Ecco come Quando l'intelligenza artificiale aiuta a vedere la povertà invisibile

Covermedia

5.11.2025 - 16:00

Un team della Rutgers University utilizza immagini satellitari e intelligenza artificiale per individuare la povertà fin dentro i singoli quartieri, combinando i dati tecnologici con la conoscenza delle comunità locali.

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La povertà non è sempre visibile. Si nasconde dietro muri scrostati, strade sterrate, o in case prive di elettricità e acqua corrente. Eppure, per governi e organizzazioni umanitarie, identificarla con precisione resta una sfida enorme. Le statistiche ufficiali, spesso vecchie di anni, non raccontano la realtà di quartieri che cambiano rapidamente.

Un gruppo di ricercatori della Rutgers University, negli Stati Uniti, ha sviluppato una tecnologia in grado di colmare questo vuoto: un modello che combina immagini satellitari, intelligenza artificiale e le testimonianze dirette degli abitanti. Lo studio, pubblicato sulla rivista Sustainable Cities and Society, è stato coordinato da Woojin Jung, professoressa alla Rutgers School of Social Work.

In collaborazione con 300 famiglie di Lusaka, capitale dello Zambia, il team ha chiesto ai residenti come riconoscono un quartiere povero o benestante. Dalle loro risposte sono nate dodici categorie: dall'accesso all'elettricità e all'acqua alla qualità delle strade, dai servizi sanitari alle scuole. La combinazione tra questi dati e le immagini satellitari ha permesso di creare mappe che identificano la povertà fino alla scala dei singoli nuclei familiari.

«I metodi tradizionali non bastano più in tempi di crisi e trasformazioni rapide», spiega Jung. «Volevamo un sistema capace di riconoscere i bisogni reali in modo rapido e su larga scala».

L'intelligenza artificiale ha imparato a «leggere» i segnali nascosti nei paesaggi urbani: la densità degli edifici, la luce notturna, la presenza di vegetazione o la distanza da scuole e mercati. Quando queste informazioni si combinano con la percezione degli abitanti, la precisione aumenta sensibilmente: il modello spiega quasi il 70% delle differenze di benessere, più del doppio rispetto agli approcci statistici convenzionali.

Il risultato più significativo è la riduzione degli errori nella distribuzione degli aiuti, fino al 26% in meno rispetto ai metodi classici. Ciò significa che le risorse raggiungono più facilmente chi ne ha davvero bisogno, evitando dispersioni e disuguaglianze.

Un aspetto cruciale di questa ricerca è la trasparenza. A differenza di molti algoritmi «opachi», il modello sviluppato alla Rutgers utilizza parametri comprensibili e verificabili: distanza dai centri sanitari, illuminazione, connettività internet, dimensione delle abitazioni. Tutti elementi che derivano dall'esperienza diretta delle comunità.

«Non si può costruire fiducia se non si coinvolgono le persone interessate», sottolinea Jung. Per questo la partecipazione degli abitanti è parte integrante del metodo, rendendo il processo più equo e più accettato dalle stesse comunità che riceveranno gli aiuti.

Le autorità di Lusaka stanno già collaborando con i ricercatori per applicare il modello alla distribuzione di sussidi agricoli, come sementi e fertilizzanti, garantendo che arrivino ai coltivatori più vulnerabili.

La ricerca apre una prospettiva concreta: la tecnologia, se usata in modo inclusivo, può diventare uno strumento di giustizia sociale. Non solo per mappare la povertà, ma per dare visibilità a chi, finora, è rimasto invisibile.