Vive le Roi! Quando a Montecarlo il re biondo del tennis abdicò definitivamente

bfi

23.4.2020

Björn Borg (sinistra) e Lo sfidante Jordi Arrese, a Montecarlo nel 1991
Björn Borg (sinistra) e Lo sfidante Jordi Arrese, a Montecarlo nel 1991
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Era il 23 aprile del 1991 quando il 35enne Björn Borg decise di tornare in campo a otto anni dal suo ritiro. A Montecarlo si consumò una sfida impari e leggendaria. 

«Era davvero perfetto. Era Borg». Queste furono le parole dell'ex campione rumeno Ilie Nastase alla notizia del ritiro di Björn Borg.

Lo svedese, con grande sorpresa, aveva deciso infatti di mollare la racchetta a soli 27 anni, dopo aver vinto sei volte il Roland Garros e cinque volte Wimbledon. Lo svedese esordì in Coppa Davis a 15 anni, e terminò la carriera con 63 titoli vinti, di cui due Masters (1979, 1980). Diventò numero 1 al mondo il 23 agosto 1977, scese al numero due una settimana più tardi ma ritornò sul trono tra il 1978 e il 1980, per altre tre volte totalizzando 108 settimane al vertice del ranking ATP. Una carriera fugace e splendida.

Borg cambiò il gioco del tennis.

Top-spin, gioco da fondo campo, fisico e mente eccezionali e il rovescio a due mani

Descrivere in pochi versi le piccole o grandi rivoluzioni che l'ex tennista svedese portò nel panorama tennistico degli anni '70 sarebbe impavido e arrogante. Non ce ne vogliano i suoi fan e gli storici del gioco con la racchetta per quest'esercizio di equilibrismo.

Top-spin

Björn Borg non ha inventato il top-spin, ma sicuramente lo ha reso visibile e praticabile durante tutto l'arco di un match. L'angelo biondo venuto dal nord gli diede visibilità prima di qualsiasi altro, senza spingersi a quell'eccesso di effetto - e spettacolarizzazione sonora - che fu dell'austriaco Thomas Muster, un decennio dopo. 

Atleta incredibile

Si racconta - e alcune misurazioni sembrano certificarlo - che nel pieno della sua energia vitale il cuore di Borg battesse a 36 battiti al minuto. Molto sotto la media. Mentre gli altri tennisti si curavano ancora molto dell’eleganza dei gesti lui, da pragmatico vichingo, si concentrò sulla resistenza da fondo campo. Atti di resilienza sportiva, volti a sfiancare l'avversario inchiodato sulla linea di fondo campo. Top spin precisi che annichilivano gli spiriti velleitari di chi era votato alle discese a rete. Si racconta che un giorno Borg sfidò il tedesco Harald Schmid - campione europeo dei 400 metri - sulla distanza del chilometro: lo svedese arrivò primo, la sua preparazione atletica era straordinaria. 

Gelido approccio mentale

Il soprannome «Ice Man» racchiude di per sè gran parte della struttura mentale che accompagnò lo svedese negli anni dei suoi successi. Capace di attendere e di resistere prima di scagliare il lungo linea ferale.

Sono le parole della sua prima moglie - la rumena Simionescu - ad aggiungere capitoli alla leggenda dell'ex campione svedese.

«Era sempre molto tranquillo e calmo, a parte quando perdeva una partita: non accettava la sconfitta».

Approccio mentale che cambiò nel 1981 quando perse la sua prima finale a Wimbledon, per mano del grande rivale John McEnroe. «Non mi arrabbiai, e questo mi stupì». Tanto fu lo stupore e tanta fu la perdita di quell'atteggiamento mentale vincente, che due anni dopo, a soli 27 anni, Bjorg decise di smettere. L'insistenza di McEnroe nel volerlo rivedere in campo permisero alle folle di poter apprezzare l'angelo biondo ancora per alcuni tornei... finiti in malo modo. Stop. 

Il rovescio a due mani

Jimmy Connors e altri giocavano già il rovescio a due mani, un'eresia per gli esteti del tennis di quegli anni. Borg seppe rielaborarlo, rendendolo più elegante e conferendo alla pallina anche un effetto dettato da un leggero taglio. Da allora, i bambini che si approcciavano al tennis, iniziarono a colpire a due mani, imitando l'angelo biondo, e poi tutti gli altri. 

Uno stratega flessibile

Borg aveva sì un armamentario a sua disposizione alquanto fornito, ma sapeva altrettanto bene reagire a dei cambiamenti in corso. Un elasticità mentale che gli permise di annientare anche coloro che lo avevano studiato a tavolino, pensando di averne carpito i segreti.

Uno dei suoi avversari dell’epoca, lo statunitense Vitais Gerulaitis, disse a proposito: «Ogni volta che preparavo la partita avevo in testa 30 idee per vincere. Puntualmente, Borg riusciva ad annullare tutte queste 30 soluzioni». Gerulaitis perse sedici volte di fila contro lo svedese. 

23 aprile 1991: il ritorno

Questa lunga introduzione per raccontare di quell'incontro avvenuto a Montecarlo il 23 aprile del 1991, quando dopo 8 anni di assenza dai campi da gioco, Bjorn Borg decise di fare il suo ritorno. Forse stanco del suo rifugio dorato, o forse solo desideroso di rimettersi alla prova per provare a sé stesso e a tutto il mondo che il campione era sempre ancora vivo.

L'avversario era lo spagnolo - poco conosciuto - Jordi Arrese. La folla urlava «Vive le Roi! Long live the King!. Il rientro di Borg era attesissimo. Lo svedese non aveva perso la sua fluida chioma bionda - le ragazze e le donne ancora impazzivano -, il suo fisico era rimasto statuario, la racchetta era ancora di legno, mentre il resto del mondo era passato a quelle in grafite, con la padella ben più grande.

Borg si rivolse a un artigiano di Cambridge, che gli replicò la Donnay che aveva usato dieci anni prima. Nessuna scritta, nessun futuro. 

Lo spagnolo vinse la sfida in 78 minuti, in due set: 6.3, 6:2. 

Il re aveva abdicato definitivamente.

Arrese, non verrà ricordato per i quattro tornei vinti in carriera e nemmeno per la medaglia d'argento conquistata alle Olimpiadi di Barcellona nel 1992. Lo spagnolo rimarrà nella storia per aver battuto Björn Borg, ed aver chiuso così un'era. Oggi Arrese fa il chiropratico e sul muro del suo studio troneggia la fotografia del saluto a Borg: il mediocre giocatore che ha avuto ragione del dio del tennis. Scherzi del destino. 

«Non scambierei questa giornata con niente al mondo. Questo giorno rimarrà nel mio cuore per sempre», disse commosso lo spagnolo al termine dell'incontro. 

La folla, quel giorno a Montecarlo, ebbe però dei momenti estatici: alcuni rovesci col legno rimasero immutati, i lungo linea di diritto fecero balzare sulle sedie anche i più composti dignitari monegaschi. 

Reminiscenze di un passato glorioso, le ultime.

«Le mie aspettative erano basse. Dopo 8 anni era impossibile giocare bene al primo incontro. Però, oggi, ho capito molte cose. Anche se ho perso, mi sono divertito. Mi piace giocare di nuovo. Mi servono altri tornei per tornare al 100%. So che giocando migliorerò». Non giocherà nessuno dei grandi tornei che si era prefisso, e negli altri rimediò solo sconfitte.

Il re biondo del tennis smetterà con in mano la racchetta di legno. Segno di un tempo passato. Dopo di lui ne verranno altri. Grazie Björn Borg.

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