Per il presidente e l'amministratore delegato di Volkswagen, rispettivamente Hans Dieter Pötsch ed Herbert Diess, è stato chiesto in Germania un rinvio a giudizio per una manipolazione di mercato» che avrebbero causato occultando quanto sapevano sul «scandalo-diesel».
La richiesta della procura di Braunschweig, sotto cui ricade la sede della casa automobilistica tedesca, riguarda anche il predecessore di Diess, l'ex-amministratore delegato Martin Winterkorn dimessosi in seguito allo scandalo. Un tribunale dovrà ora vagliare queste accuse, che il gruppo definisce «senza fondamento», e stabilire la data di un eventuale processo.
La procura tedesca sostiene che i tre manager avrebbero informato «deliberatamente troppo tardi» il mercato sui rischi del dieselgate e in tal modo avrebbero «influenzato illecitamente le quotazioni in Borsa dell'azienda». I magistrati calcolano questi rischi in quasi 40 miliardi di dollari fra riacquisti di veicoli, penali e perdite di fatturato sui modelli 2016. Come noto, a causa dello scandalo il titolo perse quasi il 40% del suo valore tra aprile e inizio ottobre 2015.
Nell'atto di accusa di 636 pagine emerge che secondo i magistrati Winterkorn aveva avuto «piena conoscenza» del caso «al più tardi dal maggio 2015», Pötsch da fine giugno e Diess dal 27 luglio, ossia tra quattro e un mese abbondante prima della pubblicazione della «Notice of violation» da parte dell'ente americano dell'ambiente Epa il 18 settembre di quell'anno.
Era stato solo da quel mese che Volkswagen aveva ammesso che quasi 600 mila auto vendute negli Usa erano dotate di un «defeat device», dispositivo architettato per aggirare i test sulle emissioni nocive dei motori e impiantato anche su milioni di veicoli VW nel mondo fra il 2009 e il 2015.
Diess ha fatto «respingere categoricamente» le accuse che andrebbero «oltre il comprensibile» e un legale ha sostenuto che Pötsch non avrebbe «nulla da nascondere». Una fonte ufficiale del gruppo ha ricordato che «la società ha meticolosamente indagato su questo tema» per «almeno quattro anni» e, «se ci sarà un processo, siamo fiduciosi che venga provato che le accuse sono infondate».
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