Restare in montagna... Mattia Testa: «È come fare sei al lotto»

Di Isabel Plana

21.10.2019

Molti giovani lasciano il proprio villaggio di montagna per studiare e non tornano più a casa. Non è stato così per Mattia Testa. Dopo il suo apprendistato, è rientrato a Vergeletto, nella valle Onsernone, dove ha fondato un’impresa forestale.

«Quando si ha la possibilità di guadagnarsi da vivere in una valle di montagna così remota, è come avere indovinato i sei numeri vincenti al lotto. Qui, infatti, le possibilità di impiego sono quasi inesistenti. È necessario perciò creare una propria impresa: non ci sono altre strade percorribili.

È per questo che sono molto felice di essere stato sostenuto, per poter acquistare la macchina taglia-ceppi e il trattore, dall’Aiuto Svizzero alla Montagna. Ho soltanto 20 anni e non avevo abbastanza denaro per un simile investimento. Questo acquisto, però, era estremamente importante, poiché per la mia azienda di trasformazione del legno si tratta di uno strumento imprescindibile per tentare di avere successo.

Ho portato a termine la mia formazione di falegname a Bellinzona l'anno scorso. Ero certo di voler tornare nel mio villaggio natale di Vergeletto e fondare una mia impresa. Non posso neppure immaginare di vivere in città.

Impossibile senza il macchinario

Il legno è sempre stato presente nella mia vita, sin dall’infanzia. Accompagnavo mio padre a fare legna nella foresta e lo aiutavo a tagliarla. Ma per la mia famiglia l’obiettivo era unicamente l’uso personale. Il taglio e il trattamento erano fatti a mano.

Ad oggi, ancora non posso vivere unicamente grazie alla lavorazione del legno, poiché non ho abbastanza lavoro al di là dei mesi estivi. In primavera comincio sempre con il tagliare alberi. Successivamente, posso trattare, segare e vendere il legname fino ai mesi di settembre o ottobre. In inverno, lavoro come meccanico e mi occupo della rimozione della neve a Vergeletto. Basta essere flessibili e fare cose diverse se si vuole farcela qui.

Ma il mio obiettivo è di poter vivere tutto l’anno grazie alla trasformazione del legno, senza dover cercare entrate supplementari. L’anno prossimo, uno dei miei colleghi entrerà nell’azienda dopo aver concluso l’apprendistato da falegname. Ciò ci permetterà di lavorare tutto l’anno: d’estate produrremo legna da ardere e d’inverno faremo della falegnameria.

Senza la nuova macchina taglialegna, sarebbe in ogni caso quasi impossibile lavorare tutto l’anno mantenendo la redditività. L’ho comprata lo scorso inverno e l’ho messa in servizio per la prima volta in primavera. Prima, mi ci voleva un mese per tagliare dieci tonnellate di legna e avevo bisogno dell’aiuto di mio padre o di un collega. Con questo macchinario, posso lavorare da solo la stessa quantità in una sola giornata. Quest'anno spero di poter produrre almeno il doppio della legna rispetto all’anno scorso, ovvero più di 40 tonnellate.

La popolarità del riscaldamento a legna

I miei clienti sono principalmente abitanti di Vergeletto e delle valli circostanti. Ci sono ancora alcune persone che fanno legna come secondo lavoro o per uso personale, ma quasi nessuno lo fa su larga scala.

Una segheria del villaggio ha chiuso di recente e mi ha inviato i suoi clienti. Penso che la mia impresa abbia buone possibilità di avere successo. Un numero crescente di persone fa ricorso al riscaldamento a legna, la domanda aumenta. Soprattutto per quanto riguarda il pellet. Conto infatti di venderne in futuro.

Potrei trasportare il pellet con il trattore, anch’esso co-finanziato dall’Aiuto Svizzero alla Montagna. Ma non posso immaginare di produrlo io stesso a breve, perché ciò comporterebbe un’infrastruttura importante e costosa. Occorrerebbero infatti non solo uno strumento speciale, ma anche dei silos nei quali poter stoccare il materiale. Ma chissà: se la mia impresa dovesse svilupparsi bene e la domanda continuasse ad aumentare, la produzione di pellet potrebbe rappresentare una carta sulla quale scommettere tra qualche anno».

Questo reportage è stato pubblicato per la prima volta sul giornale «Le Montagnard».

Una così bella nebbia

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