L'ex presidente del Partito Popolare Democratico (PPD) Christophe Darbellay è preoccupato che alla testa dei grandi partiti svizzeri ci siano sempre più zurighesi o persone dei cantoni vicini.
Per contro l'attuale consigliere di Stato vallesano non ritiene «catastrofica» l'assenza di francofoni a capo delle formazioni politiche. In un'intervista pubblicata oggi dal quotidiano romando «Le Temps», Darbellay, leader del PPD dal 2006 al 2016, nota che gli attuali presidenti dei maggiori partiti svizzeri, o gli aspiranti a tale carica, provengono tutti dal bacino di Zurigo in senso lato.
Gerhard Pfister, a capo del PPD è di Zugo. Petra Gössi, alla testa del Partito Liberale Radicale (PLR), viene dal Canton Svitto, Tra i Verdi, Balthasar Glättli, il candidato alla successione della bernese Regula Rytz, è zurighese.
All'Unione Democratica di Centro (UDC) circolano i nomi dello zurighese Alfred Heer e dello svittese Marcel Dettling per succedere al bernese Albert Rösti. E il Partito Socialista (PS), che prevede una co-presidenza, vede rispettivamente in corsa come donne per le due coppie in lizza Mattea Meyer e Priska Seiler Graf, entrambe di Zurigo. Accoppiato alla Meyer c'è poi Cédric Wermuth del vicino Argovia. Risulta quasi una mosca bianca il vallesano Mathias Reynard, a fianco della Seiler.
Christophe Darbellay, attualmente responsabile del Dipartimento dell'economia e dell'educazione del canton Vallese, afferma che i presidenti di partito sono «personaggi di peso. Poiché, oltre all'aspetto mediatico, la loro funzione li porta ad incontrare numerosi attori del paese, fra cui il consiglio federale, in particolare in occasione dei colloqui alla Casa von Wattenwyl».
Il vallesano non è invece particolarmente preoccupato dell'eventuale assenza di francofoni alla guida dei partiti, ricordando che ogni formazione avrà probabilmente un sistema con uno o più vicepresidenti francofoni: «Dobbiamo stare attenti a non cadere in un dibattito alla belga, dove le comunità linguistiche sono messe l'una contro l'altra». Darbellay ha poi anche espresso riserve sul concetto di co-presidenza, che ritiene «non molto credibile».
D'altro canto, il consigliere di Stato ricorda che durante i suoi dieci anni di presidenza, quattro dei cinque grandi partiti svizzeri erano diretti da tre romandi e un ticinese. E – aggiunge – «in sostanza, non credo che questa situazione abbia cambiato molte cose. Difendevamo in primo luogo le posizioni dei nostri rispettivi partiti. E sono le stesse ovunque».
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