PandemiaUn vaccino ed è tutto risolto? Niente affatto
Gil Bieler
17.1.2021
In molti sperano che la vaccinazione contro il Covid-19 permetterà un ritorno alla vita di sempre, com’era prima della pandemia. Una ricerca dimostra che questo approccio è un po’ riduttivo, ma che c’è comunque ragione di essere ottimisti.
Chi è guarito dall’infezione al coronavirus si sente spesso dire frasi come: «Almeno è passata» oppure «Almeno adesso non dovrai più stare così attento».
L’idea sottostante a queste affermazioni è che, dopo essere stati contagiati, si diventi immuni al virus e si possano prendere più alla leggera le misure di igiene e di protezione. Molte persone che si fanno vaccinare contro il Covid-19 nutrono probabilmente la stessa speranza: due iniezioni sul braccio e finalmente si torna alla normalità.
È davvero così semplice? In realtà, per quanto riguarda l’immunità al Covid-19 – ottenuta dopo essere stati contagiati o vaccinati – molte domande restano aperte nonostante i lavori di ricerca, anche su aspetti fondamentali.
La solidarietà invece che la responsabilità individuale
Innanzitutto ci si può chiedere perché sia necessario continuare a rispettare le misure di protezione dopo essere guariti dall’infezione o essere stati vaccinati. La risposta è semplice: per il bene della comunità. Infatti, anche se si è ben protetti contro il virus, si potrebbe essere ancora in grado di diffonderlo.
Al momento non si sa se la vaccinazione impedisca la trasmissione del virus, come conferma Daniel Speiser, immunologo dell’università di Losanna e membro del gruppo di lavoro COVID-19 della Confederazione, intervistato da «blue News».
Bisogna anche ricordare che non tutti possono essere protetti attraverso la vaccinazione, che per il momento è sconsigliata, per esempio, alle donne in gravidanza, poiché i rischi per la salute non sono ancora stati studiati. La vaccinazione non è appropriata nemmeno per le persone immunodepresse o che soffrono di alcune allergie, né per i minori di 16 anni. Il concetto molto diffuso di «responsabilità individuale» ci può far dimenticare che conta anche la solidarietà, afferma Daniel Speiser. «Dobbiamo superare questa pandemia insieme.»
È anche possibile contagiarsi più volte
Ovviamente entra in gioco anche l’interesse personale: infatti è possible contrarre il coronavirus più volte. Tuttavia non sappiamo con quale frequenza questo possa avvenire, né se un secondo contagio provochi una forma più grave, come ha spiegato Maria Van Kerkhove, una delle principali esperte dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) in materia di COVID-19, in un podcast diffuso a fine anno. «Cerchiamo di avere più informazioni su ogni caso di seconda infezione e sulla reazione degli anticorpi dell’organismo in occasione del primo contagio e del secondo.»
Non si conosce la frequenza di questi secondi contagi. Ma secondo l’immunologo Daniel Speiser, è probabile che essi siano relativamente frequenti: «Se si presentano di nuovo dei sintomi dopo essere stati infettati una prima volta, si tratta verosimilmente di un secondo contagio.» Tuttavia, considerando la complessità della verifica attraverso l’analisi delle sequenze del virus, essa viene effettuata soltanto in rarissimi casi.
Intervistato da «blue News», l’UFSP indica di essere a conoscenza di casi che presentano diversi test positivi. «Tuttavia, ciò non conferma che si tratti di un nuovo contagio. In questa ottica dovrebbero essere effettuati alcuni studi dettagliati, come il sequenziamento del virus», afferma Daniel Dauwalder, portavoce dell’UFSP, che precisa che questi casi non sono oggetto di un approfondimento statistico.
Maria Van Kerkhove, esperta all’OMS, affronta delle questioni legate all’immunità al Covid-19 (soltanto in inglese).
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È anche possibile che una persona venga infettata diverse volte da un solo ed unico agente patogeno. Sehaam Khan e Saurabh Sinha, dell’università di Johannesburg, descrivono questo processo come segue: il virus penetra nell’organismo e scatena la comparsa della malattia, ma nell’arco di un certo tempo, diviene inattivo – fino a quando causa una ricomparsa dell'infezione.
Questo ritorno di soprassalto potrebbe essere spiegato dal fatto che il sistema immunitario è capace di difendersi contro il virus soltanto durante un certo lasso di tempo. Il tutto ci porta alla seguente domanda: quanto tempo dura realmente l’immunità?
I promettenti segnali della ricerca
Cominciamo dall’immunità acquisita dopo essere guariti dal COVID-19: secondo l’OMS, la durata e la forza di quest’immunità non sono ancora stati chiariti in maniera netta. Così, non si sa se esiste una differenza per cui una persona infetta sviluppi una forma grave, leggera o asintomatica. Una buona notizia tuttavia c'è, comunicata così dall’OMS: «Anche le persone asintomatiche sembrano sviluppare una risposta immunitaria.»
L’UFSP utilizza una formulazione prudente: «Se siete stati infettati dal nuovo coronavirus e avete sviluppato degli anticorpi, siete probabilmente protetti contro una nuova infezione.» Tuttavia, la durata di questa protezione resta da determinare.
E cosa ne è dell’immunità dopo la vaccinazione? Anche in questo caso, né la Confederazione né i produttori sono in grado di indicare in questa fase quanto tempo durerà esattamente l’effetto protettore. Lo stesso si può dire per il vaccino Pfizer/BioNTech sul quale punta la Svizzera. L’UFSP non esclude quindi la possibilità che per i gruppi a rischio sia necessaria una vaccinazione annuale contro il Covid-19, come nel caso dell’influenza.
Nessun allarme per le incertezze
Per Daniel Speiser dell’università di Losanna, «Non bisogna allarmarsi per queste incertezze». È già stato dimostrato che le difese del sistema immunitario durano diversi mesi dopo un’infezione, precisa. Ad ogni modo, afferma, «l’effetto della vaccinazione è probabilmente ancora migliore». Inoltre, aggiunge l’immunologo, l’effetto protettore è strettamente sorvegliato, di modo che ogni declino possa essere rilevato in tempo e che possa essere apportata una risposta rapida – molto probabilmente con delle vaccinazioni supplementari.
La ricerca è arrivata ultimamente ad altre conclusioni positive: uno studio realizzato da un team di scienziati statunitensi ha permesso di scoprire dei segnali che indicano che il sistema immunitario può ricordarsi del virus fino a otto mesi dopo un’infezione. Questo è ciò che riporta un gruppo dell’istituto di immunologia di La Jolla, in California, diretto da Jennifer Dan, nella rivista scientifica «Science».
Nell’ambito di questo studio, i ricercatori hanno esaminato i campioni di sangue di 188 soggetti che avevano contratto il Covid-19; 43 dei partecipanti allo studio sono stati seguiti per sei mesi o più. Gli anticorpi importanti sono stati trovati nel 90% dei casi, anche dopo almeno sei mesi. Differenze considerevoli sono tuttavia state osservate tra le diverse persone testate – alcuni valori possono essere fino a 200 volte più elevati in alcuni pazienti che in altri. Alcuni studi complementari devono permettere di determinare cosa tutto questo implichi in materia di immunità.
Tutti attendono l’estate
Anche se permangono numerose incertezze, Daniel Speiser stima che «Non c’è alcun dubbio che bisogna vaccinare il maggior numero di persone possibile». Secondo gli esperti, la vaccinazione previene il rischio di contrarre una grave forma della malattia – e può salvare delle vite umane: anche se la malattia si manifesta generalmente in forma leggera, più di 7500 persone sono morte in Svizzera in seguito alla pandemia. Il vaccino contribuisce così ad alleggerire il carico del sistema sanitario.
Inoltre, l’UFSP sostiene che la vaccinazione aiuti a «limitare gli effetti negativi della pandemia di Covid-19 sul piano sanitario, psichico, sociale ed economico». Il ritorno alla normalità tanto atteso ha dunque poche possibilità di avvenire senza vaccinazione.
In Svizzera, le speranze sono ormai rivolte all’estate: da quel momento, tutti coloro che lo desiderano dovrebbero essere stati vaccinati, secondo la strategia di vaccinazione della Confederazione. L’evoluzione futura della pandemia indicherà il livello di normalità che sarà allora ipotizzabile, indica Daniel Speiser.
L'esperto descrive il miglior scenario possibile come segue: con una percentuale dal 60 al 70% della popolazione vaccinata, con il vaccino che si rivelerebbe efficace per impedire la propagazione del virus. «Ci si potrebbe allora rilassare per molte cose.»
Secondo l’esperto, la campagna di vaccinazione svizzera ha avuto un buon avvio, anche se sono ancora possibili miglioramenti sul piano logistico. Inoltre, il vaccino Moderna, che potrà anche essere somministrato dai medici generalisti, dovrebbe presto essere disponibile come secondo preparato. Contrariamente al vaccino Pfizer/BioNTech, quello di Moderna non ha bisogno di essere conservato a -70 °C. Tutto ciò dovrebbe portare a una riduzione del numero di casi gravi e dei decessi in un futuro più prevedibile, stima Daniel Speiser, per il quale «ci sono ragioni per essere ottimisti».