TerrorismoLa strage di Bologna: il 2 agosto 1980, quel sabato di orrore
ATS / ANSA / pab
2.8.2020
Un boato improvviso, lacerante, poi solo urla, singhiozzi, polvere e macerie. L'atrio della stazione centrale di Bologna si riempie di sangue e detriti, sulla pensilina del primo binario l'esplosione investe anche il treno Adria Express 13534 Ancona-Basilea, in ritardo di un'ora sulla tabella di marcia, le grida dei feriti e dei passeggeri incontrano volti annichiliti dallo choc e dall'orrore. Sono fotogrammi della memoria del 2 agosto 1980, un torrido sabato di esodo verso le vacanze.
Alle 10.25 (l'ora della tragedia rimarrà per sempre impressa nelle lancette ferme del grande orologio) l'esplosione squarcia l'ala sinistra della stazione su piazza Medaglie d'Oro: la sala d'aspetto di seconda classe, gli uffici del primo piano, il ristorante.
Nel ristorante-bar-self service perdono la vita sei lavoratrici; tra le vittime anche due taxisti in attesa di clienti nel posteggio davanti all'edificio polverizzato dallo scoppio.
Ottantacinque morti e 200 feriti: la strage più efferata d'Italia cancella storie e persone di ogni età e provenienza.
Si «riapre la città»
La prima ipotesi circolata sulle cause, l'incidente provocato dallo scoppio di una caldaia, non regge a lungo, anche perché nel punto dell'esplosione non ce ne sono, e in poche ore lascia il passo alla certezza dello scenario più temuto: l'attentato terroristico con una bomba ad alto potenziale.
Da subito, senza soste e per ore, si mettono all'opera sanitari, vigili del fuoco, forze dell'ordine, esercito, volontari, alla ricerca di vite da soccorrere e da salvare. Una catena spontanea che in pochissimo tempo rimette in moto una città che stava «chiudendo per ferie».
Saltano le linee telefoniche e i primi cronisti giunti sul posto, per poter raccontare l'inferno di quei momenti, «espropriano» la cabina dei controllori degli autobus sul piazzale, dove il telefono invece funziona. Cellulari e internet ancora non esistono.
Un bus di linea trasformato in carro funebre
Dagli ospedali arriva l'appello a medici e infermieri di tornare in servizio, mentre un autobus Atc della linea 37, la vettura 4030, diventa simbolo di quel terribile giorno, trasformandosi in un improvvisato carro funebre che ha come capolinea la Medicina legale (allora a poca distanza) per trasportare le salme. Tante, troppe.
Alla guida si mette l'imolese Agide Melloni, allora autista trentunenne: «Mi chiesero di portare via i cadaveri con il bus. Dal mattino alle tre di notte, con i lenzuoli bianchi appesi ai finestrini. Ma in ogni viaggio c'era qualche soccorritore con me, per sostenermi».
La vittima più piccola è Angela Fresu, appena 3 anni, e poi Luca Mauri, di sei, Sonia Burri, di sette, fino a Maria Idria Avati, ottantenne, e ad Antonio Montanari, 86 anni.
Sul posto anche il presidente della Repubblica
In stazione arriva il presidente della Repubblica Sandro Pertini, commosso e angosciato, mentre tutt'intorno una catena umana continua a spostare detriti nella speranza, sempre più tenue, di trovare ancora qualche traccia di vita.
Quella stessa sera piazza Maggiore si riempie per una manifestazione, la prima risposta di mobilitazione politica per chiedere giustizia e verità, mentre a tarda notte all'obitorio, dove le celle frigo sembrano non riuscire a contenere così tanti corpi, un maresciallo dei carabinieri continua a tentare di dare un nome alle salme. Un'identità affidata a volte solo a brandelli di indumenti o di documenti, a un anello, ai resti di una catenina.
Il giorno dei funerali, il sindaco Renato Zangheri ricorda come lo stesso copione fosse stato già vissuto sei anni prima, il 4 agosto 1974, sull'Italicus a San Benedetto Val di Sambro, con dodici morti e 44 feriti: «La stessa città, lo stesso nodo ferroviario, gli stessi giorni delle vacanze, forse lo stesso proposito di recitare il crimine anche sul corpo di viaggiatori stranieri, e quindi di dimostrare ad altri popoli e governi la debolezza della nostra democrazia».
L'associazione delle vittime: «verso la verità»
«Sono passati 40 anni e finalmente il nostro desiderio di avere verità comincia a realizzarsi, grazie al lavoro della Procura generale di Bologna che ha seguito il denaro di Licio Gelli e analizzato la mole digitalizzata di atti che gli abbiamo fornito». Così il presidente dell'associazione per le vittime della strage di Bologna, domenica mattina dal palco della commemorazione in piazza Maggiore.
«Quei magistrati, a 40 anni di distanza, hanno reso onore ad un altro grande magistrato, Mario Amato. A quei magistrati diciamo due cose: grazie, non vi lasceremo mai soli».
Molti politici italiani si sono espressi in occasione dell'anniversario. Tra questi, attraverso una dichiarazione, il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella: «In occasione del quarantesimo anniversario della strage della stazione, desidero - a distanza di pochi giorni dalla mia visita a Bologna e dall'incontro nel luogo dell'attentato - riaffermare la vicinanza, la solidarietà e la partecipazione al dolore dei familiari delle vittime e alla città di Bologna, così gravemente colpiti dall'efferato e criminale gesto terroristico. Riaffermando, al contempo, il dovere della memoria, l'esigenza di piena verità e giustizia e la necessità di una instancabile opera di difesa dei principi di libertà e democrazia».
Le condanne e i mandanti
Le indagini per trovare i colpevoli e i mandanti si sono rivelate particolarmente complesse e con diversi depistaggi, anche effettuati da alcuni membri delle forze dell'ordine. Ancora oggi alcuni aspetti della vicenda non son stati chiariti.
Per la strage di Bologna sono state condannate quattro persone, che all'epoca dei fatti, erano dei militanti di estrema destra eversivi dei Nuclei Armati Rivoluzionari, i NAR.
Francesca Mambro e Valerio Fioravanti, sono considerati gli autori materiali. Pure Luigi Cavardini è stato condannato all'ergastolo. Anche dopo la condanna in Cassazione e la fine della pena (tutti e tre sono ormai liberi), hanno sempre negato di essere coinvolti nella strage.
Anche Gilberto Cavallini è stato condannato per l'attentato di Bologna.
Mambro e Fioravanti, sposatisi nel 1985, si sono assunti le responsabilità politiche degli innumerevoli omicidi commessi dai NAR tra il 1977 e il 1981.
L'11 febbraio 2020 la procura generale di Bologna ha indicato Licio Gelli , faccendiere, conosciuto come "maestro venerabile" della loggia massonica P2, morto nel 2015, come uno dei quattro organizzatori e finanziatori della strage di Bologna insieme a Mario Tedeschi, Umberto Ortolani e Federico Umberto D’Amato.