Sindrome da valproato Una pediatra sotto pressione

Valérie Passello

6.3.2021

Veduta della porta di ingresso del Palazzo di Giustizia di Ginevra, dove si tengono le udienze nell’ambito del caso Depakin.
Veduta della porta di ingresso del Palazzo di Giustizia di Ginevra, dove si tengono le udienze nell’ambito del caso Depakin.
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Nell'ambito del fascicolo Depakin, al Tribunale di prima istanza di Ginevra si è tenuta la scorsa settimana una seconda udienza. Lo scopo principale era quello di definire la data esatta nella quale la parte offesa ha stabilito un legame di causa effetto tra i disturbi del figlio, nato nel 2001, e l’assunzione del farmaco durante la gravidanza della madre. Il caso potrebbe cadere in prescrizione.

Valérie Passello

«Dobbiamo batterci oggi su questa storia della prescrizione, per arrivare a un processo giusto», spiega Natascha Allenbach. Questa madre è la prima in Svizzera ad aver varcato la porta di un tribunale, lo scorso novembre, per difendere gli interessi di suo figlio, vittima della sindrome da valproato. Questa sostanza attiva del Depakin crea grossi problemi al feto, quando l’antiepilettico viene assunto in gravidanza.

Ora, Natascha Allenbach afferma di non essere stata informata dei rischi dal suo medico curante e che ha collegato l’assunzione del farmaco ai numerosi problemi di salute di suo figlio soltanto quando ha consultato il suo fascicolo medico nel 2016. Il ragazzo aveva allora 15 anni.

Le date hanno la loro importanza in questo caso specifico. In Svizzera, una decina di famiglie hanno avviato una procedura civile chiedendo un risarcimento al laboratorio Sanofi, produttore del farmaco, oltre che al medico che ha prescritto la richiesta. Per i casi più o meno recenti, l’ingresso nel procedimento non pone problemi.

Ma la denuncia della famiglia Allenbach è avvenuta quando il limite di prescrizione era solo di 10 anni per le vittime dei danni fisici che compaiono molto tempo dopo il fatto contestato. Dal primo gennaio 2020, questo termine è stato raddoppiato. «Tuttavia, precisano i suoi avvocati, questa modifica non ha impatto sulla procedura in corso. In effetti, dell’allungamento del limite di prescrizione beneficia soltanto la parte offesa le cui richieste non erano ancora prescritte quando la nuova legge è entrata in vigore.»

Una testimonianza attesissima

Dopo la testimonianza del padre e di diversi amici della coppia, che ruotano tutte intorno ad alcune date nelle quali gli Allenbach hanno cominciato a parlare del Depakin e delle sue conseguenze al loro entourage, anche la pediatra del figlio siede a testimoniare.

« Per me era evidente che il legame con il Depakin fosse sottinteso»

La pediatra della famiglia

La donna promette di dire la verità. La giudice le ricorda che, in caso contrario, la dottoressa rischia fino a cinque anni di carcere. «Sin dalla prima visita del bambino, quando doveva essere ricoverato sei settimane dopo la nascita, sapevo che sua madre assumeva alcuni farmaci, tra cui il Depakin, perché avevo ricevuto dei rapporti del CHUV (ospedale universitario di Losanna ndr.)», indica.

Sin da subito, diversi rapporti sul bambino sospettano la sindrome da valproato. La questione è quindi quella di sapere se la pediatra ha affrontato il tema con i genitori. «Non abbiamo parlato direttamente del legame con il Depakin. Abbiamo evocato il farmaco della madre e abbiamo deciso di seguire il figlio, perché presentava una problematica di salute complessa che bisognava affrontare. Il mio ruolo è quello di ricevere il bambino, spesso in urgenza, ma non sono io che ho prescritto questo farmaco alla madre », risponde l’interessata.

Un punto «essenziale»

La magistrata insiste, sottolineando il fatto che la questione è un punto «essenziale» della procedura in corso. Risposta della pediatra: «Siccome abbiamo affrontato il tema dei farmaci, per me, è evidente che il legame con il Depakin fosse sottinteso.»

La stessa domanda viene riproposta al medico a più riprese. La difesa le ricorda che è sotto giuramento e che una menzogna può causare delle conseguenze penali. E produce subito un documento in cui la dottoressa menziona il sospetto della sindrome da valproato, indirizzando il suo paziente a un consulto genetico. Non ha forse in quel momento evocato la questione con i genitori? 

Chiaramente provata, la pediatra dichiara di non ricordarsi dei termini esatti utilizzati in quel momento. «Non discutiamo sempre dei contenuti dei rapporti nella loro integrità con i genitori. Per me era chiaro che c’era sempre quest’ipotesi e pensavo che fosse qualcosa di cui erano coscienti», conclude.

Avvocati «costernati»

All’uscita dal palazzo di giustizia, gli avvocati della famiglia reagiscono: «La posizione dei difensori è scioccante: da un lato, mettono tutto in campo per tentare di dimostrare che i genitori fossero, a loro dire, al corrente dei rischi legati al Depakin, questo già nel 2002/2003. Dall’altro, Sanofi e il medico che ha prescritto il farmaco, sostengono, per la loro difesa, che ignoravano tutto dei rischi provocati dal Depakin nello stesso periodo.»

Gli avvocati della difesa si rifiutano di commentare. Quelli della famiglia aggiungono ancora: «Siamo costernati dall’aggressività nei confronti dei querelanti e dei testimoni e per la mancanza di credito accordato a questa famiglia in un caso così delicato, nel quale genitori e bambini soffrono quotidianamente.»

Seguiranno altre udienze, in un procedimento che si annuncia lungo.