Donne e diritti Ellen Ringier: «Ho sempre mostrato un certo ritegno»

Bruno Bötschi

11.12.2018

Ellen Ringier commenta così il film documentario «#Female Pleasure»: «Gli uomini possono fare ciò che vogliono e detengono il potere. Il ruolo delle donne è relegato a tre cose: la chiesa, la cucina e i figli. Dopo essermene resa conto, era evidente che avrei sostenuto questo film».
Ellen Ringier commenta così il film documentario «#Female Pleasure»: «Gli uomini possono fare ciò che vogliono e detengono il potere. Il ruolo delle donne è relegato a tre cose: la chiesa, la cucina e i figli. Dopo essermene resa conto, era evidente che avrei sostenuto questo film».
Ringier

L’editrice e giurista Ellen Ringier si indigna nel corso di questa intervista per il fatto che le mogli svizzere non sono considerate in modo adeguato. Ci svela inoltre la ragione per la quale non è mai entrata in un dibattito politico e perché sostiene il film documentario svizzero «#Female Pleasure».

Sono le undici del mattino nel luminoso ufficio di Ellen Ringier, situato nel quartiere di Seefeld, a Zurigo. La lucernese di 67anni è moglie di uno degli uomini più ricchi della Svizzera. La coppia Ringier figura al 141esimo posto nella classifica degli elvetici più abbienti stilata dal magazine «Bilanz». La rivista economica ha stimato la fortuna dei coniugi a 950 milioni di franchi.

La testata «Annabelle» ha tuttavia affermato dalle proprie colonne che la signora Ringier ha tanti punti in comune con una sposa classica della Costa d’oro quanti ne può avere Lady Gaga con l’Orchestra filarmonica di Berlino: «La giurista non dedica il proprio tempo alla manicure o a delle sedute presso un allenatore personale, ma a cercare di rendere il mondo migliore».

La nostra chiacchierata in questa tarda mattinata toccherà i temi dell’impegno, del denaro, dell’uguaglianza. La signora Ringier beve un ultimo sorso di caffè e aspira ancora una volta la sua sigaretta prima di cominciare con un paio di domande senza troppa importanza del tipo «aut-aut».

Signora Ringier, oggi ci dedicheremo ad un gioco di domande-risposte: nel corso della prossima mezz’ora gliene porrò il più possibile e lei risponderà il più rapidamente e spontaneamente possibile. Se una domanda non le piace, dica semplicemente: «Salto».

Ci sono due o tre domande tabù alle quali non risponderò.

Meglio Lucerna o Zurigo?

Zurigo.

Angela Merkel o Simonetta Sommaruga?

Angela Merkel. Mi piace la sua serenità.

Le sue idee più rivoluzionarie quando aveva 12 anni?

Salvare il mondo.

Il suo modello?

Tutti coloro che operano per il bene del mondo: Albert Schweitzer, Henri Dunant, Florence Nightingale.

La nostra intervista è durata finora esattamente 55 secondi. Si tratterà di un’intervista a ritmi forsennati? No di certo.

Le sono mancati dei modelli di successo femminile nel corso della sua infanzia?

No, era un tema importante per me. Ero affascinata dalla regina Christina di Svezia che si è opposta al matrimonio voluto dal padre e per questo ha dovuto rinunciare al trono. Mi sono interessata al personaggio politico israeliano Golda Meir, così come alla celebre donna di scienze Marie Curie, sola donna ad aver ottenuto il premio Nobel in due discipline fino ad oggi. I personaggi femminili sono stati centrali per me, ho letto numerose biografie. Queste opere, ma anche l’educazione che mi ha trasmesso mia madre, hanno rafforzato la mia convinzione di non voler diventare in futuro una semplice donna di casa sottoposta alla pressione collettiva di un gruppo chiamato «società». Ho saputo molto presto che sarei stata libera di fare le mie scelte: è ciò che desideravo ardentemente.

Suo nonno affermava che «nella vita occorre sempre dare una possibilità agli altri». Quale eco ha avuto questa frase su di lei durante l’adolescenza?

Questa frase si è presto rivelata fruttuosa. Ho avvertito rapidamente, malgrado il fatto di non essere affatto credente, che ero votata a porre i miei talenti e le mie capacità al servizio del prossimo. La frase era inoltre associata ad un trasferimento di beni: mio nonno mi ha regalato una grossa somma al fine di far sì che non fossi mai dipendente dagli uomini. Un regalo incredibile, poiché già all’età di 12 anni seppi che avrei potuto seguire la mia strada e che ci sarebbe sempre stata una rete di protezione. Negli anni Cinquanta, per le donne la cosa importante era far funzionare il proprio matrimonio. Cosa che nel mio caso non ha mai rappresentato un grattacapo, anche se oggi posso dire... di aver fatto funzionare il mio matrimonio (scoppia a ridere). Una delle mie due sorelle, ancora oggi, non è sposata.

Lei è diventata la persona socialmente impegnata che oggi conosciamo grazie a suo nonno?

I miei genitori, così come i miei nonni, mi hanno fortemente influenzata. Mia nonna paterna, di educazione cattolica, affermava che ciò che facciamo per noi stessi possiamo farlo anche per gli altri.

È vero che suo padre le ha impedito di studiare medicina?

Mi ha detto che sarebbero stati gli unici studi che non avrebbe finanziato.

Perché non voleva che lei diventasse un medico?

I voti ottenuti in chimica e fisica in occasione del mio esame di maturità non gli facevano ritenere che quegli studi sarebbero stati un successo.

Si dice che lei abbia un grande cuore. Sembra semplice quando si dispone di un conto in banca come il suo.

Io rifiuto ostinatamente questa considerazione di causa-effetto. In primo luogo, non dispongo purtroppo di così tanto denaro, altrimenti non mi impegnerei da 30 anni nella raccolta di fondi e oggi non sarei in ufficio ma fuori a prendere il sole. In secondo luogo, si può avere un grande cuore anche senza donare: consacrando del tempo agli altri anziché regalando soldi. Intendo dire aiutando direttamente il prossimo. Cosa pensa che accadrebbe se ciascuno gettasse un’occhiata dalla finestra e riflettesse sul fatto che le serrande dell’anziana signora che abita di fronte sono sempre abbassate, benché di solito lei si sveglia presto? Perché, constatandolo, non ci affrettiamo tutti ad andare da lei per chiedere se va tutto bene? Sono convinta del fatto che se i vicini si aiutassero reciprocamente, il mondo sarebbe decisamente migliore.

Sembra che la consueta omertà che regna tra le persone molto ricche - si possiede del denaro ma non se ne parla - non valga nel caso di Ellen Ringier. Vediamo se è davvero così.

L’eredità non è qualcosa di profondamente ingiusto?

L’eredità non è del tutto giusta, senza essere tuttavia profondamente ingiusta. Ciò che è ingiusto è soprattutto il fatto che gli ereditieri non facciano nulla, con il loro denaro, per l’interesse generale della società, ma lo usino esclusivamente per il loro benessere personale.

È stata soprannominata «la mendicante inopportuna». Lo trova offensivo?

Mi fa male solo quando le dicerie lasciano intendere che io faccia tutto questo unicamente a fini personali. Ma, a 67 anni, accolgo ogni anno che passa come un regalo e vivo al di sopra di queste cose.

Qual è il livello di generosità degli svizzeri ricchi?

Non posso parlare in termini generali. Penso che gli svizzeri senza grandi ricchezze siano molto generosi. Basta guardare ogni volta che cifre raggiungono le raccolte fondi della Catena della Solidarietà. Nel nostro Paese si raccolgono delle somme enormi grazie alle donazioni. E spero che tutti gli svizzeri che dispongono di mezzi finanziari ingenti possano far arrivare un loro piccolo contributo fino alle nazioni meno fortunate.

La ricchezza deve implicare degli obblighi?

Assolutamente.

Quando lancerà un’iniziativa a favore di una proprietà privata impegnata nel sociale?

Non credo che riuscirei a far passare un’iniziativa simile tenuto conto della forte testardaggine che regna. Spero però... anzi direi che sono proprio convinta del fatto di poter incoraggiare, nel corso della mia esistenza, parecchie persone ad adottare un modo di vivere di questo tipo.

Le è stato chiesto due volte di candidarsi al Consiglio nazionale, ma lei ha sempre rifiutato...

… è stato tanto tempo fa.

La terza volta sarà quella buona allora?

Non ho assolutamente alcun desiderio di cominciare una carriera politica all’età di 67 anni. Sono i quarantenni che devono impegnarsi.

Nel 2012, ha affermato in un’intervista: «Non sono molto politicizzata, milito semplicemente contro l’ingiustizia».

Esatto.

Il magazine «Annabelle» ha scritto che lei ha tanti punti in comune con la classica moglie della Costa d’Oro quanti ne ha Lady Gaga con l’Orchestra filarmonica di Berlino. È vero?

È vero.

La Svizzera è moderna come pensiamo?

No.

Ancora una risposta immediata.

Qual è il suo progetto principale in questo momento?

Mi dedico, e non solo ora ma da 17 anni, alla fondazione «Elternsein». Ha necessità finanziarie importanti, benché il numero di lettori della rivista per genitori «Fritz+Fränzi» non smetta di aumentare. Solo lo scorso anno abbiamo registrato una crescita del 21%. Ciò significa che la necessità di assistenza per i genitori in materia di educazione è importante in questo Paese. E direi che questo trend di crescita stia continuando.

Lei si sta spendendo, in qualità di produttrice del documentario «#Female Pleasure», per liberare la sessualità femminile. Perché si è impegnata a favore della pellicola della registra svizzera Barbara Miller?

Quando abbiamo parlato del film la prima volta, mi ha aperto gli occhi: tutte le religioni del mondo, ed in particolare le culture che derivano da religioni, hanno un denominatore comune.

Quale?

Gli uomini possono fare ciò che vogliono e detengono il potere. Il ruolo delle donne è relegato a tre questioni: la chiesa, la cucina e i figli. Dopo essermene resa conto, il mio sostegno al film è diventato inevitabile.

Melanie Winiger, che allo stesso modo sostiene la pellicola come produttrice, dichiara che «#Female Pleasure» parla «dell’ingiustizia più antica del mondo», ovvero dell’oppressione sessuale delle donne in nome della religione e della cultura.

È vero, ad eccezione della cultura ebraica. Nel Talmud esiste un passaggio che indica che un uomo è tenuto a soddisfare sessualmente la propria moglie, secondo quanto mi ha riferito uno specialista. Ditelo agli uomini cristiani che passeggiano per strada.

Doris Wagner, una delle protagoniste del film, ha vissuto nella comunità ultra-religiosa «L’Opera» e là è stata violentata da un prete. Qual è la sua opinione su questa donna?

Doris Wagner è un eccellente esempio di donna che è riuscita a superare gli eventi passati. Ciò anche grazie alla sua grande intelligenza. Alla fine del film, la si vede in compagnia del marito e del loro figlio. Doris Wagner è totalmente cosciente della felicità che ha la fortuna di vivere oggi. Penso che lei conosca sé stessa molto più rispetto alla maggior parte delle donne che si sposano senza riflettere alle conseguenze. Dopo essersi sposate e aver avuto dei figli, numerose donne non vedono altro che le difficoltà che ne scaturiscono e l’impatto sulla loro libertà personale. Anziché essere felici di esserci per un uomo e per un figlio, come nel caso della signora Wagner.

I personaggi centrali del film sono cinque donne coraggiose. Che rompono i tabù del silenzio e della vergogna che le loro società o religioni impongono loro. Lei quanto è coraggiosa?

Lo sono molto meno. Anche perché porto un cognome che mi rende sempre attenta a ciò che faccio, al fine di non generare problemi di reputazione. Almeno, è la scelta che ho fatto. È per questo che ho sempre mantenuto un certo ritegno e mi sono posta in secondo piano nel corso della mia vita. Ciò risponde anche alla sua domanda sul perché non mi sia mai impegnata in politica.

Ci spieghi meglio.

Nel nostro Paese, la moglie non è vista come una personalità a sé stante. Sarei stata perciò vista sempre come la consorte dell’editore. Tutto ciò che avrei fatto sarebbe stato attribuito a mio marito o, peggio ancora, all’azienda.

Ellen Ringier in compagnia della regista di «#Female Pleasure» Barbara Miller e dell’attrice Melanie Winiger nel corso del festival de cinema di Locarno.
Ellen Ringier in compagnia della regista di «#Female Pleasure» Barbara Miller e dell’attrice Melanie Winiger nel corso del festival de cinema di Locarno.
Keystone

Amy Schumer ha dichiarato in un’intervista: «Essere una donna è una merda». Lo ha affermato in riferimento al fatto che le donne sono sessualizzate nella vita pubblica. La comica e attrice americana ha ragione?

Comprendo appieno il punto di vista di Amy Schumer. Il mio caso però è un po’ diverso. La bellezza non è mai stata importante nel corso della mia gioventù. Mio padre mi ha lasciata crescere con un taglio di capelli molto corto. Non mi è perciò mai venuta l’idea, durante gli anni del liceo, di giocare la carta della femminilità. E oggi ne sono contenta. Non mi sono mai rapportata agli standard della femminilità ma soltanto a quelli dell’umanità. Sono convinta che ciò che diamo è ciò che ci torna indietro. Sono sempre stata considerata come Ellen e mai come una persona con particolari attributi femminili e che, per questo, dovrebbe cercare di mostrarsi particolarmente attraente.

Il dibattito sul sessismo suscitato dal movimento #MeToo è vivo da più di un anno. Qual è la sua esperienza con gli sporcaccioni?

Capitano molte allusioni spiacevoli, sottolineature idiote e perfino aggressioni fisiche. Ho sempre saputo difendermi. Quando un uomo mi si avvicinava troppo ho detto ad alta voce: «Posso avere un po’ più di spazio per favore?». Questa frase bastava a ridicolizzarlo. Penso che sia necessario vigilare, prima di fare le vittime, per fare tutto ciò che è necessario per evitare che certe situazioni si verifichino.

Un movimento come «#MeToo» ha davvero la sua ragion d’essere?

Sì. E film come «#Female Pleasure» sono indispensabili, perché è tempo di poter dibattere pubblicamente di questi temi. Malgrado tutto non sono sicura che la situazione conoscerà un lieto fine, soprattuto per gli uomini. Le faccio un esempio: ho seguito integralmente l’audizione, durata 30 ore, di Brett Kavanaugh prima della sua nomina a giudice della Corte suprema degli Stati Uniti. Le mie conclusioni sono le seguenti: è una catastrofe il fatto che quest’uomo sia giudice. Non avrebbe mai dovuto essere eletto. Tuttavia, trovo del tutto fuori luogo parlare di accuse di abusi vecchie di 36 anni che non possono essere confermate da nessuno, tanto più che ha senza dubbio incoraggiato, nel corso della sua vita, le donne ad avviare una carriera di giudice. Mi è sembrato che questa polemica fosse di ordine puramente politico e di conseguenza sbagliata. Per lo meno, ciò ha mostrato il carattere supponente di un candidato con le spalle al muro.

In modo più diretto, la domanda è: gli uomini svizzeri si comportano diversamente con lei oggi?

Una donna diventa invisibile appena arriva alla sessantina.

Perché le donne che vogliono accedere al potere sono attaccate così duramente sul loro aspetto?

È legato ad una certa insicurezza degli uomini. È per così dire l’ultima arma che rimane loro. Gli uomini hanno avvertito da parecchio tempo che le donne di oggi sono avvantaggiate grazie alla loro capacità di pensare in modo globale. Ai giorni nostri, si conta meno sulla forza fisica e più sull’empatia. Prima, le persone che reagivano in modo emotivo erano considerate subito inadatte. Si ricordi di Lilian Uchtenhagen che, a causa della sua presunta emotività, ha perso la propria campagna per il Consiglio federale. È una vergogna! Nella società attuale, e vale dunque anche per gli uomini, emotività e razionalità devono viaggiare di pari passo. Ma molti uomini devono ancora capirlo.

Perché l’economia svizzera appare così ostile con le donne?

Di solito le donne sono piuttosto dirette. Nel corso della mia vita, sono stata membro di più di due dozzine di consigli di fondazione, almeno. Si trattava sempre di ONG o di associazioni senza scopo di lucro. Non mi è mai stato chiesto di far parte di un consiglio di amministrazione di un’impresa perché tutti sapevano che sarei stata inflessibile sulle questioni sociali. E ciò non fa piacere alle tesorerie o alle rendite. Sono convinta del fatto che molte donne agirebbero in modo simile. Gli uomini sono al contrario spesso obnubilati dal successo immediato e non prestano particolare attenzione alla stabilità nel tempo.

Le donne forse sono semplicemente delle persone migliori?

Nient’affatto.

Un gioco tipicamente da uomini al quale lei è imbattibile?

Cos’è un gioco tipicamente da uomini?

Il jass per esempio.

Per quanto riguarda il jass proprio no: perdo sempre.

La donna più potente assieme alla quale ha cenato?

Una sola volta ho avuto l’occasione di sedere al fianco della signora Merkel nel corso di un aperitivo. Non mi vengono in mente altre persone in questo momento.

E l’uomo più potente con il quale ha cenato?

Nel corso del Forum economico mondiale di Davos una volta sono stata vicina di tavolo del politico sudafricano Mangosuthu Gatsha Buthelezi. Ci sono moltissimi uomini celebri con i quali ho cenato, ma non citerò alcun nome.

Le battute tra persone di sesso differente stanno scomparendo oggi?

Penso che un certo timore stia assalendo gli uomini. Oggi un uomo non può più fare una battuta o posare la mano sulla spalla della sua interlocutrice. Tutto è diventato un po’ eccessivo. Il comportamento, il rapporto tra uomini e donne è, in un modo o nell’altro, messo in difficoltà. Questo aspetto stupido del politicamente corretto impedisce la spontaneità e le emozioni in numerosi casi. È terribile. Trovo che le tensioni tra i due sessi, se non sono usate male, siano qualcosa di incredibilmente bello. Sarebbe un peccato se non potessimo più viverle.

Nel corso degli anni Ottanta, il direttore Peter Übersax ha fatto aumentare di oltre il 40% la tiratura del «Blick», arrivando a 400.000 esemplari, grazie alla strategia secondo la quale «il sesso fa vendere». Cosa ha pensato di tale scelta?

Non è la mia azienda, non possiedo alcuna azione e non ho nulla da dire, anche perché non voglio giudicare.

È stata contenta nel 2017 quando la direzione di Ringier ha annunciato di rinunciare alla «star del giorno», generalmente piuttosto svestita?

No, perché non ho alcuna obiezione riguardo alla «star del giorno» piuttosto svestita. Mi piace tuttavia il pensiero di mio marito sulle donne. Che è riuscito a imporre praticamente a tutta l’azienda, anche presso il «Blick».

Lei è d’accordo sul fatto che occorre imparare ogni anno qualcosa di nuovo?

Nel mio caso, si tratta piuttosto di dimenticare qualcosa ogni anno (scoppia a ridere).

L’essere umano può cambiare?

Se lo desidera sì.

Ritiene che ci sia più uguaglianza di diritti tra uomini e donne ai giorni nostri?

Sì.

La festa della mamma è necessaria?

(Riflette un momento) No.

E la Giornata della donna?

No.

Le donne rappresentano il 51% dell’umanità. Da un punto di vista puramente aritmetico, sono colpevoli di non essere maggioritarie all’interno dei centri decisionali importanti? Lei è d’accordo con questa affermazione?

No, è falsa.

Cosa si deve fare per raggiungere una vera uguaglianza tra uomini e donne?

Si deve cominciare dalla comprensione del rispetto verso le donne. Finora, la società ha preferito sempre gli uomini. Che hanno deciso le regole, si sono sviluppati e non hanno tenuto conto degli altri gruppi della società.

Intende dire le donne?

Non solo: anche i bambini, gli anziani, i portatori di handicap e tutte le persone in difficoltà, quale che sia il loro problema. L’essere umano deve imparare in definitiva a guardare le cose da lontano.

Che ne pensa delle quote rosa?

Sono sempre stata contraria. Però constato che senza le quote nulla si muove nelle aziende e di conseguenza non si potrà evitare di ricorrere temporaneamente ad esse. Probabilmente anche imponendole per legge.

Rita Süssmuth, ex ministro tedesco della Famiglia, dichiarava in un’intervista al settimanale «Der Spiegel»: «Le quote sono del tutto insufficienti. Io milito ormai per la parità».

Temo che, sia basandosi sulle quote che sulla parità, le donne siano elette esclusivamente in funzione del loro sesso e non per via delle loro competenze.

Esiste l’anima gemella?

Non mi piace il termine «anima gemella», ma esiste un’armonia di valori. C’è tuttavia anche un adeguarsi nei comportamenti, nella maniera in cui si interagisce gli uni con gli altri. Incontro spesso coppie che vivono nelle vicinanze. Parlano nello stesso modo, mangiano gli stessi alimenti, si trattano con amore reciprocamente. E questo anche se hanno opinioni politiche radicalmente diverse.

Passiamo ora alle domande delicate, ad esempio quelle che riguardano suo marito, Michael Ringier.

È vero che ha conosciuto suo marito, l’editore Michael Ringier, al carnevale di Lucerna?

Sì.

Eravate entrambi travestiti?

Solo io. Lui indossava un comune vestito blu. Né io né una mia amica sapevamo suonare gli strumenti utilizzati alla «Guggenmusik», per cui ad un certo punto ci sono stati dati dei giganteschi cimbali. Dopo un po’, non ce la facevo più a tenerli e avevo una sola idea in testa: raggiungere il primo bistrot sulla mia strada. Così siamo entrate al Mövenpick situato sulla Grendel, dove ho incontrato il mio attuale marito.

È stato un colpo di fulmine?

No. Ho subito una grossa delusione d’amore a 16 anni: mi capitava di piangere per questo, anche un anno più tardi. Perciò non ho pensato troppo agli uomini per parecchio tempo. Non temevo di rimanere sola per sempre: ero alta a magra, ciò che si considera attraente, ma avevo bisogno di mantenere delle distanze. Tuttavia, in occasione del primo incontro con mio marito, ho subito sentito che era una persona straordinaria.

Ellen Ringier a proposito del marito Michael: «È generoso, da tutti i punti di vista»
Ellen Ringier a proposito del marito Michael: «È generoso, da tutti i punti di vista»
Keystone

Ed ecco che sono 42 anni che siete sposati...

… stiamo insieme da 45 anni e, è vero, siamo sposati da 42 anni.

Cosa occorre fare perché un matrimonio funzioni?

Lavorare. E lavorare sia insieme che su sé stessi. Ogni decisione che si prende, inoltre, deve essere nell’interesse di entrambi.

E come si deve fare per discutere in modo corretto?

Si deve cominciare con l’ascoltarsi reciprocamente.

È vero che per quanto riguarda l’educazione dei vostri due figli, suo marito è stato «un papà liberale mentre lei è stata piuttosto la strega cattiva che imponeva le regole»?

Sì, è stato quello il mio ruolo.

Deve esserle pesato.

Eccome! Ma prima dell’esistenza del magazine «Fritz & Fränzi», i genitori molto spesso si sono affidati alle loro esperienze personali. A casa, dai miei genitori, era piuttosto il contrario: mia madre era la mamma-chioccia adorabile, piena di coccole e generosa, mentre mio padre era un militare che imponeva le regole e vigilava affinché fossero rispettate.

Come descriverebbe suo marito con una sola frase?

È generoso, da tutti i punti di vista.

È vero che le dà degli aforismi scritti da lui stesso?

All’inizio lo faceva. Anziché regalarmi un misero bouquet di ikeabana a tre steli.

Qual regalo le ha fatto di recente?

È parecchio tempo che a Natale e per i compleanni non ci facciamo più regali. Ad eccezione dei 70 anni di mio marito, che festeggerà il 30 marzo 2019, per i quali ho previsto un bellissimo dono. È la prima volta che ci lavoro con un anno di anticipo. Mio marito è sempre così generoso, ragione per la quale desidero per una volta regalargli qualcosa di grandioso.

Suo marito un giorno ha detto di lei: «In effetti, è una brava persona. Fermamente convinta di poter aiutare gli altri, che lo vogliano o no!». È vero?

Purtroppo è vero. Mio marito aggiungerebbe che ho una certa tendenza missionaria.

Ci piacerebbe porre qualche altra domanda a Ellen Ringier su suo marito Michael Ringier, è divertente. Ma stiamo arrivando alla fine dell’intervista e ci rimangono alcune questioni di ordine personale. Molto personale.

Quand’è che possiamo trovare una Ellen Ringier completamente rilassata?

Mai.

Qual è stato il periodo più felice della sua vita finora?

I nostri primi anni di matrimonio, quando vivevamo ad Amburgo. E la mia infanzia, che è stata meravigliosamente bella.

E gli anni più difficili?

Gli anni della pubertà delle mie due figlie.

Cosa le fa paura?

Una malattia o un intervento chirurgico che mi rendessero dipendente dagli altri.

Tra qualche settimana compirà 67 anni. Pensa mai alla morte?

Molto spesso.

Fa parte di un’associazione pro-eutanasia?

Sono membro di Exit da parecchi anni.

Un giorno ha dichiarato di non volere «morire ricca». Lo conferma?

Sì. Ho due figlie e rifletto da tempo su quanto debba mettere da parte per loro. Ne abbiamo discusso insieme e sono arrivata a questa conclusione: loro concordano sul fatto che io non lasci nulla, poiché ho messo gran parte del mio denaro nella fondazione «Elternsein» nel corso degli ultimi anni. Si tratta di una decisione legata anche al fatto che le nostre figlie possono contare sul papà, che lascerà loro qualcosa. Come ho detto in precedenza, infatti, non ho nulla a priori contro il fatto di lasciare un’eredità. È per questo che approvo le affermazioni del defunto miliardario americano Howard Hughues, che un giorno disse di non voler lasciare più di cinque milioni di dollari ai propri figli. È una somma sufficiente per costruire qualcosa di solido, fare degli investimenti o fondare una start-up. Ma non basta per rilassarsi e non fare nulla per il resto della propria esistenza.

A proposito di Ellen Ringier

Ellen Ringier è cresciuta a Lucerna con le sue due sorelle. Suo padre era un commerciante e collezionista d’arte, mentre sua madre veniva da una famiglia di banchieri londinesi. Ha sposato l’editore Michael Ringier nel 1976. La coppia ha vissuto sette anni in Germania. Ellen Ringier ha ottenuto il titolo di dottoressa in diritto al termine dei propri studi nel 1980. Dal 1990 è impegnata come volontaria a favore di diverse organizzazioni e lavora su progetti culturali e sociali. Nel 2001, ha creato la fondazione «Elternsein». La coppia ha due figlie adulte e risiede a Küsnacht.

Il giornalista di «Bluewin» Bruno Bötschi si lancia regolarmente in un gioco di domande e risposte con delle celebrità nel quadro della sua rubrica «Bötschi chiede». È ormai un grande esperto in materia di interviste. Scrive per il magazine «Schweizer Familie», da molti anni, la serie «Traumfänger» (l'acchiappa-sogni). Ha chiesto a più di 200 personalità quali fossero i loro sogni da bambini. Un libro che contiene tutte queste interviste è stato pubblicato da Applaus Verlag a Zurigo. È disponibile in tutte le librerie.
Il giornalista di «Bluewin» Bruno Bötschi si lancia regolarmente in un gioco di domande e risposte con delle celebrità nel quadro della sua rubrica «Bötschi chiede». È ormai un grande esperto in materia di interviste. Scrive per il magazine «Schweizer Familie», da molti anni, la serie «Traumfänger» (l'acchiappa-sogni). Ha chiesto a più di 200 personalità quali fossero i loro sogni da bambini. Un libro che contiene tutte queste interviste è stato pubblicato da Applaus Verlag a Zurigo. È disponibile in tutte le librerie.
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