Dibattito al Nazionale Divieto del burqa, tra islamofobia e difesa dell'Occidente

ATS

17.6.2020 - 11:56

La consigliera nazionale Greta Gysin (Verdi/TI), contraria all'iniziativa sulla dissmulazione del viso negli spazi pubblici attualmente all'esame del parlamento.
La consigliera nazionale Greta Gysin (Verdi/TI), contraria all'iniziativa sulla dissmulazione del viso negli spazi pubblici attualmente all'esame del parlamento.
Source: KEYSTONE/ALESSANDRO DELLA VALLE

Un segno di oppressione, intolleranza e islamizzazione strisciante, o una restrizione delle libertà fondamentali del tutto sproporzionata, dagli effetti trascurabili a livello di sicurezza e quindi inutile.

Questi gli argomenti principali evocati oggi da sostenitori e oppositori dell'iniziativa popolare anti-burqa «Sì al divieto di dissimulare il proprio viso» all'esame del Consiglio nazionale.

La Camera del popolo dovrà decidere oggi in serata se raccomandare l'adozione o il rigetto dell'iniziativa. Gli Stati si sono già pronunciati per il «no» e a favore del controprogetto indiretto. Quest'ultimo è già stato accolto nel marzo scorso dal Nazionale, che finalmente potrà esprimersi sull'iniziativa.

Prima del voto finale, che dovrebbe tenersi nel tardo pomeriggio, dovranno parlare ancora 43 deputati. Il risultato del voto dovrebbe arridere agli avversari dell'iniziativa, anche se di misura: la commissione preparatoria propone il rigetto per 13 voti a 9 e 3 astensioni. A livello di gruppi, sostengono l'iniziativa l'UDC e la maggioranza del gruppo del Centro (PPD-PBD-EVP). Contrari il PS, il PLR, i Verdi e i Verdi liberali.

Il controprogetto

La legge sulla dissimulazione del viso, controprogetto indiretto all'iniziativa, obbliga una persona a mostrare il proprio volto per potersi identificare durante i controlli sui trasporti pubblici, alla dogana o per le procedure amministrative. La normativa dovrà includere anche provvedimenti volti a promuovere l'uguaglianza uomo-donna.

Concretamente, si auspica una modifica delle legge sugli stranieri e la loro integrazione in modo che i programmi cantonali d'integrazione finanziati dalla Confederazione tengano conto delle particolari esigenze di donne, giovani e bambini.

La legge sulla parità dei sessi va quindi rivista onde rendere possibile anche i programmi promozionali che migliorano l'uguaglianza tra uomo e donna all'infuori della vita professionale.

L'iniziativa

L'iniziativa popolare «Sì al divieto di dissimulare il proprio viso» lanciata dal comitato di Egerkingen, già all'origine del divieto di costruire nuovi minareti in Svizzera, va più lontano poiché pone un divieto generale della dissimulazione del viso.

Nel mirino le donne che indossano il burqa o il niqab, affinché queste ultime possano decidere liberamente secondo i fautori del testo. Il comitato di Egerkingen giustifica la sua iniziativa anche con motivi di sicurezza; il divieto di dissimulazione si applicherebbe infatti anche alle bande di teppisti che agiscono sovente a margine di importanti manifestazioni, come quelle del Primo maggio.

Due cantoni, il Ticino e San Gallo, contemplano nella rispettiva legislazione il divieto del burqa. Zurigo, Soletta, Svitto, Basilea Città e Glarona hanno respinto una normativa simile.

No all'islam politico

Per i sostenitori dell'iniziativa, chador, niqab e burqa sono simboli dell'islam politico, della sua volontà di proselitismo, che si realizza anche nell'obbligo per le donne di coprirsi, tutti fenomeni in contraddizione con i nostri valori di libertà e autodeterminazione.

Per Piero Marchesi (UDC/TI), le femministe dovrebbero sostenere una simile proibizione. A suo avviso, il divieto è necessario se si vuole vivere assieme, come indicato dalla Corte europea dei diritti umani che ha respinto un ricorso di una donna musulmana contro un divieto simile in vigore in Francia.

Per Marianne Binder-Keller (Centro/AG), l'iniziativa non restringe la libertà religiosa. Un capo di abbigliamento come il burqa, con una forte valenza politica, va contro il nostro stato di diritto poiché viene imposto alle donne. Un simile capo è ben diverso da un gioiello, una croce, una stella di Davide, una mezzaluna portata al collo. O la kippà degli ebrei.

Nel suo intervento, Marco Romano (Centro/TI) ha sostenuto che l'obbligo di indossare burqa o niqab è in contrasto con i valori liberali e di apertura della nostra società, basata sul rispetto e l'uguaglianza.

In Svizzera, non ci si maschera il viso, né nei confronti delle autorità né in ambito sociale. Simili capi di abbigliamento sono intollerabili se imposti e non graditi anche quando scelti liberamente, e ciò vale anche per le donne convertitesi all'islam, tanto più che il velo non è un elemento essenziale per la loro religione. A suo avviso, gli avversari dell'iniziativa sottovalutano questi aspetti culturali e sociali.

Islamofoba, populista e inutile

Per gli avversari, oltre ad essere illiberale, e contraria alla libertà di coscienza, ossia contraria proprio a uno dei valori cui fanno riferimento i fautori, l'iniziativa introduce un divieto generalizzato della dissimulazione del viso per un «problema che non c'è»: sono infatti rare le donne di fede islamica in Svizzera che si celano il viso. La maggioranza sono turiste dai paesi arabi, quindi l'argomento «dell'integrazione» e della «liberazione» delle donne non regge.

Anzi, un divieto di dissimulare il viso avrebbe come risultato la marginalizzazione di queste donne, e in ultima analisi la stigmatizzazione di un'intera religione. Insomma, questa iniziativa è un favore fatto proprio alle cerchie che si riconoscono nell'Islam radicale.

Quanto alla maggiore sicurezza promessa dall'iniziativa, che contempla il divieto di dissimulazione anche per teppisti e movimenti politicamente radicali violenti, si tratta di un'illusione: non solo le donne musulmane da noi non portano il velo, ma poiché i Cantoni sarebbero chiamati a promulgare una legge di applicazione si rischiano 26 diverse interpretazioni dell'iniziativa.

Ticino, per Greta Gysin un'esperienza deludente

Dubbi sono stati sollevati anche in merito all'efficacia del divieto in vigore nel canton Ticino, che ha fatto da battistrada, e a San Gallo. Dall'entrata in vigore due anni fa dell'apposita legge in Ticino, ha dichiarato Greta Gysin (Verdi/TI), sono state avviate 37 procedure sfociate in 20 contravvenzioni, di cui tre per il porto di un passamontagna. Insomma, un «magro» risultato per chi voleva migliorare la condizione delle donne.

Per l'esponente ecologista ticinese, l'iniziativa vuole regolare un «non problema», è una perdita di tempo, che non affronta i veri problemi cari alle donne, ossia le differenze salariali tutt'ora esistenti e la violenza domestica: ogni due settimane, una donna è vittima di «femminicidio» in Svizzera.

Gysin ha poi rammentato che obbligare una donna a velarsi è già punito dal Codice penale quale coazione.

Per Ada Marra (PS/VD), l'iniziativa è «populista» e «islamofoba» non solo perché tratta un problema inesistente, ma crea una separazione artificiosa tra noi e gli altri, in questo caso i «musulmani», promuovendo un clima di sospetto generalizzato.

Quanto al femminismo tirato in ballo dai promotori, specie UDC, si tratta di una «trappola», visto che i promotori sono gli stessi mostratisi più volte sordi ad altri veri problemi cari alle donne, come la disparità salariale tra i sessi.

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