Digitale & Lifestyle Fast food: a rischio il livello di fertilità

CoverMedia

15.5.2018 - 16:10

Source: Covermedia

Delle cattive abitudini alimentari possono causare grosse difficoltà di concepimento per le donne.

L’ennesimo studio scientifico punta il dito contro il cibo malsano dei fast food. Questa volta ad essere in pericolo c'è il livello fertilità dell’universo femminile, che secondo il team di ricerca dell’Università di Adelaide, in Australia, potrebbe calare creando problemi e ritardi nel concepimento.

Sotto esame oltre 5.500 donne residenti in Australia, Nuova Zelanda, Regno Unito e Irlanda, visitate da un’ostetrica verso la 14esima-16esima settimane di gravidanza. In primo piano la loro alimentazione nel mese prima del concepimento.

Nello specifico, le partecipanti hanno offerto dettagli sul loro consumo di frutta, verdure dalle foglie verdi, pesce, e cibi non salutari come pizze, pollo e patatine fritte, hamburger e altri cibi dei ristoranti fast food come il McDonald’s.

Secondo i risultati, le donne che avevano consumato la minore quantità di frutta e di verdura avevano il 12% di probabilità in meno di concepire durante il corso dell’anno. Una percentuale salita fino al 16% per le donne che mangiavano al fast food almeno 4 volte alla settimana.

«Questi risultati indicano che consumare cibi sani e di buona qualità, soprattutto frutta e verdura, e mangiare il meno possibile cibo spazzatura, migliora il livello di fertilità e riduce i tempi necessari per rimanere incinte», ha spiegato la dottoressa Claire Roberts.

Il team di ricerca tiene a precisare che, tuttavia, si tratta di uno studio basato su una varietà di fattori variabili, per esempio la memoria delle donne riguardo a ciò che avevano consumato, e il limite nel genere di cibo preso in analisi dagli scienziati. Le alimentazioni dei padri, inoltre, non sono state considerate dai ricercatori.

Ciononostante, la dottoressa Roberts garantisce che la qualità dell’alimentazione ha un impatto enorme sulle probabilità di concepimento di una donna.

La ricerca è stata pubblicata nella rivista scientifica Human Reproduction.

Tornare alla home page