Dopo lo scandalo a MalmöSimona Martorelli della RAI: «Lo spirito dell'ESC riparte da Basilea». Ecco come e perché
Paolo Beretta
16.5.2025
Simona Martorelli, direttrice Relazioni internazionali e affari europei della Rai
Simona Martorelli - RAI
Simona Martorelli, direttrice Relazioni internazionali e affari europei della Rai, che è uno dei membri fondatori dell’EBU (European Broadcasting Union), ci spiega come sta vivendo l'esperienza dell'Eurovision a Basilea, cosa ha particolarmente apprezzato sia sul palco che fuori, cosa l'ha sorpresa e cosa si porterebbe volentieri a casa dall'esperienza elvetica.
Simona Martorelli, direttrice Relazioni internazionali e affari europei della Rai, ci racconta la sua esperienza a Basilea in questi giorni molto intensi.
La romana ha trovato molti punti positivi nell'organizzazione e nell'accoglienza impeccabili, ma pure una piccolo punto negativo: il costo della vita.
Ci spiega poi come grazie al nuovo regolamento e al «Code of conduct» e il «Duty of care» l'ESC vuole ripartire da Basilea su basi migliori dopo lo scandalo di Malmö dell'anno scorso.
Giudica le esibizioni di qualità eccellente, anche se a volte lo show visivo prende il sopravvento sulla canzone e il testo, che reputa importante.
Trova molto buona la conduzione di Hazel Brugger e Sandra Studer, con «un umorismo tipicamente svizzero: puntuale».
Nel cassetto dei ricordi riporrà lo spirito unitario degli artisti dietro le quinte perché davvero si sono «united by music».
In Italia si porterebbe volentieri la precisione dei nostri trasporti pubblici.
Quale è stato il primo impatto con Basilea e con la Svizzera?
È stato molto positivo. Basilea è una città accogliente, molto ben organizzata e pulita. C'è un'atmosfera rispettosa ed elegante.
Un punto positivo?
Il punto positivo è sicuramente l'efficienza dell'organizzazione. È tutto impeccabile.
C'è un punto negativo?
Il costo della vita. Per chi viene dall'estero qui è tutto molto caro. Il soggiorno risulta essere impegnativo a livello economico.
Fa parte dell'universo dell'Eurovision da molti anni. C'è un elemento che differenzia questa edizione dalle altre?
Sì, dopo l'edizione impegnativa di Malmö (in cui venne squalificato il concorrente olandese finito sotto inchiesta della polizia per «intimidazioni» nei confronti di una donna membro del team di produzione dello show, ndr), l'EBU ha fatto una riflessione interna, anche per salvaguardare la reputazione dell'Eurovision, e ha agito grazie a due strumenti, semplificando molto il regolamento e rendendolo più accessibile.
Quali sono i due strumenti?
Il «Code of conduct» e il «Duty of care» sono strumenti di responsabilità.
Il Code of conduct (codice di condotta) invita tutti gli accreditati a rispettare valori fondamentali come la neutralità politica, il fair play, il rispetto degli altri e del Paese ospitante.
Il Duty of care (iI protocollo sul dovere di diligenza) fornisce le informazioni e le buone pratiche per preparare i partecipanti, rafforzando il ruolo dei capi delegazione, chiamati a garantire che i propri team siano preparati e consapevoli e implementino i suddetti comportamenti.
C'è un altra novità...
Sì. Facciamo molta più attenzione alla sostenibilità: non solo ambientale, che è importantissima, ma anche a quella finanziaria. Si deve trovare un grande equilibrio.
Le semifinali: quale giudizio ha sulla qualità dello show? Cosa le è piaciuto di più e cosa di meno?
Gli show sono stati impeccabili! Ho trovato incredibile poi il fatto che delle scenografie molto complesse siano state fatte sparire dal palco in soli 40 secondi tra un'esibizione e l'altra. Un gran lavoro ben coordinato. Fin qui è andato tutto bene.
Mi è piaciuta molto la diversità musicale e culturale. In questo senso l'esperienza dell'ESC è davvero unica.
Non direi proprio negativo, ma penso che a volte l'eccessiva costruzione nelle coreografie rischia di nascondere un poco l'aspetto musicale, le canzoni, che per noi italiani è molto importante.
Cosa ne pensa della conduzione tutta al femminile?
La conduzione ha funzionato bene. Le due conduttrici sono molto preparate, ognuna nei propri ruoli. E poi c'è stata molta ironia, tipicamente svizzera direi: arrivava al punto giusto.
Mi è piaciuto poi che non hanno preso molto spazio, lasciandolo alla musica, agli artisti e alle loro performances.
Quale immagine si porterà nel cuore di questa edizione?
Quella del clima di condivisione e di amicizia dietro le quinte. L'anno scorso abbiamo avuto momenti difficili, con tensioni. Quest'anno invece è bellissimo vedere tutte le delegazioni e gli artisti che si sostengono a vicenda, promuovendo uno spirito di unità. In questo senso davvero si è, come dice il motto dell'ESC, «united by music».
Rientrando in Italia si porterà una cartolina particolare della Svizzera?
Quella della precisione. Nei trasporti, soprattutto. Sono pazzeschi, qui funzionano così bene. Sì, penso proprio che mi porterei la precisione svizzera a casa, a Roma.