Ambiente Nel mare Arabico, un'inquietante «zona morta» continua ad estendersi

19.7.2018

Nella acque del mare Arabico, una «zona morta» senza ossigeno grande quanto la Scozia continua ad estendersi e suscita la preoccupazione degli scienziati. Secondo i quali il fenomeno potrebbe essere legato ai cambiamenti climatici.

Ad Abu Dhabi, Zouhair Lachkar lavora nel suo laboratorio ad un modello informatizzato del golfo di Oman, una zona del mare Arabico che bagna il sultanato omonimo e l'Iran. Delle immagini colorate in movimento mostrano i cambiamenti della temperatura, del livello del mare e, soprattutto, la concentrazione di ossigeno.

Questi strumenti, assieme a delle ricerche pubblicate quest'anno, mostrano una tendenza inquietante.

La «zona morta» del mare Arabico è la più grande del mondo, assicura Lachkar, ricercatore presso l'università NYU della capitale degli Emirati Arabi Uniti.

«Comincia a circa 100 metri di profondità e scende fino a 1.500 metri. La colonna di acqua è quasi completamente sprovvista di ossigeno», ha spiegato all'agenzia AFP.

Lachkar e altri ricercatori ritengono che il riscaldamento climatico possa essere la causa dell'espansione della zona, fatto che desta preoccupazione per gli ecosistemi e per le industrie locali della pesca e del turismo.

Le «zone morte» sono dei fenomeni naturali, ma quella in questione, che si estende dallo stretto di Hormuz al golfo di Aden e, ad est, fino alla costa indiana, sembra essersi esteso rispetto all'ultimo rilevamento, che risale agli anni Novanta. 

I dati sono stati raccolti grazie a dei robot-sub lanciati dai ricercatori in numerosi punti del tratto di mare. L'operazione è stata condotta dall'università Britannica di East Anglia, in collaborazione con l'università Sultan Qabous dell'Oman. 

Le misure dei tassi di ossigeno effettuate nel 1996 avevano mostrato delle concentrazioni molto deboli.

Ma gli ultimi studi portati a termine nel 2015 e nel 2016 hanno rivelato che i livelli sono scesi ulteriormente. 

E contrariamente a quanto constatato negli anni Novanta, quando i valori più bassi si concentravano nel cuore della «zona morta», a metà strada tra lo Yemen e l'India, oggi essi sono stati registrati su un'area ben più ampia.

I livelli di ossigeno «sono ovunque ai minimi», ha affermato all'AFP Bastien Queste, che dirige le ricerche delle due università.

Ciò «potrebbe essere terribile per il clima», ha aggiunto.

Da Bombay, nell'India occidentale, a Mascate, sulle rive del golfo di Oman, sono presenti numerosi porti.

Le zone costiere e le loro popolazioni saranno colpite dall'espansione della «zona morta». I pesci, che rappresentano un importante mezzo di sussistenza per gli abitanti della regione, potrebbero veder ridotto il loro habitat.

«Quando la concentrazione di ossigeno scende sotto determinati livelli, i pesci non possono sopravvivere», sottolinea Lachkar. 

Per condurre le ricerche, lo scienziato utilizza un potente centro di calcolo, il cui valore è di parecchi milioni di dollari. 

Nel 2016, gli Emirati Arabi Uniti hanno ribattezzato il ministero dell'Ambiente e delle Acque nel ministero dei Cambiamenti climatici e dell'Ambiente, manifestando di volersi impegnare sul tema.

«È una questione importante, non soltanto per ragioni scientifiche ma anche economiche», ha osservato Lackar, aggiungendo che «la pesca rappresenta una fonte importante di reddito, ed è colpita dal fenomeno in modo diretto».

Anche la barriera corallina e, di conseguenza, il turismo, potrebbero subire conseguenze, secondo l'esperto.

Proprio in prossimità del suo laboratorio, è presente un altro centro di ricerca, nel quale scienziati come Diana Francis studiano l'impatto dei cambiamenti climatici su scala globale. 

Nel 2015, l'Accordo di Parigi sul clima ha visto il mondo impegnarsi per ridurre le emissioni di CO2, al fine di limitare il processo di riscaldamento dell'atmosfera terrestre. Ma il presidente americano Donald Turmp, lo scorso anno, ha deciso di ritirare il proprio Paese.

Una scelta «deludente», secondo Francis. Ma, aggiunge, «la politica cambia idea con il tempo (...), la scienza no».

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