US Open: Federer è ottimista «Sento di far parte di quel ristretto gruppo di giocatori che ce la potrebbe fare»

bfi

25.8.2019

Il Maestro è a New York alla caccia del numero 21
Il Maestro è a New York alla caccia del numero 21
Keystone

Alla vigilia del suo primo match agli US Open 2019, Roger Federer parla delle difficoltà avute a New York negli anni passati, del suo momentaneo stato di forma, della Grande Mela e di tanto altro ancora. 

New York: un primo incontro con la stampa durante il quale il tennista di Basilea parla delle difficoltà avute a New York negli anni passati, del suo momentaneo stato di forma, della sconfitta patita in finale a Wimbledon, delle nuove generazioni che ancora sono là dietro e di quanto gli piacciono gli Stati Uniti e New York. 

D: Durante gli utlimi anni hai subito alcune sconfitte qui a New York, l'anno scorso contro Millman. Sembra che tu abbia avuto alcune difficoltà da queste parti. 

RF: Ci ho pensato anch'io, non è stato facile qui negli ultimi anni. Due anni fa venni qui con alcuni problemi alla schiena e dovetti superare un primo scoglio sui cinque set. Ricordo Tiafoe in specialmodo, in effetti fu un torneo tutto in salita. L'anno scorso faticai alquanto a causa del caldo contro Millman. Ieri e il giorno prima mi sono sentito molto bene durante l'allenamento, come non mi sentivo da anni: è molto incoraggiante direi. 

Non ho comunque delle spiegazioni sul perchè negli ultimi anni ho faticato tanto. Credo sia stato un po' sfortunato, ci può stare. 

D: Nel 2008 hai vinto qui per l'ultima volta. Parlavi di sfortuna.

RF: Credo sia stata più che altro una questione legata a dei problemi fisici. 

D: Con quale atteggiamento mentale inizi questo torneo? Senti una pressione ulteriore per vincere qui una sesta volta?

RF: Non direi. Cerco di non aggiungere della pressione supplementare. Non sono arrivato qui come il grande favorito, come invece successe nel 2006 e 2007. So come mi devo preparare al meglio da un punto di vista menatale. Sono molto contento di come ho giocato con una buona continuità nell'ultimo anno e mezzo. Negli ultimi Slams ho giocato bene e questo non può che farmi piacere. La vittoria contro Rafa in semifinale a Wimbledon è stata una gran cosa per me, il modo in cui ho giocato in finale mi ha caricato di fiducia. 

Sono molto contento di come sto giocando. A posteriori posso dire che essere uscito di scena presto a Cincinnati forse è stata una buona cosa, come quando nel 2017 persi al primo turno a Dubai per poi andare a vincere a Indian Wells e Miami.  Chissà, forse sono quelle cose che devono andare in una certa maniera. 

So che sarà un torneo molto duro da vincere, non ho dubbi. Sento comunque di far parte di quel ristretto gruppo di giocari che ce la potrebbe fare.

D: Nel corso degli anni molti giocatori hanno notato come l'US Open è uno dei loro tornei preferiti, per l'energia sprigionata dal pubblico per ciò che significa essere a New York. Cosa ti piace maggiormente di questo torneo? 

RF: Beh, certo, penso sempre a come tutto qui è molto grande. Il più grande stadio al mondo.  Tutto è più grande negli Stati Uniti. Io arrivo da un piccolo Paese, dunque giocare negli Stati Uniti è sempre stato eletrizzante per me. Ricordo quando lasciai la Svizzera la prima volta per volare a Miami a giocare l'Orange Bowl U-14: fu una gran cosa. Immaginate dunque com'è per noi giocare a New York, aldilà del pubblico che è davvero fantastico. 

È un grande evento che è cresciuto molto nel corso degli anni, ve lo posso assicurare. Nel 2000 giocai qui in questo stadio contro Juan Carlos Ferrero e la folla era in delirio. Oggi è stato costruito un tetto, lo abbiamo visto crescere e migliorare. Mi fa piacere sapere che per molti giocatori è il torneo migliore al mondo.

D: Quanto è pesata la finale persa a Wimbledon da un punto di vista fisico e mentale. Andy Roddick ha detto che a volte è difficilissimo riprendersi da un incredibile match come quello. 

RF: Ho faticato un poco nei primi giorni e allo stesso tempo ero in giro con i miei figli. Non ho avuto molto tempo per riflettere sulle opportunità sciupate. Dovevo apparecchiare e organizzare la vita dei miei quattro figli, spostarmi attraverso quel magnifico Paese che è la Svizzera. A volte, certo, ho dei flashbacks: penso a cosa avrei potuto fare e a cosa non avrei duvuto fare. Il giorno dopo mi trovo a bere un bicchiere di vino con mia moglie e mi dico che sia la semifinale che la finale sono state due grandi partite. Insomma, c'è un'alternanza di pensieri, positivi e negativi. In generale se ripenso alla finale persa contro Novak mi reputo contento di aver fatto la mia parte nell'aver dato vita ad una partita tanto spettacolare. Noi tennisti siamo anche degli intrattenitori. Il pubblico paga tanti soldi per un evento di questo genere. Io e Novak abbiamo dato vita ad una bellissima battaglia e uno dei due doveva vincerla. Novak è stato migliore di me quel giorno. Onestamente, ho l'impressione di aver avuto una bella stagione sulla terra e anche sull'erba, dunque non mi sono mai sentito troppo abbattuto. Spero che questo pensiero mi possa aiutare anche qui. 

D: Quali conseguenze - positive e/o negative - per il movimento tennistico maschile in generale  ha secondo te il fatto che nessun giovane riesce a vincere un Grand Slam?

RF: Non credo sia un problema di per sè. Novak e Rafa sono di nuovo in forma, Andy sta lentamente ritornando, questi aspetti rendono le possibilità per gli altri di vincere molto più ridotte. Nonostante questo credo che alcuni stiano veramente bussando alla porta. Penso anche che il dominio di Rafa e e di Novak sia qualcosa di normale nel gioco del tennis. Se vinci il 55% o il 65% dei punti in un match significa che stai dominando, anche se gli altri non sono molto lontano. Anche Stan è sulla via del ritorno e quando vinceva era anche molto forte. Sembra che i favoriti per la vittoria di quest'anno siano ancora gli stessi e sarebbe una vera sorpresa se qualcun altro dovesse vincere. 

Tornare alla home pageTorna agli sport