La scienza della pazienza Come la dopamina influenza la nostra capacità di aspettare

Covermedia

4.11.2025 - 16:00

Una nuova ricerca dell'Università di Colonia rivela che la dopamina, il cosiddetto «ormone della felicità», può renderci più disposti ad aspettare ricompense future.

Covermedia

Essere pazienti non è solo una questione di carattere.

Secondo una recente ricerca dell'Università di Colonia, la nostra capacità di aspettare – invece di scegliere la gratificazione immediata – dipende anche da un meccanismo chimico nel cervello: la dopamina.

Il team guidato da Dr. Elke Smith e Prof. Jan Peters ha voluto capire se questo neurotrasmettitore, noto per regolare il piacere e la motivazione, possa influenzare le nostre decisioni quotidiane. Per farlo, i ricercatori hanno somministrato a 76 adulti sani, in giornate diverse, un placebo oppure L-DOPA, una sostanza che stimola la produzione di dopamina.

Dopo ogni somministrazione, i partecipanti dovevano scegliere tra due opzioni: ricevere subito una piccola somma di denaro o attendere per ottenere una ricompensa più alta. Il risultato? Sotto l'effetto di L-DOPA, la tendenza a scegliere la gratificazione immediata diminuiva del 20%. In altre parole, chi aveva livelli più alti di dopamina mostrava maggiore disponibilità ad aspettare.

«L-DOPA riduce in modo affidabile la svalutazione delle ricompense nel tempo, anche nelle persone sane», spiega la dottoressa Smith. Ciò significa che il cervello valuta le gratificazioni future come più «preziose», e questo può tradursi in comportamenti più riflessivi e meno impulsivi.

Curiosamente, la dopamina non modificava la velocità di risposta né la prudenza dei partecipanti: ciò che cambiava era la percezione del valore del futuro. Le persone diventavano più pazienti non perché più lente, ma perché la prospettiva di una ricompensa lontana appariva più allettante.

Il gruppo di ricerca ha inoltre verificato se fattori individuali – come la memoria di lavoro, la frequenza di ammiccamento o il livello di impulsività – potessero influenzare l'effetto del farmaco. Nessuna di queste variabili è risultata determinante. Secondo Smith, questo mette in dubbio l'affidabilità di alcuni indicatori comunemente usati per stimare l'attività dopaminergica.

La dopamina è spesso associata a disturbi come il Parkinson o le dipendenze, ma questo studio – pubblicato sul Journal of Neuroscience – mostra che anche nei soggetti sani può modulare il comportamento in modo sottile ma significativo.

«I nostri dati indicano che la dopamina influenza il modo in cui valutiamo il tempo e il valore delle ricompense, ma le differenze individuali restano notevoli», conclude Smith. Comprendere questi meccanismi potrebbe aprire nuove strade non solo per trattare disturbi dell'impulsività, ma anche per migliorare il benessere quotidiano, aiutandoci a coltivare una virtù spesso sottovalutata: la pazienza.