«Bötschi domanda» Marcel Gisler: «Altrimenti mi vergognerei davanti ai miei amici»

Di Bruno Bötschi

8.8.2019

Il regista Marcel Gisler a proposito delle lacrime: «Attraverso di esse trovano sfogo problemi irrisolti che rimangono rannicchiati dentro di noi. Le lacrime possono riportarci al nostro equilibrio emotivo».
Il regista Marcel Gisler a proposito delle lacrime: «Attraverso di esse trovano sfogo problemi irrisolti che rimangono rannicchiati dentro di noi. Le lacrime possono riportarci al nostro equilibrio emotivo».
Keystone

In passato il successo portava Marcel Gisler alla depressione. Il regista («Rosie») parla della mancanza di fiducia in se stessi, della sua percentuale di successo con gli uomini durante il flirting e del motivo per cui ha bisogno di almeno otto ore di sonno.

Ristorante Fischers Fritz a Zurigo, poco dopo le 14:00. La location: estiva. Il cameriere serve acqua minerale e vino bianco.

Il signor Gisler sembra un po' stanco. Il motivo: attualmente è impegnato nella post-produzione del film «Aus dem Schatten», il suo primo lungometraggio per la televisione svizzera. Ma di questo, a proposito delle cose di cui si occupa attualmente, parlerà questo pomeriggio solo a registratore spento.

Se va bene? Si, chiaramente non è un problema. Ok, allora procediamo con la serie di domande, come sempre iniziando da quelle più leggere.

Signor Gisler, oggi facciamo un gioco di domande e risposte: in 30 minuti io le pongo quante più domande possibili e lei risponde il più rapidamente e spontaneamente possibile. Se la domanda non è di suo gradimento, dica semplicemente «passo».

Sono già un po' stressato. Se il mio cellulare dovesse squillare di nuovo, dovremmo interrompere l'intervista.

Nessun problema. Cosa preferisce: un giorno senza cellulare o mangiare un sacco pieno di insetti?

Preferirei andarmene in giro senza cellulare per un giorno intero.

Quale libro porterebbe con sé su un'isola deserta?

«Alla ricerca del tempo perduto» di Marcel Proust, un grande capolavoro letterario. E ha talmente tante pagine che è impossibile leggerlo tutto d'un fiato.

In un ritratto pubblicato nell'inserto «Magazin» del «Tages-Anzeiger» ha dichiarato, nel 1992, che mangiare e dormire sono le uniche costanti della sua vita. È ancora così?

Mangiare e dormire sono ancora qualcosa di molto importante per me e, oggi come sempre, dedico molto tempo a queste attività. Ma c'è sempre un’altra costante che le accompagna: il lavoro.

Dorme sempre otto ore indipendentemente dall'ora in cui va a letto?

Se possibile, si.

È vero che durante le riprese le basta anche la metà del suo tempo di riposo abituale?

Innanzitutto durante le riprese vado a letto prima in modo da dormire a sufficienza e poi bevo solo due bicchieri di vino anziché quattro.

Si sente a disagio sul set cinematografico quando non dorme abbastanza?

Non credo, ma questo sarebbe meglio chiederlo al mio team. Mi sento come se avessi le batterie un po' scariche e questo stato non mi piace per niente.

Il suo stile di vita è esemplare?

Non ne ho idea.

Marcel Gisler a proposito dell'impatto dei suoi film: «Hanno fatto la differenza nel loro piccolo, anche se spesso ci sono voluti anni perché io arrivassi a questa consapevolezza».
Marcel Gisler a proposito dell'impatto dei suoi film: «Hanno fatto la differenza nel loro piccolo, anche se spesso ci sono voluti anni perché io arrivassi a questa consapevolezza».
Keystone

Il produttore cinematografico e televisivo Günter Rohrbach, di origine tedesca, una volta ha detto: «Il film è un mezzo di sopravvivenza: senza film, il cervello dell'essere umano si atrofizzerebbe». Vero o falso?

Questo era certamente vero negli anni '70. Ma sicuramente per sopravvivere non abbiamo bisogno dei film di supereroi che oggi attirano il più grande pubblico del mondo.

Le domande sembrano piacere a Gisler. Almeno questo è quello che dà a vedere.

I film possono rispondere alla domanda: come le persone dovrebbero vivere?

Assolutamente si: il film giusto o anche il libro giusto al momento giusto possono innescare tanti meccanismi in una persona. Anni fa ho potuto assistere a un'intervista di domande e risposte con Krzysztof Kieślowski durante la «Berlinale». Nonostante i tanti meravigliosi film della sua carriera, l'intervista mi ha lasciato l'impressione che il regista polacco fosse abbastanza disilluso. Kieślowski ha affermato che un film non può cambiare il mondo. Forse allora ragionava semplicemente su scale troppo grandi ...

... Intende la pace nel mondo o qualcosa del genere?

Esatto: i miei film hanno fatto la differenza nel loro piccolo, anche se spesso ci sono voluti anni perché io arrivassi a questa consapevolezza. Quando ho girato «De Fögi isch en Souhung», nel 1997, è stato uno dei primi film a tematica gay, soprattutto in Svizzera. Molti omosessuali mi hanno detto che il film per loro era stato una specie di esperienza di risveglio: all'improvviso esisteva un film in cui potersi identificare. La stessa cosa mi è successa con il mio primo lungometraggio «Tagediebe». Anni dopo a Berlino ho incontrato persone che hanno affermato di essersi trasferite nella metropoli tedesca per causa mia ovvero del mio film. In alcuni casi, ho chiesto loro se alla fine quella si fosse rivelata una decisione buona o pessima.

Quali sono state le risposte?

Alcuni mi hanno detto di essersene pentiti, altri invece ne sono stati contenti.

Piange al cinema?

Oh, mi è capitato di nuovo proprio ieri sera.

Durante la visione di quale film?

Non posso dirlo pubblicamente, altrimenti mi vergognerei davanti ai miei amici (ride fragorosamente). Era uno di quei classici film strappalacrime ... oh andiamo, glielo dico comunque: stavo vedendo «Rocketman».

A quali scene non ha potuto trattenersi dal piangere?

La trama in sé e per sé non mi ha fatto commuovere; piuttosto è stata la musica, ovvero le prime canzoni degli anni '70 come «Saturday Night's Alright For Fighting», a farmi scorrere le lacrime. Le hit della mia giovinezza: erano lacrime nostalgiche.

Guarda ancora la TV?

Raramente.

Abbonamento Netflix - sì o no?

No: ho annullato l'abbonamento dopo un anno. Se sono impegnato nelle riprese, non posso permettermelo a causa di vincoli temporali. Se trovo una serie particolarmente interessante, sono una di quelle persone che guardano un episodio dopo l'altro, perdendo completamente la cognizione del tempo. La cosa mi sfuggirebbe talmente tanto di mano da mettere a repentaglio la mia carriera.

La sua serie preferita degli anni '80?

Come neo-spettatore di serie TV, posso dire di essere un ritardatario cronico. Probabilmente ho iniziato con «Six Feet Under», ma credo che questa serie TV sia apparsa sugli schermi per la prima volta negli anni '90. Negli anni '80 ho scoperto il cinema e, così, le serie TV sono passate in secondo piano. Tra queste potrei citarne alcune degli anni '70, ad esempio «Strega per amore» o «Vita da strega».

La sua serie preferita attualmente?

«Breaking Bad» la trovo estremamente interessante; «True Blood» dato che mi piacciono le storie di vampiri; non ho ancora visto «Mad Men», ma molti ne sono entusiasti; infine «The Handmaid's Tale».

L'ultima non l'ho mai sentita.

È brutale e tetra e dalla seconda stagione diventa un vero e proprio porno estremo. «The Handmaid's Tale» racconta una distopia follemente oppressiva: gli Stati Uniti si sono trasformati in uno stato fascista-teocratico. Gli evangelici hanno assunto il controllo del regime. A causa di una serie di problemi ambientali, la maggior parte delle donne è sterile. Pochissime sono ancora fertili. Queste poche donne sono schiavizzate e vengono violentate regolarmente nei giorni di fertilità; naturalmente, il tutto è accompagnato da un passaggio biblico, in modo da dare al rito un fondamento provvidenziale. I gay sono additati come «traditori del sesso» e vengono impiccati. «The Handmaid's Tale» è incredibilmente ben realizzata, ma i contenuti sono davvero pesanti.

Se la cava al gioco del silenzio?

Gisler fa un sorriso loquace.

Il trauma della sua gioventù?

Questa è una cosa troppo personale - passo.

Quando ha preso una cinepresa in mano per la prima volta?

Ho scoperto dapprima il mondo del cinema, fino a quando non ho realizzato, ad un certo punto, che girare film era ciò che volevo fare. Quando comprai la prima cinepresa all'età di 15 o 16 anni, alcune ambizioni di questo tipo erano già nate in me, altrimenti non avrei fatto quell'investimento. All'inizio tutto era ancora molto sperimentale e giocoso.

È vero che il cinema era per lei un modo per sostituire i viaggi che i suoi genitori non potevano permettersi?

Sì, si potrebbe dire così. Il cinema mi ha aperto le porte verso il grande, vasto mondo.

Come hanno reagito i suoi genitori e i suoi amici quando ha detto loro di voler diventare un regista?

Hanno creduto che fosse una mia fissa del momento e probabilmente hanno pensato: «Prima o poi riuscirà a trovare un lavoro decente». Ma, allo stesso tempo, devo dire che i miei genitori non mi hanno mai ostacolato. La loro posizione in contrasto con la mia è stata di scarso impatto. Mi hanno chiesto per esempio se non preferissi cercare piuttosto un lavoro sicuro.

A 21 anni si è trasferito a Berlino dalla cittadina di provincia di Altstätten nel distretto di Rheintal. A quanto pare non le mancava per nulla la fiducia in se stesso ...

... forse si trattava anche di ingenuità e insolenza. Non è che sono andato a Berlino e ho gridato: «Ehi, io sono il grande creatore». I primi tre anni non sono stati neanche molto facili.

Una persona onesta, questo Gisler. Ma vogliamo scavare un po' di più, andare un po' più a fondo. Qualche colpo basso? Forse.

A Berlino voleva studiare alla Deutsche Film- und Fernsehakademie, ma purtroppo non ha superato il test di ingresso.

Peggio ancora: non sono stato ammesso al secondo turno! La visita dell'Accademia avrebbe innanzitutto calmato i miei genitori, nel senso che avrebbero pensato: «Ok, almeno nostro figlio sta facendo un apprendistato». Di conseguenza mi sono iscritto ad un corso di laurea, all'inizio presso la Facoltà di Lettere. Fino a che non mi sono reso conto che lo studio mi stava portando via troppo tempo e che non potevo continuare a girare in contemporanea. Dopodiché mi è venuto il desiderio di intraprendere il corso in Studi teatrali, ma nonostante il mio voto di maturità fosse buono non sono riuscito a rientrare nel numero chiuso della facoltà. Per cui ho iniziato a studiare etnologia. Nello stesso periodo, ho fondato un gruppo cinematografico con amici. Abbiamo praticato sceneggiatura, messa in scena e recitazione.

In che modo provvedeva al suo sostentamento in quel periodo?

Ricevevo delle borse di studio dalla Svizzera.

Le sconfitte la rendono più forte?

Certo, il rifiuto da parte dell'Accademia mi ha turbato. Ma non dimentichiamo che ero a Berlino e lì molti dei miei idoli e modelli di comportamento erano senz'altro più tangibili. Allora Rainer Werner Fassbinder stava girando proprio «Querelle de Brest». Un mio amico designer cinematografico mi raccontava regolarmente come si svolgessero le riprese. E ho incontrato Rosa von Praunheim. Gli ho parlato delle mie idee, dei miei sogni e del rifiuto da parte dell'Accademia. Mi ha dato consigli, mi ha trasmesso coraggio. Da Praunheim ho capito che avrei dovuto comportarmi come Christoph Eichhorn, attore protagonista nel film «Der Zauberberg» (La montagna incantata): «Sai, ad un certo punto ha semplicemente preso una cinepresa in mano e ha iniziato a girare». Oggi questo non sarebbe praticamente più possibile: nel mondo del cinema gli autodidatti sono molto rari. Per inciso, 25 anni dopo che la mia candidatura era stata rifiutata, sono comunque riuscito ad entrare in Accademia in qualità di docente. Una piccola soddisfazione.

I cineasti sono narratori: cosa le interessa raccontare?

La trama è il veicolo del soggetto, il ponte formale per lo spettatore con conflitti, punti di svolta, climax, dissoluzione e così via. Per me in realtà non è poi così importante. Mi piacciono i film criptici e d'atmosfera che non hanno una trama tradizionale. Mi piace immergermi nei momenti emotivi. Questo è probabilmente il motivo per cui i miei film iniziano spesso con un ritmo troppo lento. Non porto mai lo spettatore direttamente nel cuore della storia, bensì creo prima una presentazione sistematica che anticipa il lento scaturire di un potenziale conflitto.

Le storie è lei ad inventarle o sono loro a trovarla?

Ultimamente sono le storie a trovarmi. «Electroboy», per esempio. Circa dieci anni fa, una casa di produzione mi chiese se fossi interessato a utilizzarlo come soggetto di un lungometraggio, ma rifiutai la proposta. Cinque anni dopo un'altra casa di produzione, indipendente dalla prima, mi fece una nuova proposta, quella di utilizzarlo come soggetto per un documentario. Questo soggetto mi stava davvero cercando, ostinatamente, e ho ceduto.

Per realizzare film di successo, a un cineasta non può mancare un certo istinto che lo avvicini a quei soggetti in grado di attirare l'attenzione delle persone.

Non punto mai al pubblico più vasto possibile. Per me la rilevanza personale dell'argomento è importante. E spesso sono gli emarginati i protagonisti dei miei film.

Riesce a girare film di buona fattura solo se i soggetti hanno qualcosa a che fare con la sua storia di vita personale?

Spero di no - comunque non è così almeno per quanto riguarda il nuovo film che ho girato per la televisione svizzera SRF. Il film TV «Aus dem Schatten» racconta un pezzo di storia della psichiatria svizzera degli anni '70. Ma chissà, forse ho girato questo film solo perché in realtà tratta nuovamente di emarginati. In qualche modo, ho proprio una connessione speciale con loro.

Potrebbe essere più specifico a riguardo?

Mio padre fu vittima dello sfruttamento del lavoro minorile e anche mia madre fu estirpata dalla famiglia fin da bambina. Nel secondo dopoguerra, si trasferì in Svizzera dal nord Italia.

Marcel Gisler a proposito delle donne: «Da omosessuale, non provo attrazione erotica di alcun genere nei loro confronti. Le donne sono delle buone amiche e quando scoprono di essere lesbiche tutto diventa molto più semplice».
Marcel Gisler a proposito delle donne: «Da omosessuale, non provo attrazione erotica di alcun genere nei loro confronti. Le donne sono delle buone amiche e quando scoprono di essere lesbiche tutto diventa molto più semplice».
zVg

È spesso triste?

A fasi, ma poi ci sono anche periodi più lunghi privi di malinconia, proprio come quello corrente.

Dovremmo piangere tutti più spesso?

Non lo so. Ma il fatto di riuscire a piangere non è certamente un male. Personalmente, riesco a piangere solo al cinema.

A cosa servono le lacrime?

Attraverso le lacrime, trovano sfogo problemi irrisolti che rimangono rannicchiati dentro di noi. Le lacrime possono riportarci al nostro equilibrio emotivo.

Quale animale le assomiglia di più?

Dovrebbe essere un animale all'apparenza calmo, ma agitato dentro. Chissà, forse il ghiro è tremendamente nervoso dentro?

O che ne dice di una talpa?

Ho visto una talpa morta qualche giorno fa e ho pensato: «Che strano animale che deve essere, uno che per tutta la vita non fa altro che scavare tunnel sottoterra!». No, non voglio essere una talpa.

A che ora del giorno è più eccitato sessualmente?

Di mattina.

Ha mai rifiutato un uomo attraente?

Purtroppo si.

Cosa vogliono sentirsi dire tutti gli uomini?

La frase giusta che comprendono, in cui si riconoscono davvero e in cui si sentono rappresentati come esseri umani. Dire a qualcuno soltanto che è carino non è abbastanza.

La sua migliore esperienza con le donne?

Da omosessuale, non provo attrazione erotica di alcun genere nei confronti delle donne. Le donne sono delle buone amiche e quando scoprono di essere lesbiche tutto diventa molto più semplice. Di recente, un amico mi ha detto: «Marcel, se tu ti approcciassi agli uomini così come fai con le donne, avresti un successo incredibile».

Ritiene che le persone dovrebbero innamorarsi più che altro di soggetti poligami dato che la maggior parte delle relazioni monogame fallisce?

Una buona idea, ma probabilmente non è nella natura dell'uomo. Il concetto di monogamia e quello di matrimonio sono profondamente radicati nella nostra socializzazione. Tuttavia, esistono molti buoni esempi di relazioni gay aperte. Naturalmente anche lì ci sono dei problemi, ma penso che molti omosessuali riescano a portare avanti queste relazioni abbastanza bene.

Già il suo primo lungometraggio «Tagediebe» è stato premiato con il «Pardino d'argento» nel 1985 al Festival del Cinema di Locarno. Come ci si sente quando il grande sogno diventa realtà?

Me la sono fatta sotto dall'emozione. Mentre giravo il film, pensavo che lo avrei mostrato soltanto ad una piccola cerchia di persone - nell'ex Café Central presso la Nollendorfplatz a Berlino, ad esempio, venivano organizzate regolarmente delle serate film. Quando poi tutto è andato diversamente dal previsto, mi sono spaventato. Non avevo mai partecipato a un festival cinematografico. E improvvisamente mi è stato consegnato un premio d'onore di fronte a 3.000 persone in Piazza Grande. Ho anche ricevuto un invito per il Museum of Modern Art di New York. È stato il mio primo viaggio oltreoceano. Certo è stato divertente, ma allo stesso tempo mi sono sentito del tutto sotto pressione. Dopo i miei primi quattro film sono entrato in crisi, anche se stavano riscontrando un buon feedback da parte del pubblico.

Perché?

La mia autostima era troppo bassa per poter gestire il successo e la pressione delle aspettative, le mie e quelle degli altri. Presentarsi come regista è molto più facile di affermarsi poi professionalmente come regista vero e proprio. Dopo «De Fögi isch en Souhund», il mio quarto film, la crisi ha raggiunto il culmine. Ho avuto un esaurimento, fisico e mentale. Avevo bisogno di una pausa professionale più lunga per uscire dalla depressione. Non sono mai stato così sicuro di me stesso come Dani Levy ...

... l'attore di Basilea che nel 1984 impersonava il garzone di cucina Peperoni nella serie televisiva svizzera «Motel», ...

... lui è andato a Berlino per girare il suo primo film quasi nello stesso periodo in cui anche io mi sono trasferito lì. L'ho sempre considerato come una persona la cui grande fiducia in se stessa lo stava portando al successo. Mentre io lottavo costantemente contro me stesso. Sebbene in questo senso sia entrata in gioco anche parecchia proiezione. Naturalmente anche lui conosce l'insicurezza artistica tanto quanto me, ma forse non in modo così sostanziale.

Nel 2003 è passato alla televisione svizzera lavorando come autore a tempo pieno per la serie «Lüthy & Blanc».

Il lavoro era una rete di sicurezza e «Lüthy & Blanc» mi ha anche salvato finanziariamente. Un lavoro massacrante, impegnativo dal punto di vista manuale, ma non sempre appagante dal punto di vista artistico. Ho svolto questo lavoro per quattro anni. Poi è finito tutto da un giorno all'altro. Stavo facendo una sessione di brainstorming insieme all'editore e al team di autori, quando abbiamo ricevuto un SMS in cui venivamo informati del fatto che sarebbero stati ancora prodotti al massimo altri quattro episodi.

Nel 2003, Gisler si è occupato delle riprese dell'episodio 155 di «Lüthy & Blanc» e ha scritto un totale di 34 episodi negli anni seguenti.

Nell'estate del 2013 è giunto nelle sale cinematografiche «Rosie», il suo quinto film dopo 14 anni di pausa dal set. Racconta una storia fortemente drammatica, a volte dai toni sublimi, con una leggerezza quasi gioiosa. Come è riuscito a farlo?

Probabilmente il fatto che io sia legato personalmente alla storia rappresentata ha la sua importanza. Il film è autobiografico per il 50-60%.

Spesso gli attori trascorrono l'intera giornata ad aspettare le condizioni tecniche perfette. Devono essere impeccabili a comando. Cosa deve fare un regista per fare in modo che tutto funzioni?

Alcuni cineasti si preoccupano più della tecnica che degli attori e delle attrici. Per me è il contrario. Se non c'è fiducia tra me e gli attori, loro non riescono a lasciarsi andare e si controllano troppo. Lo spettatore avverte questo atteggiamento immediatamente.

Come fa a creare un rapporto di fiducia?

Le attrici e gli attori devono rendersi conto che ciò che conta davvero, per me e per loro, è la loro migliore interpretazione possibile. E che ho buon occhio nonché i mezzi per guidarli. Senza contare, poi, che la fiducia è una cosa reciproca. Più do loro fiducia, più me ne ritorna indietro.

Marcel Gisler a proposito del lavoro su un set cinematografico: «Il più grande sbaglio si verifica quando si vuole riportare sul set, a qualsiasi costo, la rappresentazione che si aveva in mente durante la redazione della sceneggiatura. E quindi non si è in grado di riconoscere il valore di un'interpretazione improvvisata».
Marcel Gisler a proposito del lavoro su un set cinematografico: «Il più grande sbaglio si verifica quando si vuole riportare sul set, a qualsiasi costo, la rappresentazione che si aveva in mente durante la redazione della sceneggiatura. E quindi non si è in grado di riconoscere il valore di un'interpretazione improvvisata».
Keystone

«Un buon regista deve eliminare totalmente la paura dal suo staff». Vero o falso?

Sfortunatamente non è vero: ci sono registi che diffondono più che altro terrore sul set e riescono comunque a realizzare film di buona fattura. La mia strada è diversa. Se qualcuno commette un grosso errore, non devo sempre farlo notare e metterlo in imbarazzo davanti a tutti gli altri. Apprezzo quando c'è un umore positivo sul set.

Il suo peggior sbaglio sul set di un film?

Il più grande sbaglio si verifica quando si vuole riportare sul set, a qualsiasi costo, la rappresentazione che si aveva in mente durante la redazione della sceneggiatura. E quindi non si è in grado di riconoscere il valore di un'interpretazione improvvisata. Mi è successo più spesso quando ero giovane. Oggi sono più aperto e riesco a far entrare più tranquillamente le idee dall'esterno.

Con quale attrice o attore deve ancora scusarsi?

Devo ancora scrivere un'e-mail alle attrici e agli attori che ho tagliato durante la post-produzione del film «Aus dem Schatten».

Ecco una citazione dello scrittore statunitense John Updike: «La celebrità è una maschera che divora il viso». A volte ne ha abbastanza di essere una star del cinema?

Chiunque incassi 15 milioni di dollari statunitensi per un film e dopo si lamenti di poter andare in giro per strada solo se accompagnato da guardie del corpo, in realtà non dovrebbe mai averne abbastanza.

L'intervista sta lentamente volgendo al termine. L'intervistatore è ancora colpito dall'onestà con cui Gisler si presenta.

C'è un brano musicale che le ha cambiato la vita?

Ce ne sono tanti, in realtà. Quando ero giovane, la musica aveva un ruolo molto più forte rispetto al modo odierno di esprimere il proprio stile di vita e la propria visione del mondo.

Può farmi un esempio concreto?

L'album «Hunky Dory» di David Bowie del 1971 e soprattutto il singolo «Life on Mars» dell'album stesso. Fino ad allora, ascoltavo principalmente la musica da hit parade. A tredici anni, gli ABBA erano il mio gruppo preferito in assoluto. E poi, all'improvviso, è arrivata questa strana, esile creatura con la sua acconciatura mullet in tonalità rosse. Sulla rivista «Bravo» David Bowie fu presentato come «extraterrestre» e «gay» o «bisessuale». La sua musica mi ha così sconvolto che non sono più riuscito ad ascoltare l'album per un po'. In quel periodo iniziai a fumare erba.

Se la prende quando qualcuno le dà del «debole»?

Non mi succede mai (ride).

Qual è il nome del suo migliore amico?

Rudolf, Stefan, Philipp. Tutti e tre sono i miei migliori amici.

Per che cosa li invidia?

Invidio Rudolf per le sue abilità linguistiche e letterarie. Stefan perché sa quasi sempre come prendere la vita in modo leggero e ottimista. Philipp per il suo successo con gli uomini.

Il suo prossimo film parla del mutamento radicale che ha riguardato la psichiatria negli anni '70: cosa le interessa in particolare di questo soggetto?

L'ambivalenza della storia. Nei film televisivi, l'argomento è spesso troppo ben formulato, troppo delineato, troppo chiaro. «Aus dem Schatten» racconta una storia dal punto di vista di una giovane assistente sociale, che vuole attuare delle riforme in una clinica psichiatrica arretrata. Tutto ruota intorno alla sua lotta contro il direttore della clinica. Alla fine, non è ben chiaro se l'assistente sociale sia troppo ambiziosa per realizzare la sua visione e se questo l'abbia portata a sottovalutare le perdite. Allo stesso tempo, la protagonista è una figura femminile forte che vuole ottenere qualcosa per il benessere dei pazienti. Lo stesso vale per il direttore della clinica. Rispetto al suo personaggio, ci si chiede continuamente: è un mostro dal cuore freddo? Trascura le vittime per poter mantenere la propria posizione o, al contrario, è una persona leale ed empatica?

Quante delle terapie sperimentali rappresentate nel suo film sono state argomento di interesse nelle cliniche psichiatriche del nostro Paese?

Nel film si accenna alle terapie sperimentali, che dunque non sono un tema centrale. La storia è ambientata negli anni '70 e, allora, queste terapie non furono state percepite come uno scandalo.

Il suo prossimo appuntamento?

Organizzerò uno spettacolo teatrale a Gottinga, in Germania, nella primavera del 2019 - o intende oggi?

Si, oggi.

Oggi ho un'altra intervista con lo sceneggiatore di «Aus dem Schatten» per delle nuove voci fuori campo.

Il redattore di «Bluewin» Bruno Bötschi intervista regolarmente personalità famose con il gioco domanda-risposta «Bötschi fragt». Bötschi vanta notevole esperienza nelle interviste. Per la rivista «Schweizer Familie» ha seguito per molti anni la serie «Traumfänger». A tal proposito ha posto a oltre 200 persone la domanda: Da bambini si hanno tanti sogni – se ne ricorda? Il libro della serie «Traumfänger» è uscito presso la casa editrice Applaus Verlag, Zurigo. È disponibile in libreria.
Il redattore di «Bluewin» Bruno Bötschi intervista regolarmente personalità famose con il gioco domanda-risposta «Bötschi fragt». Bötschi vanta notevole esperienza nelle interviste. Per la rivista «Schweizer Familie» ha seguito per molti anni la serie «Traumfänger». A tal proposito ha posto a oltre 200 persone la domanda: Da bambini si hanno tanti sogni – se ne ricorda? Il libro della serie «Traumfänger» è uscito presso la casa editrice Applaus Verlag, Zurigo. È disponibile in libreria.
zVg
Tornare alla home page