L'esperta premio Nobel«L'impoverimento della classe media dura da decenni»
hm, ats
19.9.2023 - 16:00
Altro che conseguenza dell'inflazione, l'impoverimento della classe media non è un fenomeno nuovo, dura da decenni: lo sostiene Esther Duflo, economista francese premio Nobel 2019 per l'economia.
Keystone-SDA, hm, ats
19.09.2023, 16:00
19.09.2023, 16:07
SDA
«Negli ultimi trent'anni abbiamo visto i più indigenti dei paesi poveri diventare un po' meno poveri, i più benestanti del pianeta divenire molto più ricchi, mentre il tenore di vita relativo della classe media è calato», afferma l'esperta in un'intervista pubblicata oggi da Le Temps.
«Ad esempio, il salario mediano negli Stati Uniti non è cambiato dal 1950. Quindi l'impoverimento della classe media non è nuovo, è un fenomeno strutturale, mentre l'inflazione rimane ciclica».
Abbassare le imposte solo ai più ricchi
Responsabile di questo stato di cose, secondo Duflo, non sono tanto le politiche pubbliche in generale, quanto l'evoluzione degli approcci fiscali, che sono andati nella direzione di abbassare le imposte ai più ricchi.
«Negli Stati Uniti ogni volta che c'è un'amministrazione repubblicana le tasse diminuiscono, per poi aumentare leggermente quando subentra un governo democratico, ma non abbastanza da recuperare ciò che è stato perso. Questo aumenta la disuguaglianza. A ciò si aggiungono i cambiamenti tecnologici e l'evoluzione degli standard di ciò che è accettabile e ciò che non lo è, in particolare in termini di salari».
«Come nei Paesi in via di sviluppo, anche nelle nazioni del nord la povertà è sfaccettata e si accompagna a una serie di problemi di salute, in particolare mentale: non è solo una questione di soldi», osserva la fondatrice – insieme ad altri due economisti, con cui ha poi preso il Nobel – di J-PAL, un centro di ricerca sulla povertà con sede a Cambridge (Usa).
«Tutti questi problemi si combinano allo stesso modo nei Paesi ricchi. Un'idea preconcetta che siamo riusciti a smontare è che la socialità renda le persone pigre: non è così, ed è stato ripetutamente dimostrato, anche nei paesi poveri».
«»È meglio rafforzare il sistema in modo mirato
Per Duflo il reddito di base incondizionato (RBI) va inteso come una risposta a situazioni di estrema povertà nelle nazioni povere. «Nei Paesi ricchi, per ottenere un reddito sufficiente in termini di dignità, occorrerebbero circa 11'400 franchi, il che comporterebbe una tale pressione sui bilanci da dover tagliare altre cose. Inoltre, disponiamo di molte informazioni sulle persone, quindi piuttosto che un reddito universale, è meglio rafforzare il sistema in modo mirato».
«C'è un'idea preconcetta secondo cui non possiamo tassare i ricchi, perché altrimenti se ne vanno altrove», prosegue la 50enne. «Ma qui c'è spazio di manovra. I ricchi vogliono innanzitutto essere più ricchi degli altri ricchi; non hanno bisogno di tutto il denaro che guadagnano. In passato, le persone che avevano redditi elevati erano tassate molto pesantemente, ma questo non impediva loro di lavorare. Dobbiamo tornare a tale stato di cose, dovremmo farlo per evitare l'esplosione della disuguaglianza. A tal fine abbiamo bisogno di una cooperazione internazionale per prevenire l'evasione fiscale da parte dei ricchi e delle imprese. È già in corso un movimento per una tassazione minima delle grandi imprese».
La transizione ecologica
La professoressa al Massachusetts Institute of Technology (MIT) si esprime anche sulla transizione ecologica. «Tra gli economisti è diffusa l'idea che la soluzione sarebbe quella di continuare a consumare, ma in modo più ecologico. Questo ci permetterebbe di essere ancora più ricchi, proteggendo al contempo il pianeta. Tale pensiero è alimentato da nuove soluzioni tecnologiche, come l'elettrificazione, le energie rinnovabili e il recupero del carbonio. In sostanza, la speranza è sempre la stessa: continuare a vivere come oggi, ma proteggendo il pianeta. Credo che sia soprattutto un modo per evitare la questione delle scelte, che non è piacevole».
L'intelligenza artificiale (IA) sul mercato del lavoro
C'è poi il tema dell'arrivo dell'intelligenza artificiale (IA) sul mercato del lavoro. «Non si sa ancora bene cosa succederà», ammette la specialista nata a Parigi. «Ma se guardiamo al passato, ai tempi delle grandi rivoluzioni tecnologiche, come la prima e la seconda rivoluzione industriale e l'adozione dei robot nell'industria, impariamo che le transizioni economiche sono lunghe e difficili. Non sempre si perde il lavoro in un settore per poi ritrovarlo altrove. Una carenza di manodopera può coesistere con una perdita di impieghi in un altro ramo. I luddisti, che a volte sono stati derisi, hanno combattuto contro la meccanizzazione dell'industria tessile durante la prima rivoluzione industriale. Ma oggi sappiamo che il settore ha impiegato cento anni per tornare ai livelli salariali pre-rivoluzione. Dobbiamo tenerlo a mente! Senza dubbio ci sarà una transizione che dovrà essere finanziata a livello globale, se vogliamo che sia vantaggiosa. E nei paesi poveri il problema è ancora più sentito, perché molti lavori della classe media possono essere completamente sostituiti dall'IA».
Il Covid e il clima hanno peggiorato la situazione?
Non è che a causa del Covid e dell'emergenza climatica – chiede la giornalista di Le Temps – siano andati persi vent'anni di sforzi per combattere la povertà? «Non sappiamo cosa si sia perso, non è ancora stato misurato, perché misurare la povertà è molto complicato», risponde l'intervistata.
«Quello che è certo è che c'è stato un rallentamento ciclico dei progressi contro la povertà, per via del coronavirus, della guerra in Ucraina e dell'aumento dei tassi di interesse, che ha portato a crisi del debito. Ci vorranno vent'anni per riprenderci? Non lo so. Gli impatti del riscaldamento globale sono molto più strutturali. Tuttavia, si sono diffusi nuovi strumenti, come i trasferimenti finanziari diretti alle popolazioni dove prima non esistevano: l'accettabilità di questi approcci era bassa, ma è aumentata durante la pandemia», conclude Duflo.