Violenze carnali La Camera Alta opta per il «no significa no»

cp, ats

7.6.2022 - 21:49

Ci vorrà ancora una seduta – prevista per lunedì prossimo – ai «senatori» per terminare l'esame della revisione del diritto penale in materia sessuale. Martedì, tuttavia, dopo un lungo dibattito, il plenum si è già espresso sull'aspetto centrale del dossier: per 25 voti a 18 ha scelto il principio del «No significa no» cui si opponeva il principio del consenso esplicito.

Immagine simbolica.
Immagine simbolica.
© Ti-Press / Gabriele Putzu

Con la formula «No significa no» in futuro sarà possibile punire per violenza carnale anche chi, per commettere il reato, non esercita coazione sulla vittima usando violenza, minacce o pressioni psicologiche.

Il plenum ha approvato l'estensione della fattispecie della violenza carnale contemplata dal Codice penale che ora comprende tutti i casi in cui l'autore del reato agisce ignorando intenzionalmente la volontà espressa dalla vittima (soluzione del veto o «No significa no»).

Diversi oratori in aula, in primis la consigliera federale Karin Keller-Sutter, hanno sottolineato il passo avanti fatto con questa revisione che tiene conto dell'evoluzione della società.

Tuttavia, l'esito del voto su questo particolare aspetto della revisione non è stato così scontato, visto che anche la soluzione del consenso esplicito ha raccolto consensi da destra a sinistra, con quest'ultima decisamente a favore di un passo ulteriore verso una maggior protezione delle vittime di violenza sessuale.

Un segnale alla società

La formulazione del «Sì significa sì» è stata difesa in particolare da Lisa Mazzone (Verdi/GE) – all'origine di una proposta di minoranza in tal senso – e Céline Vara (Verdi/VD), secondo le quali la soluzione del veto non terrebbe conto di quel particolare stato in cui può trovarsi una donna in frangenti delicati in compagnia di una persona dell'altro sesso, ossia pietrificata a causa della paura che le impedisce di parlare, incapace insomma di opporsi a un atto sessuale non voluto.

Per Marina Carobbio Guscetti (PS/TI), inserire il consenso esplicito nel Codice penale significa contribuire a cambiare la cultura sessuale del nostro Paese, rispondendo anche alle attese della popolazione, dando nel contempo alle vittime mezzi efficaci per difendersi da atti sessuali indesiderati, anche se ciò implica invertire l'onere della prova. Attualmente, secondo la «senatrice» ticinese, troppe donne preferiscono non denunciare per paura, vergogna, ma anche a causa di una legislazione inefficace che le colpevolizza. Ora abbiamo l'occasione per rimediare, ha spiegato.

Sulla stessa linea di Carobbio Guscetti si è espressa Isabelle Chassot (Centro/FR), secondo cui il modello del consenso esplicito proteggerebbe meglio le donne. Per la consigliera agli Stati friburghese è importante dare un segnale chiaro alla società facendo capire che il consenso non può essere solo presunto. Chassot ha tuttavia ammesso che la differenza dei due modelli, nella pratica, non è poi così grande e che la soluzione del consenso esplicito non risolverà tutti i problemi.

Un «no» è meno interpretabile

Dal canto suo, la ministra di giustizia e polizia ha sostenuto in aula la bontà della formula «No significa no», precisando che un «no» esplicito o un gesto di rifiuto difficilmente lasciano un grande margine all'interpretazione di un giudice, mentre non è detto che un «sì» rispecchi veramente la volontà della donna.

Keller-Sutter ha citato l'esempio di una donna che, dopo aver acconsentito ad un atto sessuale, ci ripensa. Insomma, con un «no» sarebbe più facile stando alla consigliera federale che venga provata l'esistenza di un rapporto non consensuale.

Gli altri aspetti della revisione

Stando al progetto di legge, la definizione di violenza carnale è modificata introducendo il concetto più generico di «penetrazione corporale» che tiene conto anche delle vittime di sesso maschile.

Per quanto riguarda le pene minime, la maggioranza ha deciso di mantenerla a un anno per la violenza carnale (art. 190 cpv. 2 P-CP). I «senatori» hanno poi approvato una pena detentiva minima di un anno se la vittima ha meno di dodici anni.

Gli altri aspetti della revisione sui quali si discuterà lunedì prossimo riguardano l'introduzione di un articolo specifico per gli atti sessuali commessi da persone che esercitano un'attività nel settore sanitario (art. 193a P-CP). Questo prevede una pena detentiva fino a cinque anni o una pena pecuniaria per chiunque fa subire un atto sessuale adducendo un'indicazione medica.

Viene proposta pure una nuova fattispecie di reato per punire la «pornovendetta», vale a dire la diffusione di foto o video fatti di comune accordo durante una relazione. La commissione preparatoria ha però rinunciato alla disposizione sul «grooming», contenuta nel progetto preliminare, perché non crede opportuno estendere la punibilità agli atti preparatori. Per «grooming» si intende l'adescamento in rete di minorenni.

Nell'ambito della pornografia, la commissione propone inoltre due adeguamenti, per evitare che i minori si rendano punibili penalmente senza esserne coscienti. Il primo riguarda una modifica della definizione di pornografia dura, il secondo i minori che, di comune accordo, fabbricano, possiedono o consumano immagini o film che li raffigurano.

cp, ats