizzeri, l'ex consigliere federale Moritz Leuenberger (PS/ZH) non verrà perseguito penalmente.
cp, ats
28.04.2021, 13:56
28.04.2021, 14:07
SDA
Il Consiglio federale ha deciso oggi infatti di non autorizzare un'istruzione penale per presunta violazione del segreto d'ufficio contro l'ex magistrato, come sollecitato dal Ministero pubblico della Confederazione (MPC), poiché tale procedimento sarebbe in contrasto con gli interessi del Paese.
La domanda di procedere riguardava la sospetta violazione del segreto d'ufficio (articolo 320 del Codice penale) dopo che nei confronti l'ex ministro dei trasporti aveva dichiarato, in un’intervista pubblicata il 7 febbraio 2021, in merito alla prassi della Svizzera relativa al pagamento di un riscatto in casi di sequestro di persona.
Secondo la legge sull'organizzazione delle autorità penali (articolo 66), per perseguire reati politici è necessaria l'autorizzazione del Consiglio federale. Sono considerati reati politici gli atti che violano o mettono a repentaglio gli interessi della Svizzera o il cui perseguimento giudiziario riguarda gli interessi politici del Paese. Il governo, spiega una nota odierna, può negare l'autorizzazione per tutelare gli interessi della Svizzera.
Non nell'interesse del Paese
Nella nota si ribadisce che il Consiglio federale persegue «esplicitamente la politica di non pagare riscatti in caso di rapimento di persone». Altre informazioni sulla strategia dell'esecutivo, in casi di rapimento, non sono pubblicate poiché ciò indebolirebbe la posizione della Svizzera nelle trattative e metterebbe in pericolo i cittadini svizzeri rapiti.
Secondo quanto si deduce dal MPC, lo svolgimento di una procedura penale in questo caso richiederebbe un'analisi dettagliata della strategia del Consiglio federale in casi di rapimento di persone. Alla luce di questa situazione il governo crede che un'istruzione penale nei confronti di Leuenberger non sia compatibile con gli interessi del Paese.
L'intervista «bomba»
Alla NZZ am Sonntag, l'ex consigliere federale aveva ammesso che, in passato, il governo aveva mentito quando affermava di non aver pagato per liberare ostaggi svizzeri. «Se un ostaggio viene liberato, probabilmente il più delle volte è stato effettuato un pagamento», aveva sostenuto l'ex capo del Dipartimento federale dell'ambiente, dei trasporti, dell'energia e delle comunicazioni, oggi 74enne.
«Sul bollettino di pagamento non vien scritto 'riscatto', ma vengono addebitate spese da qualche parte», ha specificato il giurista, membro del governo dal 1995 al 2010 e per ben due volte come presidente della Confederazione.
Confrontato alla domanda su quando non abbia detto la verità, Leuenberger aveva risposto: «Abbiamo sempre negato di aver pagato riscatti per il rilascio di ostaggi». La pratica è stata questa per una buona ragione: la Svizzera ha voluto prevenire ulteriori prese di ostaggi.
«Se si spiega questo comportamento al pubblico, viene accettato come una bugia legittima», aveva poi aggiunto. Il mentire ha una sua ragion d'essere nella società. «La bugia è un lubrificante sociale o può proteggere interessi legittimi di terzi. Insistere sempre sulla verità a volte può causare più danni che mentire», aveva sottolineato.
La versione ufficiale
Ufficialmente, il Dipartimento federale degli affari esteri ha sempre dichiarato che la Svizzera non paga riscatti per liberare ostaggi.
Tuttavia, ci sono state più volte voci di versamenti di denaro: ad esempio nel 2009 nel caso della liberazione di due turisti svizzeri rapiti dal gruppo terroristico «Al-Qaida nel Maghreb islamico» tra Mali e Niger e nel caso della liberazione di un collaboratore svizzero del Comitato internazionale della Croce Rossa (CICR) rapito nel sud delle Filippine nello stesso anno.
Inutile dire che queste affermazioni hanno fatto venire la mosca al naso a parecchi politici, che piccati chiedevano provvedimenti.