La lotta all'AIDS sta vivendo un paradosso: il tasso di sieropositivi che hanno accesso ai trattamenti non è mai stato così elevato, ma un calo della prevenzione, assieme alla contrazione dei finanziamenti, fanno temere una nuova espansione dell'epidemia.
Successi ma anche lo spettro di una crisi: il paradosso della lotta all'Aids
Una persona esegue un test per l'Aids, il 23 giugno 2018 a Santiago del Cile.
L'epidemia di HIV nel mondo.
AIDS: un accesso diseguale alle cure.
Quasi tre sieropositivi su cinque nel mondo - 21,7 milioni su 36,9 milioni complessivi - assumono dei trattamenti antiretroviarali. Si tratta del tasso più alto mai raggiunto, secondo un rapporto dell'UNAIDS pubblicato nei giorni scorsi.
Lo scorso anno, 940.000 persone nel mondo sono morte di malattie legate all'AIDS, secondo le cifre rese note alla vigilia della conferenza internazionale dedicata al tema, che si tiene ad Amsterdam fino al 27 luglio.
Un dato nettamente migliore rispetto a quello del 2005, quando si raggiunse il picco nell'epidemia, con 1,9 milioni di decessi a livello globale, secondo il programma delle Nazioni Unite per la lotta alla patologia.
All'epoca, soltanto due milioni di portatori del virus di immuno-deficienza (HIV), su un totale di 30 milioni, avevano accesso ai trattamenti antiretrovirali, che prevengono lo sviluppo dell'AIDS.
«Nessuno avrebbe creduto che saremmo arrivati ad avere 22 milioni di persone sotto trattamento nel 2018. È un sogno», ha spiegato il direttore esecutivo dell'UNAIDS, Michel Sidibé, nel corso di una conferenza stampa tenuta a Parigi.
«Purtroppo, siamo in qualche modo vittime di questi risultati», ha aggiunto, sottolineando l'esistenza di una «crisi della prevenzione». «Esiste un compiacimento che si crea, che rischia di mettere in discussione il lavoro fatto. Non è il momento di abbassare la guardia».
Al primo posto tra le principali preoccupazioni, c'è la questione dei finanziamenti: «Mancano 7 miliardi di dollari all'anno per permetterci di mantenere i risultati raggiunti», ha indicato Sidibé all'AFP.
Lo scorso anno, 20,6 miliardi di euro sono stati stanziati per i programmi di lotta all'AIDS nei Paesi a reddito basso o medio, di cui il 56% arriva da quelle stesse nazioni, ha precisato il rapporto.
Ma con l'amministrazione Trump, gli Stati Uniti, che storicamente rappresentano la nazione che contribuisce di più, sono stati previsti importanti tagli.
Bambini, passi avanti ancora insufficienti
«Il timore è che la diminuizione dei contributi da parte dei partner internazionali possa portare ad un calo degli investimenti interni nei Paesi più colpiti», ha indicato Sidibé, sottolineando che «almeno 44 nazioni dipendono al 75% dagli aiuti esterni per la lotta all'epidemia».
«Se non disporremo di queste risorse, corriamo seriamente il rischio che la malattia torni a propagarsi, e che il virus diventi più resistente, con un aumento del tasso di mortalità», ha ammonito il dirigente.
Ciò comprometterebbe l'obiettivo che si è fissata l'Onu per il 2020, ovvero che il 90% delle persone affette da HIV siano consapevoli di esserlo, che il 90% sia sotto trattamento e che, tra coloro che si curano, il 90% abbia una carica virale non rilevabile.
«Per ora non stiamo procedendo al ritmo che avevamo previsto. Per rompere la colonna vertebrale di questa epidemia occorre arrivare a 30 milioni di pazienti trattati nel 2020», ha martellato il numero uno maliano dell'UNAIDS.
Nel 2017 ci sono stati 1,8 milioni di nuovi contagi: un numero stabile rispetto agli anni precedenti.
I risultati globali però nascondono grandi disparità. Nell'Africa occidentale e centrale, solo il 40% dei portatori del virus ha accesso ai trattamenti.
«Alcune nazioni continuano a preoccuparci, come la Nigeria, nella quale si concentra la metà di tutte le nuove infezioni della regione», continua Sidibé.
Che sottolinea un'altra fonte di inquietudine: «L'epidemia in Russia si sta generalizzando. Mentre prima era concentrata nella parte di popolazione che fa uso di droghe, ora si sta via via espandendo».
Sidibé ha inoltre riconosciuto le mancanze nella lotta all'AIDS nei bambini, affermando che essi sono «lasciati da parte».
«Benché si siano evitati 1,4 milioni di contagi tra i piccoli dal 2010 ad oggi, constatiamo purtroppo che non abbiamo fatto sufficienti progressi», ha ammesso.
«Continuiamo ad avere più del 50% dei bambini malati che non ha accesso ai trattamenti, e lo scorso anno ci sono stati 110.000 morti e 180.000 nuove infezioni. È inammissibile».
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