Il ciclista poschiavino si è concesso per un'intervista esclusiva a blue Sport. In questa prima parte parla dei temi della sicurezza nelle corse, che nell'ultimo anno sono costati la vita a Gino Mäder e Muriel Furrer.
Hai fretta? blue News riassume per te
- Matteo Badilatti è un professionista ciclista svizzero, nato a Poschiavo, che da questa stagione corre per i colori del team elvetico Q36.5 Pro Cycling.
- Nell'ultimo anno, sulle strade di casa, sono due i professionisti svizzeri ad aver perso la vita durante una gara: Gino Mäder e Muriel Furrer.
- «Oggi si corre più forte, durante tutto il tracciato, si è continuamente alla ricerca del limite».
- Nonostante ciò, secondo il 32enne, si potrebbero diminuire i rischi, «valutando meglio i percorsi».
- Responsabilità per le morti? «Non si può puntare il dito verso nessuno. Il destino fa il suo corso».
Ci troviamo in riva al lago di Poschiavo, sono le 9 di mattina e il termometro segna 5 gradi. Decidiamo di camminare incontro al sole. Lo scenario è idilliaco in quanto i colori dell'autunno in Val Poschiavo sono uno spettacolo per gli occhi e per l'anima.
Lo sa bene Matteo Badilatti, che ha deciso di tornare a vivere e allenarsi dov'è nato dopo aver firmato il contratto che lo lega alla squadra professionistica svizzera Q36.5 Pro Cycling.
Pensava di andare a vivere in Spagna, per allenarsi su strada anche in inverno, grazie a temperature più miti e percorsi più variegati, ma poi, il paese d'origine ha avuto la meglio.
«Apprezzo molto il fatto di allenarmi da solo, ma allo stesso tempo mi piace poter incontrare i miei amici e uscire con loro. In valle posso fare anche altre attività sportive invernali».
A 32 anni sei uno dei veterani del team. Ti sono riservati dei compiti particolari?
Sicuramente. Quando ho iniziato la mia carriera professionistica avevo già 26 anni, dunque ero un esordiente, di una certa età comunque. Oggi chi firma i primi contratti ha 19-20 anni.
Oggi all'interno della squadra ho un ruolo d'esperienza, nel senso che cerco di trasmettere ai più giovani quanto imparato e vissuto finora. Si tratta di un valore aggiunto per tutta la squadra.
Gino Mäder l'anno scorso e Muriel Furrer poche settimane fa, due tragiche morti di atleti svizzeri sulle due ruote. Secondo te oggi si corrono troppi rischi rispetto al passato?
Il ciclismo è cambiato: vi è stata una grande evoluzione dei materiali, delle biciclette, ma soprattutto nelle dinamiche durante le corse.
Puoi spiegare meglio?
Oggi si corre più forte, durante tutto il tracciato, si è continuamente alla ricerca del limite. Ancora 5 anni fa il focus era posto sulle salite, mentre oggi si pedala forte su tutto il percorso, discesa compresa. Questo porta ad ampliare i fattori e i momenti di rischio.
Inoltre, oggigiorno si transita su strade dal fondo più scorrevole, i paesini, dove naturalmente bisognava rallentare, oggi sono molto meno e tutto ciò porta a un aumento generale della velocità. L'asfalto sulle strade svizzere, inoltre, è in genere eccezionale.
Hai menzionato le dinamiche di corsa ...
Il gruppo è un fattore di rischio, in quanto a volte si creano delle dinamiche dalle quali non ci si può esimere di partecipare, specialmente all'arrivo, o in discesa. Detto ciò mi sento di dire che non si sfugge al destino. Prendi la discesa dell'Albula (dove nel 2023 è morto Gino Mäder ndr): non è difficile tecnicamente ma è estremamente veloce. Vi sono tante discese più pericolose, ma a Gino è andata male.
Dunque non vi è possibilità di evitare delle tragedie?
Certo, si possono diminuire i rischi. Si potrebbero studiare meglio i percorsi, capire dove bisogna apportare dei cambiamenti, o addirittura cancellare la tappa se è il caso.
Una gara della Tre Valli Varesina, settimane fa, è stata annullata per un rischio troppo elevato.
Facendo il sopralluogo ci si è accorti che già in seconda posizione non si riusciva a vedere il percorso. Lì le squadre hanno detto "no, qui si oltrepassano i limiti della sicurezza".
Ci potrebbero anche essere dei percorsi da modificare, magari anche solo in alcuni tratti?
Certo. Una tappa di montagna con arrivo in discesa è da valutare con attenzione. Dopo aver scalato per ore e aver dato fondo alle proprie energie, si può immaginare che un arrivo in gruppo, da stanchi, in discesa, aumenta di molto i fattori di rischio.
A chi addossare le responsabilità dunque?
Non si può puntare il dito verso nessuno. Io credo che dopo delle verifiche puntuali ci si debba prendere il tempo per discutere, scambiarsi le opinioni e poi trovare una soluzione.
L'asfalto bagnato, il gruppo, una foratura, un sassolino, sono tutti fattori che non si possono prevedere. Una costante però rimane: il percorso deve essere validato in anticipo, nel tentativo di decrescere i fattori di rischio... il destino poi farà il suo corso. Inevitabile.
Inoltre, non dimentichiamo che alla fine sono i ciclisti che fanno la gara.
Oggi si compiono già questo genere di controlli-valutativi?
Sì, certo, vi sono dei gruppi che si occupano di questo. Ma in base a quanto successo sulle nostre strade e non solo, purtroppo, nell'ultimo anno, credo che questo genere di lavoro vada intensificato.
Il tempo è volato, parlando e camminando siamo quasi giunti a Miralago. Altri impegni ci costringono a ritornare sui nostri passi facendo il percorso all'inverso. Davanti a noi si stagliano, alte e maestosi le cime della catena del Bernina.
Da voi lettori ci congediamo qui, dandovi appuntamento a un seconda parte d'intervista, dove affronteremo i temi dell'alimentazione e della depressione.