Questo è il dilemma a cui debbono dare presto una risposta in Argentina il presidente Alberto Fernández e il suo ministro dell'Economia Martín Guzmán, alle prese con una ristrutturazione parziale del debito argentino riguardante titoli denominati in valuta estera per 67.000 milioni di dollari.
Il rischio di una nuova sospensione dei pagamenti da parte di Buenos Aires, che dal 1827 è entrata almeno cinque volte in questa drammatica situazione (l'ultima nel 2001), è grande. La sua proposta di ristrutturazione del 17 aprile, infatti, non ha ottenuto il successo auspicato alla scadenza di venerdì. I grandi fondi di investimento, che detengono una parte sostanziosa dei titoli del debito hanno chiesto di più ed alcuni, «molto» di più.
Si tratta di di una decina di potenti creditori (Allianz, Fidelity, BlackRock, Northern Trust, AllianceBernstein, HSBC, Prudential Financial, Ivesco, Ashmore e Eaton Vance) che hanno ufficialmente dichiarato di possedere titoli per 8.380 milioni di dollari, ma che potrebbero però controllarne molti altri.
Bassa accettazione
L'offerta presentata riguarda lo scambio di 21 titoli onerosi esistenti con altri di durata ventennale, un periodo di grazia triennale fino a fine 2022, con l'inizio del pagamento nel 2023 di interessi dello 0,5% in crescita graduale, «fino a livelli sostenibili», stimati mediamente nel 2,5%. Questo dopo un taglio del 5,4% del capitale originario e del 64% degli interessi.
La filosofia del piano è stata spiegata in questi termini: «Non vogliamo che i creditori ci perdano, ma che guadagnino meno», tenendo conto che i tassi di interesse attuali nei mercati internazionali sono vicini a zero o addirittura negativi.
Non esistono stime ufficiali del livello di accettazione ottenuto finora dal governo argentino, ma gli analisti concordano nel ritenere che non abbia superato il 20%. Da qui la necessità di continuare una trattativa ai tempi supplementari.
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