Intervista Brad Pitt: «Tutti rimpiangiamo qualcosa»

Di Marlène von Arx, Los Angeles

30.9.2019

Un viaggio nel nostro sistema solare e in fondo a sé stesso: Brad Pitt parla del suo ultimo film «Ad Astra», allude ai suoi eventuali desideri di Oscar – e svela qual è il luogo in cui intende finire la sua vita.

È giovedì e ci troviamo all’Hotel Roosevelt di Los Angeles: dall’altro lato della finestra, alcuni turisti in short passeggiano su Hollywood Boulevard. Brad Pitt, considerato uno dei pretendenti agli Oscar per il suo ruolo di astronauta nel dramma introspettivo di fantascienza «Ad Astra», entra nell’Academy Room e esclama davanti a un’assemblea di giornalisti: « È la mia ultima intervista di questa tournée promozionale dopo due mesi e due film!»

Si legge il sollievo sul viso dell’attore 55enne. Ci immergiamo dunque subito in una discussione intorno alla malinconica odissea fantascientifica nella quale Brad Pitt va alla ricerca del padre scomparso nello spazio e viene a sapere molto su di lui.

Nel film «Ad Astra», lei interpreta l’astronauta Roy McBride. Ha mai sognato da ragazzo di interpretare un ruolo simile?

Non proprio. Trovavo gli avventurieri appassionanti, come Sir [Edmund Percival] Hillary, il primo uomo ad aver scalato il monte Everest. Ai miei occhi era carico di romanticismo. Non ho ricordi dei primi passi [di Neil Armstrong] sulla Luna. Ho visto delle foto successivamente. Ciò che succede lontano da qui non mi preoccupa. La fantascienza è un nuovo genere per me, ma mi piace. Uno dei miei film preferiti durante la mia infanzia era «Aliens», che mio padre mi ha portato a vedere troppo presto al cinema. Ma finora, non avevo mai trovato un film di fantascienza al quale potessi contribuire o che affrontasse il genere da una nuova prospettiva.

Roy McBride viaggia fino al pianeta Nettuno per trovare risposte su sé stesso. Lei quali fonti utilizza quando si pone delle domande sull’universo?

A volte alcuni libri spirituali o dei podcast. Sono abbonato a un podcast sulla filosofia. Medito e cerco di entrare in psicoterapia. E discuto con gli amici, questo mi permette di tirar fuori la maggior parte delle cose.

Come avviene nel film, anche lei cerca un dialogo interiore?

Mio Dio, troppo spesso! Questo bisbiglio nella nostra testa che ci ossessiona fin nel sonno. E quando ci svegliamo, continua. Ai miei occhi è una delle più grandi sfide come esseri umani – almeno per me: essere con la gente intorno a noi nell’immediato e far tacere la voce che risuona nella nostra testa.

Cosa dice questa voce?

Qualunque cosa. Può essere a volte una voce critica, inquieta o fiduciosa nei confronti di noi stessi, il tutto è pericoloso. Sarebbe così bello se riuscissimo semplicemente ad accettare ciò che la giornata ci porta. Non è qualcosa di passivo, necessita di un’attenzione costante. Prendiamo l’esempio del traffico: la maniera nella quale reagiamo agli ingorghi è un buon indicatore che dimostra fino a che punto siamo in pace con noi stessi.

Ha già fatto un viaggio nel quale si è in qualche modo ritrovato?

Sì, ma voglio che i dettagli restino un fatto personale.

Ecco dunque una domanda più semplice sui viaggi: dove le piace maggiormente andare?

Quando sono via da molto tempo, adoro tornare a casa. Non c’è niente di meglio che dormire nel proprio letto. Altrimenti, sulla mia lista figura sempre la Nuova Zelanda, mi piacerebbe percorrere l’isola del sud in moto. Mi piacerebbe andare in Cile e nelle Dolomiti, ma anche in Giappone. Sono già andato nelle Highlands scozzesi, in Marocco e in Africa del Sud. Sono stati dei viaggi straordinari. Rifletto anche sul luogo in cui mi piacerebbe vivere in futuro, perché penso alla morte. Dove voglio finire la mia vita? I bambini hanno ancora circa otto anni di scuola ed è questo che per ora determina il luogo in cui vivo. E dopo? Per me, sarà in montagna.

Lei è già stato nelle Alpi svizzere?

Sono andato una volta a far visita a George Clooney sul lago di Como e siamo andati alla frontiera svizzera. Ma non più in là. Forse avrò l’occasione di andarci dopo il viaggio nelle Dolomiti. Amo stare all’aperto, nella natura. Lì finalmente posso staccare la spina – o anche nel mio laboratorio di pittura. Il cinema è uno sport collettivo. Dipingendo, invece, sono da solo e posso scoprire ciò che viene dal mio inconscio.

«Ad Astra» è in fin dei conti un film su una relazione padre-figlio difficile. Lei è cresciuto in una famiglia religiosa del Missouri. In quale maniera suo padre l’ha segnata?

Ho sempre sentito di discendere da pionieri, ovvero da persone che hanno costruito la loro vita alla frontiera della civiltà. Era pericoloso. Di conseguenza, c’era paranoia, sfiducia e un bisogno costante di protezione. Forse sono totalmente fuori di testa, ma penso che sia ancora nel nostro sangue. Non so come questo genere di mentalità basata sulla sopravvivenza abbia avuto origine nel nostro DNA, ma vedo questi tratti nella mia famiglia e in me. Lo si può constatare anche guardando ai risultati delle elezioni in Missouri. Il primo riflesso va sempre verso questa conservazione di sé.

Potevate parlare di emozioni in famiglia?

Oh, no, è probabilmente la ragione per la quale il mezzo cinematografico mi ha attirato. Perché sentivo il bisogno di analizzare le emozioni. A quell’epoca, bisognava essere abbastanza pazzi per entrare in terapia. Oggi, abbiamo fatto un po’ di progressi su questo punto. Ma poi, leggo testi dei filosofi dell’Antichità e mi rimetto a pensare che non abbiamo imparato proprio nulla.

C’è qualcosa che ha imparato da suo padre e che vorrebbe trasmettere ai suoi figli?

Mio padre è cresciuto in un ambiente molto povero. Voleva offrire una vita migliore ai suoi bambini – e ci è riuscito. Come posso migliorare la vita dei miei bambini? In questo aspetto, l’apertura emozionale ha certamente importanza.

Sta ricevendo delle critiche positive per «Ad Astra». È vero che malgrado ciò, non vuole fare una campagna per gli Oscar?

Non ho detto proprio così. Tutto è talmente soggettivo in questo genere di cose. Io credo nella meritocrazia, ma so bene che il mondo non funziona in questo modo. Ogni anno, meravigliosi talenti vengono premiati e altri meravigliosi talenti non lo sono. Se a venir fuori sarà il mio nome, mi farà piacere. Se sarà il nome di qualcun altro, si tratterà probabilmente di un amico e mi farà altrettanto piacere.

In «Ad Astra», lei interpreta Roy, un ingegnere spaziale solitario. Conosce questo sentimento?

Chi non lo conosce?! Non sono certamente l’unico. Sentirsi insignificanti, svalutati, disperati – bisogna guardare ciò che è reale e ciò che è invece un virus psichico. Ho un amico che ha lavorato in un ospizio. Ha detto che la gente in fin di vita non parla del successo, della carriera e delle automobili, ma piuttosto dei familiari e dei loro rimpianti rispetto a questi ultimi. Questo è chiaramente ciò su cui dobbiamo concentrarci.

C’è qualcosa che rimpiange?

Tutti abbiamo qualcosa che rimpiangiamo, che portiamo sepolto nel profondo. Ma forse è una maniera sbagliata di vedere le cose: se guardiamo da vicino questi momenti e li comprendiamo, possiamo anche perdonarci. E se c’è qualcosa da risolvere con gli altri, allora la possiamo correggere. Non possiamo fare di più. Ciò permette di sfuggire ai rimpianti alla fine della nostra vita. O almeno lo spero.

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